Le regole sul riparto di giurisdizione sfuggono, per loro natura, alla disponibilità delle parti.
se la camera di commercio può inquadrarsi tra gli organismi di diritto pubblico, anche gli organi che ne sono emanazione devono seguire le relative regole, non potendo ammettersi che un organismo di diritto pubblico possa dismettere la sua veste semplicemente dando vita ad altre entità per perseguire la sua missione istituzionale.
il c.d. “autovincolo” (consistente nella condotta di un soggetto che, pur non onerato da alcuna disposizione nazionale o comunitaria all’utilizzo di sistemi di scelta del contraente di natura evidenziale vi ricorra) non può spiegare effetti in punto di attribuzione della controversia alla giurisdizione amministrativa.
Al fine della giurisdizione non rileva infatti che imprese non legalmente obbligate all’osservanza di moduli tipici della contrattualistica pubblica decidano ugualmente di adeguare la propria attività a dette regole, posto che la scelta della procedimentalizzazione, frutto di un’autonoma e consentita scelta negoziale, non è idonea a interferire sull’inderogabile regime del riparto, che resta insensibile a un eventuale “autovincolo” (Cons.giust.amm., sez. giurisd., 10 settembre 2010, n. 1197).
Del resto non v’è chi non veda che un’opposta soluzione finirebbe per il rimettere, implicitamente, l’individuazione del giudice deputato a decidere una controversia alla autonoma scelta di una delle parti: quando invece le regole sul riparto di giurisdizione sfuggono, per loro natura, alla disponibilità delle parti. Il principio è stato di recente ribadito da Cons. Stato, Ad. plen., 1 agosto 2011, n. 16.
Nel caso di specie, tuttavia, la spettanza alla giurisdizione amministrativa non poggia sul rilievo dell’”autovincolo” ed anzi ne prescinde.
L’art. 133 Cod. proc. amm. presuppone la giurisdizione, allorché fa riferimento alle controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative”.
Quali siano i soggetti “tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale” si ricava dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che, all’art. 3 individua, tra l’altro, le amministrazioni aggiudicatrici.
Se un’amministrazione rientra in tale novero, le si applica il predetto decreto e da ciò discende che le procedure da quella bandite rientrano nella giurisdizione amministrativa: sia se trattasi di procedure per importi sopra la soglia comunitaria, che per quelle (come quella per cui è causa) “sottosoglia”.
Tale conseguenza discende dall’art. 122, che, per gli appalti sotto soglia ha dettato un corpo di norme omogenee, “per sottrazione” rispetto alle norme disciplinanti le procedure di più elevato importo, delineando una procedura semplificata ma pur sempre evidenziale.
Ciò che più rileva, è che il citato decreto legislativo attribuisce la giurisdizione per le dette procedure (seppure “semplificate”) parimenti alla giurisdizione amministrativa.
Dato questo quadro normativo, può dirsi definitivamente superato l’orientamento giurisprudenziale non incontroverso affermatosi in precedenza secondo cui talune “amministrazioni aggiudicatrici”, non soggette ad obblighi evidenziali con riferimento alle procedure “sottosoglia” potevano scegliere il contraente secondo moduli privatistici e le controversie relative a tale attività esulavano dalla giurisdizione del giudice amministrativo.
Riportiamo qui di seguito il testo della decisione numero 6211 del 24 novembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato.
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