Abstract.
Il d.lgs. n. 94 del 2009 (c.d. pacchetto sicurezza) ha introdotto () nell’ordinamento giuridico italiano il reato d’immigrazione clandestina. Si tratta di una semplice contravvenzione, sanzionata unicamente con la pena pecuniaria, la quale punisce le condotte di ingresso e permanenza illegale nello Stato italiano del cittadino extracomunitario (art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998, testo unico dell’immigrazione) ().
La nuova figura di reato pone una serie di questioni esegetiche, tra le quali si segnala la ridefinizione del perimetro della tipicità del reato previsto dall’art. 6 d.lgs. n. 286 cit., imperniato sulla mancata ottemperanza da parte dello straniero all’ordine di esibizione di un documento di identificazione e/o del permesso di soggiorno. Oggi soggetto attivo del citato reato ex art. 6 non può più essere l’extracomunitario irregolare, ma soltanto lo straniero che sia regolarmente soggiornante in Italia.
La nuova incriminazione è stata immediatamente oggetto di aspre critiche, perché attraverso di essa si sanzionerebbe penalmente non già la commissione di un fatto offensivo di un bene costituzionalmente protetto, bensì una particolare condizione personale e sociale: quella di straniero <<clandestino>>, derivante dalla mera violazione delle norme che disciplinano l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato italiano.
La Corte costituzionale si è recentemente pronunciata sulla legittimità del nuovo reato d’immigrazione clandestina (sent. 8 luglio 2010, n. 250), respingendo però le questioni di costituzionalità che erano state sollevate dai diversi giudici di merito.
1. Coll’introduzione nel 2009 del reato di immigrazione clandestina (art. 10-bis t.u. imm. d.lgs. n. 286 del 1998), il legislatore italiano ha ovviato alla “storica” mancanza di una sanzione penale sia per l’ingresso clandestino, sia per la mera permanenza illegale dello straniero non destinatario in precedenza di un provvedimento di espulsione. Ciò ha determinato – insieme al restyling nel 2009 dell’incriminazione relativa alla mancata esibizione del documento di identificazione o del permesso di soggiorno (art. 6 comma 3 t.u. imm.) – delle importanti novità nella disciplina penale in materia di soggiorno dell’extracomunitario.
In particolare, mediante il d.lgs. n. 94 del 2009 (c.d. pacchetto sicurezza) il legislatore ha reso penalmente rilevanti le condotte poste in essere dallo straniero extracomunitario in violazione della disciplina sull’ingresso e soggiorno nel territorio nazionale, condotte in precedenza sanzionate solo in via amministrativa con lo strumento dell’espulsione.
L’obiettivo politico-criminale di penalizzare le fattispecie di ingresso e permanenza illegale, già sanzionate come illeciti amministrativi, è stato attuato attraverso l’inserimento di una semplice contravvenzione punita oltretutto con la sola pena dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, per la quale il legislatore ha espressamente escluso la facoltà di oblazione ex art. 162 c.p. La pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 16 comma 1 t.u. imm., può essere sostituita dal giudice con l’espulsione, qualora non ricorra però una causa che impedisca l’esecuzione immediata della misura con l’accompagnamento coattivo alla frontiera ().
La competenza per il reato in questione è stata affidata al giudice di pace; scelta aspramente criticata dalla dottrina: si è infatti messo in luce come l’allargamento della sua competenza <<possa innescare una mutazione genetica di una giurisdizione che, almeno nella sua configurazione originaria, appariva diretta alla composizione di “microconflittualità individuali”, secondo una logica non di repressione ma di conciliazione e riparazione>> ().
Nell’incipit della disposizione è presente una clausola di riserva: <<salvo che il fatto costituisca più grave reato>>, che istaura un espresso rapporto di sussidiarietà rispetto, ad esempio, alle ipotesi criminose previste agli artt. 13 comma 13 e 14 comma 5-ter t.u. imm ().
La disposizione contiene in realtà due incriminazioni: i) la prima punisce lo straniero che si introduce illegalmente nel territorio italiano; ii) la restante incrimina lo straniero, il quale entrato nel nostro Paese in base ad un titolo legittimo, vi si trattiene illegalmente giacché il titolo di soggiorno è venuto meno.
Il parametro di riferimento per stabilire l’illegalità dell’ingresso o della permanenza nel nostro Paese è costituito, in entrambe le ipotesi di reato, dalle norme amministrative contenute nel t.u. immigrazione e nell’art. 1 l. 28 maggio 2007, n. 68 (sulla disciplina dell’ingresso e soggiorni brevi). E pertanto queste disposizioni <<rappresentano il criterio fondamentale del giudizio di disvalore penale, tutto racchiuso nella violazione delle regole amministrative dell’ingresso e del soggiorno>> ().
Il comma 2 dell’art. 10-bis esclude, poi, l’applicabilità della disposizione in esame nel caso in cui lo straniero sia stato respinto al valico di frontiera perché carente dei requisiti richiesti dal t.u. imm. per l’ingresso nel territorio dello Stato (art. 10 comma 1) (). Mentre, il reato deve considerarsi integrato nelle ipotesi di c.d. respingimento differito (art. 10 comma 2) ().
Si pone la questione del possibile concorso tra le due ipotesi criminose contenute nell’art. 10-bis. Concorso che deve escludersi sulla base dell’espresso rapporto di alternatività in cui si trovano le due figure di reato (depone in tal senso l’uso della congiunzione “ovvero”) e della tutela del medesimo bene giuridico: l’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori. E comunque – come si è notato – all’ingresso illegale consegue necessariamente una permanenza illecita: sicché “violerebbe il canone del ne bis in idem sostanziale duplicare il rimprovero per un fatto (la permanenza) che costituisce il naturale sviluppo della prima condotta punibile” ().
Quanto all’incriminazione di ingresso illegale, si tratta di un illecito commissivo di natura istantanea: che si consuma definitivamente dunque allorché lo straniero entri – in qualsiasi modo – nel territorio dello Stato (come nel caso di reingresso illegale ex art. 13 comma 13 t.u. imm.). L’ingresso deve avvenire in violazione delle norme che disciplinano l’entrata sul suolo italiano: e a tal fine occorre fare riferimento alla disciplina generale prevista nell’art. 4 t.u. imm. e all’art. 1 l. n. 68 del 2007 che regola i soggiorni di breve durata degli stranieri ().
La fattispecie di permanenza illegale ha, invece, natura di reato permanente (). Al riguardo, si è affermato in dottrina che non si tratta di un reato commissivo, fondato sulla condotta attiva di trattenimento, bensì siamo al cospetto di un reato omissivo proprio: lo straniero non si allontana dal territorio italiano trasgredendo le norme che gli vietano il soggiorno ().
In base alla regola generale dell’art. 42 comma 4 c.p., entrambe le figure contravvenzionali sono imputabili indifferentemente a titolo di dolo o di colpa ().
2. In particolare – dopo l’entrata in vigore della l. n. 94 del 2009 – una questione controversa è rappresentata dalla possibilità o meno per lo straniero extracomunitario irregolare di realizzare il reato previsto dall’art. 6 comma 3 t.u. imm., illecito incentrato sulla mancata ottemperanza da parte dello straniero all’ordine di esibizione di un documento di identificazione e/o del permesso di soggiorno.
In precedenza, a seguito della pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione “Mesky” del 2003, si affermava infatti che soggetto attivo del reato può essere sia lo straniero che soggiorna regolarmente in Italia – il quale a scelta può esibire uno dei quattro tipi di documenti – sia lo straniero “irregolare”, che può mostrare il passaporto o un altro documento di identificazione personale. Il reato si configura pertanto sia se lo straniero, regolare o clandestino, non esibisce almeno uno qualsiasi dei documenti previsti dall’art. 6 comma 3 t.u. imm. pur essendone in possesso; sia altresì se lo straniero essendo clandestino non si sia munito preventivamente del passaporto o di altro documento di identificazione, e dunque non possa mostrarlo in presenza di una richiesta di un agente di pubblica sicurezza ().
Alla luce delle modifiche del 2009, sulla scorta di una interpretazione sistematica dell’art. 6 comma 3 t.u. imm., è mutato il novero dei possibili soggetti attivi del reato de quo. Ebbene, l’inserimento della incriminazione che sanziona penalmente l’ingresso e il soggiorno illegale dello straniero extracomunitario (art. 10-bis t.u. imm.) e la contemporanea modifica dell’art. 6 comma 3 scindono la coppia dei possibili astratti soggetti attivi: stranieri regolari/irregolari, lasciando esclusivamente nell’ambito della fattispecie tipica gli stranieri regolari; conseguenza prodottasi coll’inserimento della congiunzione copulativa “e” fra le classi di documenti da mostrare. Si è sostituito, invero, nella struttura linguistica della disposizione la congiunzione con valore disgiuntivo “o” con la congiunzione copulativa “e”: la quale segnala un indispensabile collegamento tra le diverse classi di documenti da esibire (passaporto/documento di identificazione e permesso di soggiorno/documento attestante la “regolarità”).
Gli extracomunitari irregolari non colpiti da un precedente ordine di espulsione ovvero di allontanamento rispondono esclusivamente del reato di cui all’art. 10-bis; per il passato si è verificata una perdita di rilevanza penale della sottofattispecie relativa alla mancata esibizione del documento di identificazione.
In definitiva, attualmente il soggetto attivo del citato reato ex art. 6 t.u. imm. può essere soltanto lo straniero che sia regolarmente soggiornante in Italia. Il reato non è più applicabile all’extracomunitario irregolare, il quale per definizione non è in possesso del permesso di soggiorno o di altro documento comprovante la regolarità della sua presenza.
3. Il nuovo reato d’immigrazione clandestina è stato di recente oggetto di una importante pronuncia della Corte costituzionale (sent. 8 luglio 2010, n. 250, Pres. Amirante e Rel. Frigo).
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le varie questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998.
In particolare, nelle ordinanze di rimessione si è dedotta la violazione dell’art. 25 secondo comma Cost., in quanto la disposizione censurata sanzionerebbe penalmente una particolare condizione personale e sociale – quella di straniero <<clandestino>>, derivante dalla mera violazione delle norme che disciplinano l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato – e non già la commissione di un fatto offensivo di un bene costituzionalmente protetto.
Per la Corte costituzionale, invece, <<il dedotto vulnus costituzionale non è riscontrabile. Contrariamente a quanto sostiene il giudice rimettente, non si può infatti ritenere che l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, introducendo nell’ordinamento la contravvenzione di <<ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato>>, penalizzi una mera <<condizione personale e sociale>> – quella, cioè, di straniero <<clandestino>> (o, più propriamente, <<irregolare>>) – della quale verrebbe arbitrariamente presunta la pericolosità sociale. Oggetto dell’incriminazione non è un <<modo di essere>> della persona, ma uno specifico comportamento, trasgressivo di norme vigenti. Tale è, in specie, quello descritto dalle locuzioni alternative <<fare ingresso>> e <<trattenersi>> nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del testo unico sull’immigrazione o della disciplina in tema di soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio, di cui all’art. 1 della legge n. 68 del 2007: locuzioni cui corrispondono, rispettivamente, una condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente il cui nucleo antidoveroso è omissivo (l’omettere di lasciare il territorio nazionale, pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima la permanenza)>>.
Prosegue, poi, la Corte asserendo che la <<condizione di cosiddetta “clandestinità” non è un dato preesistente ed estraneo al fatto, ma rappresenta, al contrario, la conseguenza della stessa condotta resa penalmente illecita, esprimendone in termini di sintesi la nota strutturale di illiceità (non diversamente da come la condizione di pregiudicato per determinati reati deriva, salvo il successivo accertamento giudiziale, dall’avere commesso i reati stessi). Né può condividersi, per altro verso, l’assunto in forza del quale si sarebbe di fronte ad un illecito <<di mera disobbedienza>>, non offensivo – anche solo nella forma della messa in pericolo – di alcun bene giuridico meritevole di tutela: illecito la cui repressione darebbe vita ad una ipotesi di <<diritto penale d’autore>>, al di sotto della quale si radicherebbe l’intento di penalizzare, ex se, situazioni di povertà ed emarginazione (e ciò similmente a quanto si verificava, in passato, mediante la fattispecie contravvenzionale – dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 519 del 1995 – della cosiddetta mendicità non invasiva, di cui all’art. 670, primo comma, cod. pen.). Il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice è, in realtà, agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non può considerarsi irrazionale ed arbitraria – trattandosi, del resto, del bene giuridico “di categoria”, che accomuna buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998 – e che risulta, altresì, offendibile dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero. L’ordinata gestione dei flussi migratori si presenta, in specie, come un bene giuridico “strumentale”, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata. Ciò, secondo una strategia di intervento analoga a quella che contrassegna vasti settori del diritto penale complementare, nei quali la sanzione penale – specie contravvenzionale – accede alla violazione di discipline amministrative afferenti a funzioni di regolazione e controllo su determinate attività, finalizzate a salvaguardare in via preventiva i beni, specie sovraindividuali, esposti a pericolo dallo svolgimento indiscriminato delle attività stesse (basti pensare, ad esempio, al diritto penale urbanistico, dell’ambiente, dei mercati finanziari, della sicurezza del lavoro). Caratteristica, questa, che, nel caso in esame, viene peraltro a riflettersi nell’esiguo spessore della risposta punitiva prefigurata dalla norma impugnata, di tipo meramente pecuniario>>.
Inoltre, in conclusione, per la Corte costituzionale la scelta operata dal legislatore italiano con la novella del 2009 è tutt’altro che isolata nel panorama internazionale: <<l’analisi comparatistica rivela, difatti, come norme incriminatrici dell’immigrazione irregolare di ispirazione similare, talora accompagnate dalla comminatoria di pene anche significativamente più severe di quella prevista dalla norma scrutinata, siano presenti nelle legislazioni di diversi Paesi dell’Unione europea: e ciò tanto nell’ambito dei Paesi più vicini al nostro per tradizioni giuridiche (quali la Francia e la Germania), che fra quelli di diversa tradizione (quale il Regno Unito)>>.
Bibliografia.
Cass., sez. un., 29 ottobre 2003, n. 21, Mesky, in Cass. pen., 2004, p. 776 ss., con nota di M. GAMBARDELLA, Lo straniero clandestino e la mancata esibizione del documento di identificazione.
Cass., sez. I, 23 settembre 2009, n. 44157, Calmus, in Foro it., II, 2010, c. 70 ss., con osservazioni di G. Giorgio.
DONINI M., Il cittadino extracomunitario da oggetto materiale a tipo d’autore nel controllo penale dell’immigrazione, in Questione giustizia, n. 1/2009, p. 105 ss.
GATTA G. L., Il “reato di clandestinità” e la riformata disciplina penale dell’immigrazione, in Dir, pen. e proc., 2009, p. 1327.
MASERA L., “Terra bruciata” attorno al clandestino: tra misure penali simboliche e negazione reale dei diritti, in Il “pacchetto sicurezza” 2009, a cura di O. Mazza e F. Viganò, Giappichelli, 2009, p. 38.
RENOLDI C., I reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato, in Dir. imm. e cittadinanza, 2009, n. 4, p. 38 ss.
Trib. Bologna, 19 ottobre 2009, Han Bing, in Foro it., II, 2010, c. 70 ss., con osservazioni di G. GIORGIO.
Relazione tenuta in Prishtina, Kosovo, in data 11 settembre 2010 in occasione della “International Conference: Penal Protection of Human Dignity in Globalisation Era, 11-13 September 2010, Prishtina, Kosova”.
C. RENOLDI, I reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato, in Dir. imm. e cittadinanza, 2009, n. 4, p. 38 ss. Più in generale, sulla distinzione, in tema di delitti in materia di immigrazione, fra l’immigrato come oggetto materiale, autore o vittima, cfr. M. DONINI, Il cittadino extracomunitario da oggetto materiale a tipo d’autore nel controllo penale dell’immigrazione, in Questione giustizia, n. 1/2009, p. 105 ss.
Ha chiarito in proposito la Suprema Corte che una volta contestato allo straniero il reato di trattenimento illegale nel territorio dello Stato, previsto dall’art. 10-bis, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (testo unico delle leggi sull’immigrazione), il giudice di pace che ritenga configurabile la più grave ipotesi di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore, prevista dal successivo art. 14-ter, non può mandare assolto l’imputato, ad evitare che si formi il divieto del “ne bis in idem” sul medesimo fatto, ma deve trasmettere gli atti al P.M. competente per territorio, dichiarando la propria incompetenza per materia (Cass., sez. I, 7 aprile 2010, n. 16765, Hassan, in C.E.D. Cass., n. 246928).
Cfr. G.L. GATTA, Il “reato di clandestinità” e la riformata disciplina penale dell’immigrazione, in Dir, pen. e proc., 2009, p. 1327, il quale nota come, anche in assenza di questa disposizione, il reato non sarebbe stato egualmente configurabile, poiché lo straniero respinto alla frontiera non ha in realtà fatto ingresso nel territorio italiano.
Così L. MASERA, “Terra bruciata” attorno al clandestino: tra misure penali simboliche e negazione reale dei diritti, in Il “pacchetto sicurezza” 2009, a cura di O. Mazza e F. Viganò, Giappichelli, 2009, p. 38. Altro autore, esclude invece il concorso di reati, sulla considerazione siamo in presenza di modalità alternative di realizzazione di un unico reato; entrambe le condotte danno luogo alla violazione di un’unica norma incriminatrice e all’applicazione di una medesima disciplina sanzionatoria G.L. GATTA, Il “reato di clandestinità”, cit., p. 1327.
Cfr. L. MASERA, “Terra bruciata”, cit., p. 44, che approfondisce altresì il tema della possibile ignoranza inevitabile della legge penale ex art. 5 c.p.
Cass., sez. un., 29 ottobre 2003, n. 21, Mesky, in Cass. pen., 2004, p. 776 ss., con nota di M. GAMBARDELLA, Lo straniero clandestino e la mancata esibizione del documento di identificazione.
In realtà, in modo non condivisibile nella prima sentenza edita della Suprema Corte si è ritenuto ancora configurabile il reato previsto all’art. 6 comma 3 t.u. imm. nei confronti del cittadino extracomunitario che si trovi irregolarmente nel territorio dello Stato (Cass., sez. I, 23 settembre 2009, n. 44157, Calmus, in Foro it., II, 2010, c. 70 ss., con osservazioni di G. Giorgio). La Giurisprudenza di merito sembra orientata in senso difforme, ritenendo che il reato previsto dall’art. 6 comma 3 t.u. imm. – dopo l’entrata in vigore della l. n. 94 del 2009 – non può più essere realizzato dallo straniero extracomunitario irregolare (Trib. Bologna, 19 ottobre 2009, Han Bing, in Foro it., II, 2010, c. 70 ss., con osservazioni di G. GIORGIO; nello stesso senso, cfr. Trib. Orvieto, 16 febbraio 2010, James; Trib. Orvieto, 2 marzo 2010, Soimu; Trib. Orvieto, 1 giugno 2010, Postica).
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento