Mobbing ed onere della prova a carico del lavoratore (Cass. civ., n. 87/2012)

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Massima

In ipotesi di “mobbing” laddove la responsabilità del datore di lavoro ha fonte sia contrattuale – art. 2087 c.c. – sia extracontrattuale – art. 2043 c.c. -, il regime di ripartizione dell’onere della prova è quello più favorevole al dipendente e pertanto quello contrattuale; conseguentemente spetta al datore di lavoro dimostrare di aver posto in essere tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psico-fisica del dipendente, mentre spetta al lavoratore dimostrare l’esistenza del nesso causale tra l’evento lesivo e il comportamento del datore di lavoro.

  

1. Premessa

Come è noto, “il “mobbing” si identifica in atti e comportamenti ostili, vessatori e di persecuzione psicologica, posti in essere dai colleghi, il c.d. “mobbing” orizzontale, e/o dal datore di lavoro e dai superiori gerarchici, il c.d. “mobbing” verticale, nei confronti di un dipendente, individuato come vittima, atti e comportamenti intenzionalmente volti ad isolarla ed emarginarla nell’ambiente di lavoro, e spesso finalizzati ad ottenerne l’estromissione. Elemento essenziale, dunque, per definire come esistente un comportamento di “mobbing” è che la vessazione psicologica sia attuata in modo sistematico, ripetuto per un apprezzabile periodo temporale, così da far assumere significatività oggettiva a tali atti, tipici dell’imprenditore o meno, e permettendo di distinguerli dall’indeterminatezza dei rapporti interpersonali ed in particolare dal conflitto puro e semplice” (1).

Con l’espressione mobbing “si intende una successione di fatti e comportamenti posti in essere dal datore di lavoro con intento emulativo ed al solo scopo di recare danno al lavoratore, rendendone penosa la prestazione, condotto con frequenza ripetitiva ed in un determinato arco temporale sufficientemente apprezzabile e valutabile. Non è sufficiente ad integrare la fattispecie del “mobbing” l’allegazione e la prova – il relativo onere incombe sul lavoratore – di fatti che denotano esclusivamente la sussistenza di divergenze di vedute tra il lavoratore ed il suo superiore gerarchico” (2).

Per integrare la fattispecie di mobbing non basta una situazione conflittuale nei rapporti interpersonali ma è necessario che esista una condotta vessatoria, reiterata e duratura, finalizzata all’isolamento del lavoratore nel proprio contesto lavorativo ovvero alla sua estromissione dall’azienda e che l’effetto di tali soprusi provochi nel soggetto “mobbizzato” uno stato di disagio psichico e l’insorgere di un danno alla salute.

È inoltre indispensabile che, verificatisi tali presupposti, i titolari del rapporto sinallagmatico, obbligati a tutelare la salute psico-fisica dei propri dipendenti, omettano di intervenire per interrompere i comportamenti vessatori, con ciò assumendosi la responsabilità delle conseguenze di tali condotte (artt. 2049 e 2087 c.c.).

 

 2. Onere della prova e mobbing

L’accertamento della sussistenza di un’ipotesi di mobbing è soggetta ad un accertamento caso per caso e presuppone la ricerca di un punto di equilibrio tra l’esigenza di tutelare i lavoratori che rimangono vittime di iniziative persecutorie e la necessità di evitare una “giuridificazione” eccessiva e patologica dei rapporti umani in ambito lavorativo, che comporterebbe l’attribuzione di sanzione giuridica a qualsiasi scorrettezza o a qualunque evento della convivenza umana nel luogo di lavoro.

In particolare la giurisprudenza di merito e di legittimità ritiene di aderire all’orientamento secondo il quale occorre verificare la pluralità di comportamenti e di azioni a carattere oggettivamente persecutorio, prolungatamente dirette contro il dipendente (Cass. Civ., sez. lavoro, 23.3.2005, n.6326; Trib. Marsala, 5.11.2005); l’evento dannoso; il nesso di causalità tra la condotta e il danno; la prova dell’elemento soggettivo. L’onere dell’allegazione e della prova ricade sul ricorrente, alla stregua degli ordinari principi processuali, mentre spetta al datore di lavoro dimostrare di aver posto in essere tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psico-fisica del dipendente.

 

Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente, dal 1 ° novembre 2009 ad oggi, della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

 

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(1) Tribunale Milano, 31 luglio 2003.
(2) Tribunale Milano, 26 aprile 2004. 

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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