Il consenso informato quale scriminante riguardo all’esito di una prestazione di chirurgia estetica

 

Una paziente sottoposta ad un intervento di chirurgia estetica, di mastoplastica additiva e mastopessi, ha chiesto la condanna del chirurgo e della clinica ove si è svolto l’intervento al risarcimento dei danni subiti a causa del deludente risultato estetico relativo all’intervento estetico.

La ricorrente, inoltre, ha chiesto un risarcimento danni lamentando una non completa informazione da parte del chirurgo nei suoi riguardi2.

Sia la chirurga sia la clinica hanno eccepito, in prima battuta, la nullità dell’atto di citazione per la mancata individuazione delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della domanda attorea.

Su tale aspetto il collegio giudicante, in riferimento all’art. 163, n. 4, cpc3 dedotto dai convenuti, ha rilevato che la domanda giudiziale va interpretata non esclusivamente attenendosi al suo contenuto letterale ma anche alla luce delle sue pretese oltre che delle finalità perseguite nel giudizio.

Poiché la causa petendi, alla luce di questa interpretazione ‘allargata’ non può ritenersi incerta o, addirittura, omessa la eccezione è stata rigettata.

La clinica, in aggiunta, aveva eccepito la inesistenza di una propria corresponsabilità4 per l’esito non soddisfacente dell’intervento chirurgico svoltosi nei suoi locali. Anche questa eccezione non è stata accolta in quanto risulta evidente dalla lettura della domanda attorea la presenza di contestazioni nei confronti della clinica.

Il TAR5 dopo avere giudicato in merito alle eccezioni sollevate dalle parti convenute, che sono state tutte rigettate, ha focalizzato il proprio giudizio sull’accertamento della responsabilità professionale della chirurga e, conseguentemente, della clinica ove si è svolto l’intervento.

Gli aspetti scrutinati sono stati i seguenti: la assenza della necessaria diligenza professionale e la mancata acquisizione del consenso pienamente informato.

In merito al primo aspetto, allorché l’istante assuma di avere subito un danno a seguito di una prestazione medico-chirurgica attiva una ipotesi di responsabilità contrattuale6 basata su un rapporto negoziale scaturente dal contatto sociale o da un vero e proprio negozio giuridico (contratto).

Ragion per cui “in tema di risarcimento del danno, il chirurgo, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti alla propria attività professionale, è tenuto ad una diligenza, che non è solo quella del buon padre di famiglia, ex art 1176, comma 1, C. civ, ma è quella specifica del debitore qualificato, come prescritto dall’art. 1176, comma 2, C. civ. la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica”.

Il consulente d’ufficio (CTU) nominato dal Collegio giudicante ha relazionato affermativamente in merito al rispetto di tali regole da parte della dottoressa che ha utilizzato per il suo interveto le tecniche più innovative in quel preciso momento, il che induce a ritenere che l’esito indesiderato subito dal paziente non è imputabile ad un errore del chirurgo.

Il CTU ha stabilito, di conseguenza, non essere rinvenibile un nesso causale tra la tecnica chirurgica eseguita e le complicazioni insorte (scivolamento della protesi ed infiammazione).

Il TAR, sulla scorta della relazione peritale, ha, quindi, escluso la responsabilità professionale del chirurgo.

In merito al secondo aspetto su cui si è fondata la decisione del Collegio giudicante, id est: la mancata acquisizione di un consenso informato congruo all’intervento, la relazione peritale ha ravvisato sussistere le lagnanze di parte attorea atteso che il modello utilizzato non conteneva informazioni circa le complicanze dell’intervento e la possibilità di un risultato estetico non in linea con i desiderata della paziente.

Ad avviso del consulente d’ufficio, su questo aspetto, “la possibilità dello scivolamento della protesi e della raccolta infiammatoria (omissis) potevano e dovevano formare oggetto di dettagliata informazione da parte del chirurgo”.

La convenuta, invece, si è limitata a fare presente la esistenza di uno stampato fornito dalla clinica, allegato alla cartella clinica e regolarmente sottoscritto dalla paziente.

L’eccezione è stata rigettata dal TAR a causa della genericità dello stampato impiegato (modulo standard) le cui informazioni non comprendevano anche quelle tipiche di un intervento di chirurgia estetica.

Ragion per cui si è in presenza di una assente manifestazione di consenso informato e consapevole da parte della paziente e, citando la giurisprudenza della Cassazione in merito, i Giudici di primo grado hanno affermato che “la mancata richiesta del consenso costituisce autonoma fonte di responsabilità qualora dall’intervento scaturiscano effetti lesivi per il paziente, per cui nessun rilievo può avere il fatto che l’intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto”. (Cassazione n. 9374/1997)

Ciò a significare che in assenza di consenso informato da parte del paziente la prestazione medica rappresenta un illecito con la conseguenza che il sanitario si fa carico delle conseguenze negative anche allorquando abbia correttamente eseguito quella prestazione.

Il Collegio giudicante ha compiuto un ulteriore sforzo ermeneutico finalizzato allo stabilire se per la effettiva responsabilità del medico debba sussistere un nesso causale tra la mancata informazione, rectius: acquisizione del consenso consapevole7, e il pregiudizio lamentato dalla paziente.

Su tale aspetto è intervenuta, di recente, anche la Cassazione, sentenza n. 2847/2010, secondo la quale bisogna domandarsi se “la condotta omessa avrebbe evitato l’evento ove fosse stata tenuta; se, cioè l’adempimento da parte del medico dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico dal quale…senza colpa di alcuno lo stato patologico è poi derivato.”

In atri termini, deve potersi provare che il paziente una volta debitamente informato non avrebbe acconsentito all’intervento perché, altrimenti, la omessa informazione e acquisizione del consenso da parte del medico non avrebbe evitato l’evento.

In merito alla determinazione dell’onere della prova, la Cassazione ha stabilito che tale obbligo sia a carico del paziente per una serie di ragioni: in quanto è lui che fonda la sua pretesa risarcitoria sull’altrui inadempimento; perché il fatto da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al chirurgo ed, infine, perché si tratta di stabilire quale sarebbe stata la scelta del paziente.

Il TAR, quindi, ha rigettato la domanda risarcitoria8 perché la paziente non ha fornito la prova che se fosse stata correttamente e compiutamente informata non si sarebbe sottoposta all’intervento; infatti, “non può affatto darsi per scontato che l’attrice non avrebbe comunque accettato il rischio delle conseguenze pregiudizievoli poi di fatto verificatesi, pur di raggiungere l’obiettivo estetico che si era riproposta.”.

2 Sull’argomento sia consentito rimandare a Modesti G.,: La responsabilità medica alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione. Per una rifondazione della responsabilità medica, www.overlex.com (febbraio2007)

3 Art. 163 cpc (Contenuto della citazione) La domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa. (omissis). L’atto di citazione deve contenere: (omissis) 4) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni; (omissis) Comma così sostituito dall’art. 7, L. 26 novembre 1990, n. 353.

4 Sull’argomento sia consentito rimandare a Modesti G.: Quando la responsabilità del chirurgo si estende anche alla clinica (Nota a sentenza Cassazione n. 18805 del 28 agosto 2009), Panorama della Sanità n. 41 del 02 novembre 2009.

5 La sentenza è stata visionata sulla Rivista RAGIUSAN, Rassegna Giuridica della Sanità, Anno XXVIII – n. 325/326 – maggio/giugno 2011

6 Articolo 1176 cod. civ.. 1. Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (Cod. Civ. 703, 1001, 1228, 1587, 1710-2, 1768, 2148, 2167). 2. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata (Cod. Civ. 1838 e seguente, 2104-1, 2174-2, 2236).

7 Sull’argomento sia consentito rimandare a: Modesti G.: Il consenso informato al trattamento medico-chirurgico. Responsabilità civile e penale del medico nei riguardi del paziente¸ su www.iureconsult.com/areatema/responsabilità/medico/index.htm; (agosto 2005); Il rilievo penale dell’assenza di consenso del paziente nel caso in cui l’intervento medico abbia avuto esito fausto; (nota a sentenza Cassazione, Sez. Unite penali, n. 2437 del 10 dicembre ’08 – 21 gennaio ’09) Panorama della Sanità, n. 9 del 9 marzo 2009; RAGIUSAN – Rassegna giuridica della Sanità, Fascicolo 305/306, a. 2009; Il test anti Aids tra la tutela della riservatezza e la acquisizione del consenso informato del paziente (nota a sentenza Cassazione, Sez. III civile – Sentenza 14 novembre 2008 – 30 gennaio 2009, n. 2468); Panorama della Sanità n. 12 del 30 marzo 2009; www.dirittosuweb.com; Il consenso informato del paziente tra normazione statale e regionale (nota a sentenza Corte Costituzionale n. 253 del 23 luglio 2009), Panorama della Sanità n. 43 del 16 novembre 2009; www.diritto.it

8 Un caso analogo è stato commentato dall’Autore e ad esso si rimanda: L’assenza di consenso informato non produce sempre la condanna da parte del medico a risarcire il danno (nota a sentenza Cassazione n. 2847 del 9.2.2010); Panorama della Sanità, n. 14 del 12.04.2010.

Modesti Giovanni

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