Dopo la sottoscrizione del contratto, competente è il giudice ordinario
le vicende afferenti l’esecuzione del contratto, anche a seguito delle modificazioni introdotte al Codice dei contratti per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs. 53/2010 (e, quindi, dell’approvazione del nuovo codice del processo amministrativo, di cui al D.Lgs. 104/2010), esulano dalla cognizione del giudice amministrativo.
Ciò preliminarmente posto – e confutata, quindi, la presenza di una cognizione giurisdizionale del giudice amministrativo sulla vicenda a fronte della quale parte ricorrente assume essersi formato silenzio giuridicamente significativo – va in linea di principio esclusa la configurabilità di una sorta di (generalizzata) giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo stesso sul silenzio, in quanto tale istituto integra uno strumento diretto a superare l’inerzia della P.A. nell’emanazione di un provvedimento amministrativo, a fronte di una posizione di mero interesse legittimo in capo al cittadino:
con la conseguenza che, in presenza di una posizione di diritto soggettivo, la tutela giurisdizionale è ammissibile solo attraverso la proposizione di un’azione di accertamento e/o di condanna davanti al giudice munito di giurisdizione.
A conferma dell’esposto assunto, milita, con dirimente valenza ermeneutica, la previsione legislativa che consente all’adito organo di giustizia amministrativa, al ricorrere dei contemplati presupposti, di pronunziarsi in ordine alla fondatezza dell’istanza: ipotesi che, con ogni evidenza, necessariamente postula che il giudice amministrativo sia fornito di cognizione giurisdizionale sul rapporto controverso.
Va quindi confermato l’orientamento formatosi sul previgente art. 21-bis della legge 1034/1971, circa la configurazione di una fattispecie normativa operante esclusivamente sul versante processuale, la quale presuppone – ma non fonda – la giurisdizione del giudice amministrativo
Passaggio tratto dalla sentenza numero del 9059 del 21 novembre 2011 pronunciata dal Tar Lazio, Roma
Le illustrate conclusioni non mutano ove si consideri la disciplina ora dettata dal codice del processo amministrativo, con riferimento alla quale va osservato che:
– se, da un lato, l’art. 133 non annovera il giudizio sul silenzio tra le ipotesi di giurisdizione esclusiva;
– d’altro canto, la previsione dettata dall’art. 31, comma 3, consente al giudice di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio “solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione”: disposizione, questa, la quale con ogni evidenza postula, come precedentemente esposto, la giurisdizione del giudice amministrativo sulla materia controversa.
Va quindi – e conclusivamente – escluso che l’art. 31 del codice (in cui è traslato l’art. 21-bis della legge n. 1034/1971) abbia inteso introdurre un rimedio di carattere generale, esperibile in tutte le ipotesi di comportamento inerte della P.A. e pertanto sempre ammissibile indipendentemente dalla giurisdizione del giudice amministrativo (il quale verrebbe, pertanto, a configurarsi come giudice del silenzio della P.A.); quanto, piuttosto, codificare un istituto giuridico di elaborazione giurisprudenziale relativo alla esplicazione di potestà pubblicistiche correlate alle sole ipotesi di mancato esercizio dell’attività amministrativa discrezionale (Cons. Stato, sez. IV, 2 novembre 2004 n. 7088 e sez. V, 29 aprile 2003 n. 2196; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 7 dicembre 2010 n. 4696; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 3 novembre 2005 n. 4413; T.A.R. Lazio, Latina, 18 ottobre 2004 n. 999).
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