1. PREMESSA
Gli Ordinamenti giuridici di alcuni Stati dell’Europa occidentale disciplinano espressamente la tassazione del reddito meretriciale.
L’esercente l’attività di prostituzione è considerato, dai predetti sistemi normativi, un contribuente come tutti gli altri, tenuto, conformemente ai principi di uguaglianza formale e sostanziale, alla esecuzione delle prescritte prestazioni tributarie.
Rileverà, ai fini impositivi, la ricchezza prodotta dal contribuente attraverso l’esercizio dell’anzidetta attività.
La delicata questione che qui si intende ulteriormente affrontare, cercando conforto nell’insegnamento della Suprema Corte, concerne la tassabilità, o meno, della ricchezza prodotta entro i confini del territorio nazionale attraverso l’esercizio, con o senza carattere di abitualità, di un’attività economica consistente nella prestazione di servizi di carattere sessuale.
La tesi che si intende ancora una volta sostenere si rivela favorevole all’imposizione diretta, nonché, ricorrendo determinate condizioni oggettive e soggettive prescritte dalla normativa fiscale, anche indiretta.
Orbene, la Suprema Corte di Cassazione ha adottato decisioni particolarmente interessanti, costituenti il portato di un percorso argomentativo ed ermeneutico destinato a legittimare ed intensificare l’attività accertativa degli Uffici fiscali, titolari dello ius impositionis, nonché l’attività ispettiva della Guardia di Finanza.
2. LE FATTISPECIE CONCRETE
Con la sentenza n. 20528 dell’1/10/2010, la Suprema Corte, Sezione Tributaria, ha statuito la soggettività tributaria passiva di chi si dedica all’esercizio di un’attività preordinata alla prestazione di servizi sessuali in cambio di una controprestazione in denaro o in natura.
La quaestio trae origine dall’impugnazione di atti impositivi (nella specie trattavasi di avvisi di accertamento), notificati dall’Amministrazione finanziaria ad una signora cui “veniva ascritta l’esercitata attività di ballerina in locali notturni” .
Per l’Ufficio fiscale, la predetta attività doveva considerarsi svolta “in modo professionale” in virtù “ .. di una sensibile differenza tra i versamenti eseguiti sui conti bancari ed il reddito di lavoro dipendente percepito presso quei luoghi di ritrovo..”.
L’accertata, invece, assumeva di essere solo una lavoratrice subordinata con la mansione di “.. servire ai tavoli i clienti dei vari locali..”.
L’Ente impositore accertava l’omessa tassazione di materia imponibile ai fini IRPEF, IVA ed IRAP, relativa ai periodi d’imposta oggetto di accertamento tributario e rilevava, nell’ambito dell’espletamento delle attività previste dall’art. 32 del D.P.R. n. 600/73, una evidente e significativa discordanza tra il reddito di lavoro dipendente dichiarato e il denaro confluito nei citati conti bancari.
L’accertamento della movimentazione numeraria sui conti personali della contribuente invertiva l’ onus probandi, determinando, così, a carico dell’accertata, l’onere di dimostrare (potendosi avvalere, già in sede di contraddittorio amministrativo, della prova liberatoria) che le somme di denaro confluite sui conti anzidetti non rilevavano ai fini impositivi.
Giova, a tal proposito, ricordare che costituisce ormai ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui allorquando “ …l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti “.
Per l’Agenzia fiscale, la signora aveva sottratto a tassazione redditi di lavoro autonomo, sussistendo, in tal caso, tutte le condizioni legittimanti l’adozione degli avvisi di accertamento, che venivano poi emessi a conclusione della doverosa e necessaria fase istruttoria.
Avverso gli atti d’imposizione tributaria, consacranti pretese impositive relative ad autonomi periodi d’imposta, si recuperavano a tassazione i maggiori redditi accertati, liquidando i dovuti tributi, le sanzioni e gli interessi.
Per la contribuente, che ritenendo infondati gli avvisi di accertamento proponeva ricorso tributario, le somme costituenti “ eccedenza non dichiarata” consistevano in mere “ ..elargizioni e donativi occorsi in rapporto a varie frequentazioni amicali e relazioni nel tempo intrattenute con terzi”, e, come tali, non soggette a tassazione.
L’adita Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio accoglieva il ricorso, statuendo che “ ..lo stile di vita disinibito e licenzioso [….] per procurarsi i mezzi finanziari per vivere non può essere fiscalmente perseguito”, in quanto “ ..i compensi per attività di prostituzione non […] soggetti a tassazione”.
L’Ufficio fiscale, non condividendo la decisione del Giudice di prime cure, proponeva appello.
Percorsi i due gradi di giudizio, conclusisi con decisioni sfavorevoli all’Agenzia delle Entrate, la controversia era portata a cospetto del Supremo Organo Giurisdizionale.
Per gli Ermellini “ Quanto poi all’esercizio dell’attività di prostituta, tale dovendosi qualificare in concreto l’attività […],che ha coltivato nel tempo numerose relazioni tutte lautamente pagate, non vi è dubbio alcuno che anche tali proventi debbano essere sottoposti a tassazione, dal momento che pur essendo una attività discutibile sul piano morale, non può essere certamente ritenuta illecita”.
Con altra decisione, anch’essa munita di ampio spessore logico-giuridico, la Suprema Corte ha nuovamente ribadito la tassabilità del reddito frutto di attività meretriciale.
Secondo gli Ermellini “ … il reddito tratto dalla controricorrente dall’esercizio dell’attività di prostituzione – tale natura va riconosciuta a quello derivante da “ donativi e regali relativi a rapporti di natura affettuosa “, secondo l’accertamento contenuto nell’impugnata sentenza – va assoggettato all’imposta diretta, dovendosi condividere l’orientamento espresso da questa Corte, con la sentenza n. 20528/2010 ……”.
Circa la debenza del tributo IVA, invece, il Supremo Collegio osserva che “ A tale stregua, deve affermarsi l’assoggettabilità ad i.v.a. dell’attività di prostituzione, quando sia autonomamente svolta dal prestatore, con carattere di abitualità …. “.
In virtù di tutto quanto sino ad ora evidenziato, appare indubbio ormai che si tratti di un’attività che genera compensi tassabili sia sul piano impositivo diretto che, in presenza di taluni presupposti strutturali, oggettivi e soggettivi, anche indiretto.
3. I PRESUPPOSTI IMPOSITIVI E LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL REDDITO
Le anzidette sentenze, ampiamente condivisibili in punto di diritto, ricollegano la prestazione imposta ai principi di giustizia sociale, di legalità e di giustizia fiscale, di cui agli artt. 3, 23 e 53 della Carta Costituzionale.
Ai fini di una corretta qualificazione giuridica del reddito meretriciale ( come reddito di lavoro autonomo o diverso), è di fondamentale importanza avviare ab initio una intensa, attenta e puntuale attività istruttoria che si riveli immune da censure prospettabili dal contribuente in sede contenziosa ovvero in sede amministrativa.
Giova puntualizzare, infatti, che in sede istruttoria ( id est nel corso del procedimento amministrativo-tributario), “ cuore o baricentro del procedimento”, l’Ufficio è tenuto ad acquisire tutti gli opportuni e necessari elementi probatori idonei a dimostrare, tenendo avulso ogni minimo dubbio, che l’attività economica ( di prostituzione nel caso di specie) sia stata esercitata, o meno, con abitualità.
In sede di emissione dell’atto impositivo, poi, l’Ufficio dovrà adeguatamente giustificare la pretesa in esso consacrata, conformemente alle disposizioni dettate in materia di accertamento.
Incomberà sull’Ufficio l’onere di “ esternare” le ragioni di fatto e giuridiche che conducono a considerare il difetto ovvero la sussistenza dell’abitualità.
Quest’ultimo concetto, importante “anello” in virtù del quale stabilire il corretto trattamento tributario da applicare ad ogni singola fattispecie concreta, risiede nell’esercizio dell’attività economica in maniera stabile, sistematica e duratura.
Autorevole dottrina sostiene, con grande acutezza, che il connotato dell’abitualità permette di distinguere i redditi di lavoro autonomo dai redditi diversi “(a tale categoria appartengono i redditi di lavoro autonomo occasionale)”.
Ne consegue che, mentre la debenza del tributo IRPEF è indubbia in capo all’esercente l’attività meretriciale, la stessa cosa non può certo dirsi, sic et simpliciter, per la debenza dei tributi IRAP e IVA.
Le imposte de quibus, rispettivamente diretta (IRAP) e indiretta (IVA), presuppongono determinate condizioni (che vanno rigorosamente accertate anche in ossequio agli artt. 97 della Costituzione, 10 della Legge 212/2000 e 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), oggettive e soggettive, prescritte dalla normativa tributaria.
Ergo, l’applicazione dei citati tributi presuppone una corretta qualificazione giuridica (eseguita dall’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, e sottoposta eventualmente al vaglio giurisdizionale, in sede contenziosa) del reddito effettivamente prodotto.
La tassazione del reddito meretriciale, lungi dall’essere considerata illegittima, appare, a parere di chi scrive, conforme ai principi costituzionali.
I compensi percepiti in sede di esercizio della citata attività, depurati delle spese sostenute, costituirebbe reddito tassabile ai fini IRPEF e, in alcuni casi, anche ai fini IRAP.
Sarebbero, infatti, prospettabili le tre seguenti ipotesi di tassazione volte a qualificare il reddito de quo.
I- La prima ipotesi che si intende praticare, conduce a qualificare come Reddito di lavoro autonomo, la ricchezza prodotta dall’esercente l’attività di meretricio.
Ai sensi dell’art. 53 del T.U.I.R.: “ Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l’esercizio in forma associata di cui alla lett. c) del comma 3 dell’art. 5 “.
Ai fini della individuazione dei Redditi di lavoro autonomo, “Premessa indispensabile è che il contribuente presti direttamente e personalmente la propria opera in modo continuativo e prevalente”.
A parere di chi scrive la prestazione di un servizio sessuale costituisce anche un’arte.
L’arte a cui ci si riferisce, consiste, infatti, in atti e comportamenti ( attivi e passivi) idonei a garantire l’equilibrio dei reciproci interessi che caratterizza qualsiasi atto di autonomia negoziale, tipico o atipico, bilaterale o plurilaterale.
I compensi percepiti dal lavoratore autonomo, al netto delle spese sostenute nel periodo d’imposta, in ossequio al principio di inerenza, costituirebbero reddito rilevante ai fini della imposizione diretta.
Il reddito in parola, pertanto, concorrerebbe a formare, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 917/86 (Testo unico delle imposte sui redditi), il reddito complessivo del contribuente.
Trattandosi di una prestazione di servizi, è applicabile, in ossequio all’art. 1 del D.P.R. n. 633/72, anche l’imposta sul valore aggiunto calcolata applicando l’aliquota ordinaria, del 21%, sul compenso ( base imponibile) dovuto ( id est pattuito).
Ai fini IRAP, invece, si ritiene che ben potrebbe non sussistere la soggettività passiva per difetto assoluto di autonoma organizzazione.
Costituisce, infatti, ius receptum tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, il principio secondo cui “ Sussiste l’autonoma organizzazione, quale presupposto dell’Irap, ogni qualvolta questa, anche in assenza del lavoratore autonomo abbia una propria capacità di remunerare, organizzare ed utilizzare, per il conseguimento dei propri fini, fattori della produzione altrui. Occorre cioè che l’organizzazione, in quanto effettivamente autonoma, sia in grado di spersonalizzare l’attività svolta e di produrre ricchezza completando l’attività generatrice del valore aggiunto prodotto senza che l’apporto dell’organizzatore sia determinante e, quindi, aggiungendo un quid pluris a quanto realizzabile attraverso l’autorganizzazione del solo lavoro personale .. “ .
L’infungibilità della prestazione, dunque, costituisce, accanto all’impiego di beni strumentali non eccedenti l’id quod plerumque accidit, ulteriore ragione fondante l’esclusione dal citato tributo regionale.
II- La seconda ipotesi, anch’essa oggettivamente praticabile, conduce a qualificare come reddito diverso ex art. 67, lett. l), del D.P.R. n. 617/86, quello derivante “ dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.
La disposizione normativa de qua, dispone che “ Sono redditi diversi, se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:
….
l) I redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.
L’attività di prostituzione comporta, a carico dell’esercente l’attività di meretricio, sia l’adempimento di un obbligo di “fare”, eseguire una prestazione sessuale di carattere satisfattorio, che l’adempimento di un obbligo di “permettere” che la controparte ponga in essere una determinata condotta, traendo, così, un “vantaggio” patrimonialmente valutabile dall’accordo negoziale.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma ha statuito che “ Il reddito derivante da attività di prostituzione, al pari di qualsiasi altra tipologia reddituale, deve essere sottoposto a tassazione, in quanto espressione di una attività economica in cui, a fronte di una prestazione, si ha una controprestazione monetaria; la tassazione trova la sua fonte normativa nella categoria residuale dei redditi diversi, di cui all’art. 67 del Tuir, che attrae tutte quelle espressioni economiche non diversamente tipicizzate dal legislatore tributario”.
Con la medesima pronuncia, il Giudice di prime cure ha anche statuito che “L’attività, fiscalmente, deve essere considerata alla stregua di qualsiasi servizio fornito a fronte di una retribuzione: la natura particolare del servizio non deve distogliere e deviare l’attenzione dall’aspetto economico rilevante
(prestazione/controprestazione) che la rende fonte di reddito imponibile”.
Il reddito in questione, costituito ai sensi dell’art. 71, comma 2, del TUIR “ …dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione..”, concorrerà a formare il reddito complessivo del contribuente, da indicare nel rigo RN1 della dichiarazione dei redditi.
L’odierna ipotesi di tassazione escluderebbe sia la debenza del tributo IRAP che quella del tributo IVA, per difetto assoluto dei presupposti impositivi.
III- La terza ed ultima ipotesi di tassazione concerne il caso in cui l’attività di prostituzione sia svolta solo “occasionalmente”.
L’occasionalità dell’attività non esclude la tassazione, ma determina solo una differente qualificazione giuridica del reddito prodotto.
La ricchezza de qua, infatti, costituisce reddito diverso ex art. 67, lett. l), D.P.R. n. 617/86, anziché reddito di lavoro autonomo.
In sede di determinazione del reddito netto si dovrà tenere conto, ex art. 71 TUIR, comma 2, delle spese effettivamente sostenute nel periodo d’imposta, purchè debitamente documentate e inerenti all’esercizio dell’attività di lavoro autonomo occasionale.
Il contribuente dovrà scrupolosamente conservare tutta la documentazione relativa all’attività occasionale svolta, osservando i termini previsti dalla disciplina tributaria.
In sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, il contribuente sarà tenuto a compilare anche il quadro “RL”.
Ai fini previdenziali, inoltre, non si esclude, a parere di chi scrive, l’iscrizione nella Gestione separata dell’I.N.P.S..
Anche in tal caso, trattandosi di attività di lavoro autonomo esercitata in via meramente occasionale, è da escludersi l’imposizione IRAP ed IVA, difettando le condizioni prescritte dal D.P.R. n. 633/72 e dal D. Lgs. n. 446/97, in tema di autonoma organizzazione.
Tutte le ipotesi prospettate si rivelano indubbiamente favorevoli all’imposizione IRPEF.
In merito al tributo regionale I.R.A.P., invece, solo la prima ipotesi condurrebbe alla debenza dell’imposta che, comunque, non sarebbe dovuta ove mancasse, come già detto, il presupposto oggettivo (l’autonoma organizzazione) prescritto dall’ art. 2 del D. Lgs. n. 446/97.
Ove l’attività di prostituzione “indipendente” fosse considerata fonte di reddito di lavoro autonomo, il contribuente potrebbe, sussistendone i presupposti di Legge, essersi avvalso del regime fiscale dei CONTRIBUENTI MINIMI, previsto dalla legge finanziaria per l’anno 2008.
Il citato regime fiscale comporterebbe l’applicazione, sul reddito “netto” imponibile, di un’aliquota del 20% sostitutiva di IRPEF, ADDIZIONALE REGIONALE IRPEF, ADDIZIONALE COMUNALE IRPEF ed IRAP, oltre all’esonero dagli adempimenti dettati in materia di IVA ( versamenti, comunicazioni e dichiarazioni).
Dall’ 1/01/2012, invece, entrerà in vigore il nuovo regime dei minimi in virtù del quale, in presenza delle prescritte condizioni, sarà applicata l’aliquota del 5% a titolo di imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle connesse ADDIZIONALI REGIONALI E COMUNALI.
Il regime fiscale de quo comporterà, inoltre, la non debenza dell’IRAP e la esclusione dagli studi di settore e dagli adempimenti IVA ( pagamenti, dichiarazioni e comunicazioni).
La fattura emessa dal contribuente minimo dovrà risultare in regola con le disposizioni dettate in materia di imposta di bollo, qualora l’importo del predetto documento fiscale sia superiore ad Euro 77,47.
Ergo, le suindicate argomentazioni si rivelano tutte a favore della tassazione del reddito prodotto attraverso l’esercizio dell’attività di meretricio.
La tassazione dovrebbe essere indubbia se si considera che la Magistratura comunitaria con sede a Lussemburgo (id est la Corte di Giustizia ) ha qualificato come “attività economica”, in sede di interpretazione delle norme comunitarie, quella consistente nella prestazione di servizi sessuali.
A ciò aggiungasi, quale extrema ratio, a parere di chi scrive, la previsione normativa di cui all’art. 14, comma 4, della Legge 24/12/1993, n. 537 (che la Suprema Corte, nella sentenza in epigrafe, non ha considerato aderente ai compensi che derivano dall’attività di prostituzione).
La norma predetta dispone che “ nelle categorie di reddito di cui all’art. 6, 1° comma, del testo unico delle imposte sui redditi (…) devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale..”.
A tal proposito, rileva evidenziare che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale di legittimità, “ ..il regime dei proventi illeciti è quello della imponibilità, anche retroattiva, in forza della retroattività della L. 24 Dicembre 1993, n. 537. Art. 14. Comma 4, che introduce una norma di interpretazione autentica”.
4. CONCLUSIONI
Quid iuris se l’Amministrazione finanziaria, ad esempio, a seguito di attività ispettiva della Guardia di Finanza, accerta l’omessa tassazione di redditi di lavoro autonomo, derivanti dall’esercizio di attività di prostituzione “indipendente”?
Se l’accertato ha realmente svolto la predetta attività, la tassazione non potrà, a parere di chi scrive, che essere indubbia sempreché la notifica degli atti d’imposizione tributaria avvenga entro i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/73 e l’atto impositivo non presenti profili di invalidità censurabili e insanabili in sede contenziosa.
Fermo restando, però, che laddove il contribuente riuscisse a provare che l’attività è stata svolta solo occasionalmente (id est che è mancata l’abitualità prescritta dall’art. 53 del T.U.I.R.), l’imposizione dovrebbe rilevare ai soli fini IRPEF.
I tributi IRAP ed IVA, invece, non sarebbero dovuti in virtù della tipologia di reddito conseguito.
Il contribuente, prestatore occasionale, al quale siano stati pretesi tutti i citati tributi (IRPEF, IVA E IRAP), potrebbe proporre istanza di accertamento con adesione ( la cui proposizione comporta la sospensione, per giorni 90, del termine perentorio entro cui ricorrere al Giudice tributario).
Nel corso dell’incardinato procedimento amministrativo, si potrebbe ben invocare l’autotutela tributaria e tentare di conseguire, in sede amministrativa, la rideterminazione (in melius) della pretesa impositiva ai soli fini IRPEF, unitamente alle sanzioni e agli interessi.
Sempre in sede amministrativa, il contribuente potrebbe opporre in compensazione un eventuale controcredito vantato nei confronti dell’Erario.
Ove lo strumento amministrativo si rivelasse inidoneo a definire il reciproco assetto di interessi, il contribuente potrebbe, in presenza di fondate argomentazioni idonee a confutare la qualificazione del reddito accertato, proporre ricorso tributario.
Poiché l’impugnazione non sospende l’efficacia esecutiva dell’atto, il ricorrente potrebbe, col medesimo ricorso o con atto separato, chiederne la sospensione rimanendo onerato di provare la concreta sussistenza dei presupposti fondanti l’istanza cautelare.
A parere di chi scrive, qualunque sia, de jure condito, la soluzione corretta (tassazione o non tassazione del reddito meretriciale) è opportuno che il Legislatore tributario intervenga chiarendo la portata e l’ambito di applicazione delle disposizioni fiscali vigenti, anche in ossequio all’art. 10 della Legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente); non è da escludersi, a seguito delle interessanti decisioni adottate dalla Suprema Corte, un intervento chiarificatore dell’Agenzia delle Entrate volto a definire i presupposti impositivi che potrebbero legittimare l’imposizione diretta e indiretta.
Sia consentito citare, al riguardo, anche G. Di Gennaro, La tassabilità del reddito da prostituzione indipendente: la recentissima sentenza della Suprema Corte di Cassazione, in sito Ordine degli Avvocati di Trani, Argomenti giuridici, 2010.
Senza escludere l’ipotesi in cui un residente in Italia svolga la professione meretriciale al di fuori del territorio italiano. Anche in detta circostanza il reddito prodotto all’estero concorrerebbe a formare il reddito complessivo da tassare in Italia, fatto salvo il credito d’imposta di cui all’art. 165 del Testo unico delle imposte sui redditi, qualora in ordine all’attività in parola siano state pagate, all’estero, imposte a titolo definitivo. Il medesimo principio vale anche per il non residente che svolga l’attività in Italia: dovrebbe versare tutti i tributi dovuti in relazione al reddito prodotto in Italia.
Sulla distinzione tra attività attività accertativa, spettante agli Uffici fiscali, e funzione ispettiva esercitata dalla Guardia di Finanza, si rinvia anche alla circolare n. 1/9/2662 del 12/01/1983.
Su “ La stretta interdipendenza tra giustizia fiscale e giustizia sociale”, F. GALLO, LE RAGIONI DEL FISCO, Etica e giustizia nella tassazione, Bologna, 2007, p. 103.
G. MORBIDELLI, AA.VV. DIRITTO AMMINISTRATIVO, PARTE GENERALE I, MONDUZZI EDITORE, Bologna, 2005, p. 614.
Si vedano gli artt. 42 del D.P.R. n. 600/73 e 7 della Legge 212/2000 ( Statuto dei diritti del contribuente).
Autorevole dottrina ha sostenuto, acutamente, che “ L’obbligo di motivazione riguarda non soltanto l’avviso di accertamento, ma tutti gli atti dell’amministrazione finanziaria ( compresi quelli emessi dal concessionario della riscossione, e cioè cartella di pagamento e avviso di mora )”. FRANCESCO TESAURO, COMPENDIO DI DIRITTO TRIBUTARIO, Torino, 2002, 115.
La qualificazione giuridica operata dall’Ente impositore deve essere aderente alle disposizioni dettate dalle singole Leggi d’imposta.
Anche per l’attività di meretricio andrebbero osservate le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 600/73 in materia di “ Scritture contabili degli esercenti arti e professioni”.
Costituiscono componenti negativi di reddito anche le quote di ammortamento relative ai beni strumentali. Se si tratta, invece, di beni ad uso promiscuo ( si pensi ad un’autovettura) la deducibilità fiscale compete entro rigorosi limiti quantitativi.
Il reddito complessivo si ottiene sommando i redditi appartenenti a ciascuna categoria di cui all’art. 6 del TUIR e “ sottraendo le perdite derivanti dall’esercizio di imprese commerciali di cui all’art. 66 e quelle derivanti dall’esercizio di arti e professioni..”.
L’art. 1 del D.P.R. n. 633/72, dispone che “ L’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate”.
L’aliquota del 21% ha sostituito, dal 17/09/2011, nell’àmbito della c.d. manovra di ferragosto, la previgente del 20%.
Per tutte, Commissione Tributaria Regionale Toscana, sentenza n. 128 del 13/07/2010, in def.finanze.it
Il regime fiscale dei CONTRIBUENTI MINIMI esclude, per espressa previsione normativa, l’applicazione degli studi di settore.
Legge 24/12/2007 n. 244, art. 1, commi da 96 a 117, pubblicata nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28/12/2007.
Per un utilissimo e puntuale approfondimento, S. MORINA –T. MORINA, Dal 2012 forfait al 5% per i nuovi “minimi”, in L’esperto risponde del 19/09/2011, IL SOLE 24 ORE, pagg. 1 e segg.
Su ciascuna fattura emessa, per chi può continuare a optare per il vecchio regime dei minimi, si dovrà indicare che trattasi di “ operazione effettuata ai sensi dell’art. 1, comma 100, della legge finanziaria per il 2008”.
Che normalmente è corrisposta, ai sensi del D.P.R. n. 642/72, anche in modo straordinario ( mediante l’apposizione di marche da bollo, ad esempio).
L’art. 43 del D.P.R. n. 600/73, prescrive che “ Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione [….] l’avviso i accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata…”.
Provando, a titolo d’esempio, il difetto di indici di capacità contributiva, l’inesistenza di spese per incrementi patrimoniali, l’effettuazione di sporadiche operazioni di deposito bancario o postale, e via dicendo.
Sul concetto di autotutela tributaria, introdotta con Legge n. 656/94 e attuata con D.M. n.37/97, si veda NICOLA D’AMATI – ANTONIO URICCHIO, CORSO DI DIRITTO TRIBUTARIO, Padova, 2008, p.194.
Il D. Lgs. n. 471/97 disciplina le sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi. Il D. Lgs. n. 472/97, invece, detta le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie.
Ai sensi dell’art. 8,della Legge 212/2000, “ L’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione”.
Con grande acutezza, la Commissione Tributaria Regionale Puglia, Sez. XIV, con sentenza n. 12 del 16/01/2009, ha statuito che “ E’ ammissibile la compensazione del debito verso l’Erario con il credito del contribuente certo, liquido ed esigibile; non è dato, infatti, rinvenire nell’ordinamento vigente nessuna preclusione rispetto a tale modo di estinzione dell’obbligazione tributaria, né alla relativa operatività l’A.F. può opporre impedimenti concernenti aspetti amministrativi”.
Da notificarsi “… alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all’art.22”.
A parere di chi scrive, l’odierna situazione di incertezza normativa costituirebbe una causa di non punibilità, sul piano sanzionatorio, secondo quanto prescritto dall’art. 10, comma 3, della Legge 212/2000.. Ai sensi, poi, dell’ art. 6, comma 2, del D. Lgs. n. 472/97 “ Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono …”.
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