Questa volta sembrava quasi fatta per le legittime aspettative di migliaia di lavoratori assunti come LSU da numerose amministrazioni locali, e tanto anche per l’elevato spessore tecnico dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Napoli Sez. Lavoro del 22/02/2011, la quale, al punto 19 della stessa, stigmatizza la prestazione dei lavoratori assunti come LSU, evidenziando come la stessa è caratterizza per essere oraria, con vincolo di Subordinazione, dal pagamento di una somma di denaro, e dal collegamento a stabili finalità istituzionali degli enti pubblici utilizzatori.
Il Tribunale di Napoli era entrato nel merito del rapporto di lavoro, e in conformità degli orientamenti della giurisprudenza comunitaria prevalente, aveva con ordinanza, rimesso gli atti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
La sentenza della Corte di Giustizia emessa nella causa C – 157/11, non brilla certo per chiarezza espositiva, e disattendendo le speranze degli operatori del settore, non ha risolto in maniera definitiva la vexata questio. Infatti, da una parte, ai punti 48 e 49 della sentenza, la Corte dichiara che spetta ai giudici del rinvio e non alla Corte verificare nel caso concreto se la qualifica di LSU sia soltanto formale e nasconde un reale rapporto di lavoro ai sensi del diritto italiano; dall’altra ai punti 53 e 54, evidenzia come la clausola 2 punto 2 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva Comunitaria 1999/70 CE, offra agli Stati membri, alle Pubbliche Amministrazioni e alle parti sociali, la possibilità di sottrarre il campo di applicazione di tale accordo quadro ai rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato, nonché ai contratti e ai rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici.
Al punto 56 inoltre, viene specificato come il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione circa l’impiego di tali lavoratori, deve essere effettuato in modo trasparente ed è necessario un controllo per evitare che un lavoratore sia privato della tutela che l’accordo quadro intende garantirgli.
Nelle sue conclusioni, la Corte dichiara che la clausola 2 dell’ accordo quadro su lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70 CE, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, che prevede che il rapporto costituito tra i LSU e le amministrazioni pubbliche per cui svolgono le loro attività, non rientri nell’ambito di applicazione di detto accordo quadro, qualora tali lavoratori non beneficino di un rapporto di lavoro quale definito dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi nazionale in vigore, oppure gli Stati membri e/o le parti sociali abbiano esercitato la facoltà loro riconosciuta al punto 2 di detta clausola.
Dalle conclusioni si evince chiaramente la compatibilità tra la normativa italiana che disciplina le prestazioni di lavoro degli LSU, con il quadro normativo comunitario che tutela le forme contrattuali atipiche dei rapporti di lavoro.
Si evidenzia inoltre, che l’interpretazione di una sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, viene effettuata non solo dalla lettura delle sue conclusioni, ma anche dei relativi punti esplicativi in essa inseriti.
In ordine alla possibile applicazione di tale sentenza ai giudizi instaurati e instaurandi, si rileva che una interpretazione restrittiva della stessa, potrà offrire alle Pubbliche Amministrazioni, validi argomenti in diritto, al fine di giustificare giuridicamente l’abuso di tale tipo di prestazione lavorativa, garantendo di fatto la possibilità di raggirare le norme minime di tutela prevista dalla Direttiva Comunitaria 1999/70 CE per i lavoratori assunti a tempo determinato.
Probabilmente il cammino per il riconoscimento dei diritti degli Lsu è ancora irto di ostacoli, e nell’immediato futuro, attendiamoci ulteriori pronunce da parte della Corte di Giustizia.
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