La fattispecie che ci accingiamo ad analizzare, costituisce un chiaro esempio di prevalenza di una situazione di fatto su una situazione di diritto.
Ciò emerge con tutta evidenza laddove l’Ordinamento Giuridico riconosce il diritto di agire giudizialmente per la richiesta di risarcimento dei danni da perdita dell’animale d’affezione, non a colui che risulta iscritto all’anagrafe canina quale proprietario dell’animale, ma, al contrario, alla persona che ha instaurato nel tempo una relazione affettiva con lo stesso.
In particolare, si richiede che la legittimazione ad agire spetti a colui che si è preso cura dell’animale e che abbia con lo stesso costituito un rapporto affettivo tale da assumere la veste non tanto di proprietario, ma di “padrone” dell’animale stesso.
Nella predetta circostanza, il Legislatore lascia ampio spazio e rilevanza giuridica al particolare legame affettivo che va a connotare il rapporto uomo-animale e che per ciò stesso, a seguito della perdita di quest’ultimo, causa nel c.d. padrone un danno affettivo di tale entità da legittimare quest’ultimo a chiedere il risarcimento del danno.
Il Legislatore sembra dare importanza alla relazione fattuale che s’instaura tra uomo ed animale anche laddove individua il responsabile per il danno cagionato da animali; infatti, l’art. 2052 c.c. afferma che: “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui l’ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”. Anche in tale caso, quindi, la locuzione “o” contenuta nel testo dell’articolo, lascia trapelare la rilevanza giuridica, ai fini della configurazione della responsabilità per il fatto compiuto, non solo della qualità di proprietario, ma anche di una semplice relazione di mero fatto che l’uomo instaura con l’animale quale può essere, l’uso, il governo, la cura, ecc…
Per quanto riguarda l’aspetto relativo al risarcimento del danno conseguenziale alla perdita dell’animale d’affezione, possiamo dire che la giurisprudenza non considera il predetto evento dannoso quale violazione di interessi costituzionalmente garantiti; di conseguenza preclude qualsiasi forma di risarcimento del danno di natura non patrimoniale. Più specificatamente, si ritiene che si tratti di un danno avente natura c.d. bagatellare e tale, quindi, da non ricevere tutela da parte del nostro Ordinamento Giuridico.
In particolare modo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2008, hanno a più riprese asserito che il danno non patrimoniale viene riconosciuto nelle situazioni in cui si riscontri una ipotesi di reato, nel caso in cui venga tipizzato dal Legistlatore, oppure qualora si verifichi una concreta ed effettiva violazione di diritti costituzionalmente tutelati.
Tali asserzioni, ci inducono a considerare il danno da perdita dell’animale d’affezione come privo di qualsivoglia pregiudizio alla sfera morale di colui che magari per tanti anni si è preso cura dell’animale stesso considerandolo quasi come un membro della propria famiglia.
Recentemente la Corte di Cassazione Sez. III con sentenza n. 4493/’2009 non uniformandosi a quanto stabilito dalle sentenze gemelle del 2008, ha ammesso la risarcibilità del danno morale a favore di colui che ha subito la perdita del proprio animale, sottolineando che il giudice di pace può disporre l’indennizzo del danno non patrimoniale anche fuori dei casi determinati dalla legge e di quelli attinenti alla lesione dei valori della persona umana costituzionalemente protetti, se il danneggiato dimostra, anche senze presunzioni, il pregiudizio subito.
Con la suddetta pronuncia, la giurisprudenza di legittimità ha voluto mettere in evidenza che nell’ambito del giudizio di equità, è possibile riconoscere il risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita dell’animale d’affezione, purché ciò sia giustificato dall’assolvimento dell’onere probatorio da parte del danneggiato che invochi in tale caso tutela.
In tale circostanza, la Corte esclude la configurazione automatica dell’evento dannoso a seguito del verificarsi del fatto illecito di cui si discute e richiede espressamente la dimostrazione probatoria del suo verificarsi ad opera di colui che ne ha subito effettivo pregiudizio.
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