1. Premessa ed impostazioni costituzionali e giurisprudenziali di legittimità
L’annosa questione in trattazione, attiene alle conseguenze derivanti dalla mancata o ritardata iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., rubricata “registro delle notizie di reato” ed è strettamente collegata al riconoscimento o meno del potere del giudice di sindacare la tempestività della iscrizione da parte del Pubblici Ministeri.
Temendo possibili abusi o arbitrii da parte dei Pubblici Ministeri, nel corso degli anni, diverse Autorità Giudiziarie hanno sollevato l’illegittimità costituzionale della disciplina dei termini delle indagini “ove questa non prevede la possibilità di far retroagire la decorrenza degli stessi nei casi di indebito ritardo o di omissione nella iscrizione ex art. 335 c.p.p.“.
La Corte Costituzionale ha, però, sempre reputato inammissibili le questioni per “ambiguità del petitum” (cfr. Ordinanza n. 306/2005 e n. 400/2006).
Gli approdi, poi, della giurisprudenza di legittimità sono di due tipi:
a) un primo indirizzo di gran lunga prevalente, afferma che “l’omessa annotazione della notitia criminis nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p. (…) non determina l’inutilizzabilità degli atti di indagini compiuti sino al momento dell’effettiva iscrizione, poiché, in tal caso, il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall’art. 407 c.p.p., al cui scadere consegue l’inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, decorre per l’indagato dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel registro delle notizie, e non dalla presunta data nella quale il Pubblico Ministero avrebbe dovuto iscrivere. L’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione, il cui obbligo nasce solo ove a carico di una persona emerga l’esistenza di specifici elementi indizianti e non meri sospetti, rientra nell’esclusiva valutazione discrezionale del pubblico ministero ed è sottratto, in ordine all’an e al quando, al sindacato del giudice, ferma restando la configurabilità di ipotesi di responsabilità disciplinari o addirittura penali nei confronti del Pubblico Ministero negligente”(cfr. Cass. pen., ss.uu., Sent. n. 16/2000, Tammaro). E inoltre, “l’enunciato dell’art. 335 c.p.p. evoca l’incombente della iscrizione nel registro in termini di rigorosa doverosità, nel senso di riconnettere in capo al Pubblico Ministero uno specifico obbligo giuridico, che deve essere adempiuto senza soluzione di continuità e senza alcuna sfera di discrezionalità” (Sent. n. 40583/2009, Lattanzi e Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 2261/2009, Martino);
b) un secondo orientamento, di gran lunga minoritario, afferma che “la tardiva iscrizione del nome dell’indagato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. non determina alcuna invalidità delle indagini preliminari ma consente, tuttavia, al giudice di rideterminarne il termine iniziale, in riferimento al momento in cui si sarebbe dovuta iscrivere la notizia di reato; ne deriva che la tardiva iscrizione può incidere sulla utilizzabilità delle indagini finali ma non sulla utilizzabilità di quelle svolte prima della iscrizione (…)“ (Cass. pen., Sez. V, Sent. n. 1410/2006, Boscarato).
2. Il ruolo del Pubblico Ministero
L’obbligo imposto al Pubblico Ministero di iscrivere la notitia criminis nell’apposito registro, previsto dall’art. 335 c.p.p., risponde all’esigenza di garantire il rispetto dei termini di durata delle Indagini Preliminari e presuppone che a carico di una persona nota emerga l’esistenza di specifici elementi indizianti, e non di meri sospetti. Nel caso di trasmissione degli atti del procedimento, per competenza territoriale, da un ufficio del Pubblico Ministero ad altro ufficio del Pubblico Ministero, il dies a quo della durata delle Indagini Preliminari deve individuarsi nella data in cui il nome dell’indagato è stato iscritto nel registro delle notizie di reato del pubblico ministero ritenutosi successivamente competente (Sent. Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 45725/2005).
Inoltre, l’obbligo del Pubblico Ministero di procedere “immediatamente” alle iscrizioni previste nell’art. 335, comma 1 c.p.p. non implica la rigidità di un termine computabile ad ore o a giorni e può ritenersi regolarmente adempiuto pur quando l’iscrizione sia avvenuta, per certe plausibili ragioni, a distanza di qualche giorno rispetto alla data di acquisizione della notitia stessa. Infatti, il Pubblico Ministero non può non fruire di un certo ambito temporale per l’esame, la valutazione e l’individuazione del nome del soggetto da iscrivere nel registro degli indagati.
In sintesi, il compito della “iscrizione” è soggettivamente demandato al Pubblico Ministero, cui pertanto viene conferito il relativo munus, senza che il disposto normativo consenta di intravedere altre figure legittimate a surrogare il “ritardato” esercizio di tale potere-dovere; in dettaglio, la circostanza, che il Pubblico Ministero sia chiamato ad iscrivere “immediatamente” la notitia criminis ed il nominativo dell’indagato evoca un’incombenza doverosamnete rigorosa, nel senso di riconnettere in capo all’organo titolare dell’azione penale uno specifico ed indilazionabile obbligo giuridico, ricordando che lo stesso si trova al di fuori di qualsiasi possibilità di scelta, non solo in relazione all’an, ma anche rispetto al quid e al quando.
3. Il registro delle notizie di reato
Sul registro delle notizie di reato devono essere indicati il tipo di notizia di reato, la sua provenienza, il titolo del reato (e le eventuali successive modificazioni), le generalità del suo autore ed il nome della persona offesa.
In sintesi, presso ogni ufficio di Procura esiste un registro delle notizie di reato, cartaceo ed informatico, nel quale vengono iscritte, secondo un preciso ordine cronologico, le notizie di reato non appena le stesse vengono comunicate.
Ovviamente, nel registro devono essere specificamente annotati: a) il numero di iscrizione del procedimento; b) la fonte della notizia di reato; c) il titolo di reato con luogo e data di commissione; d) le generalità della persona indagata e della persona offesa.
In riferimento al punto d), la Sent. Cass. Pen., Sez. I, n. 4795/1996 ha sancito che “l’iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome della persona alla quale questo è attribuito, per gli effetti che ne derivano ai fini del computo del termine di durata delle indagini e della utilizzabilità degli atti compiuti, postula la completa identificazione della stessa, non essendo sufficiente al riguardo la semplice indicazione del nome e del cognome. Ciò si ricava, tra l’altro, dall’art. 417, comma 1, lett. A), c.p.p., che, tra i requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio, indica le “generalità dell’imputato o le altre indicazioni personali che valgano a identificarlo”.
Per completezza espositiva, occorre ricordare che l’art. 335 c.p.p. si coordina con l’art. 109 disp. att. c.p.p., che stabilisce l’annotazione eseguita ad opera della segreteria del Pubblico Ministero, sugli atti, delle notizia di reato, della data e dell’ora in cui sono pervenuti e li sottopone immediatamente al Pubblico Ministero per l’eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato. Del registro delle notizie di reato esistono cinque modelli:
1) il modello 21 delle notizie di reato a carico di persone note, dove vengono iscritte le notizie di reato per le quali fin dall’origine risulti individuato il nome del presunto autore o per le quali un possibile autore venga individuato dopo l’iscrizione nel registro delle notizie contro ignoti;
2) il modello 21-bis per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace che viene tenuto dalla procura della repubblica presso il tribunale;
3) il modello 44, ossia il registro delle notizie di reato a carico di persone ignote o, comunque, le notizie per le quali il Pubblico Ministero, nel momento in cui ordina l’iscrizione, non è in grado di individuare la persona alla quale debba essere addebitato il reato, ovvero di formulare un addebito nei confronti di un soggetto ben preciso;
4) il modello 45 degli atti non costituenti notizia di reato, nel quale raccogliere, appunto, quegli atti che riposano ancora nel “limbo” della non sicura definibilità, ma che postulano una fase di accertamenti “preliminari” (cd. pseudo-notizie di reato, quali, ad es. gli esposti), tuttavia, qualora si evidenzi la notizia di reato, il Pubblico Ministero dovrà procedere a nuova iscrizione in uno degli altri due registri, a seconda che l’indagato sia noto o ignoto;
5) il modello 46 delle notizie anonime (previsto dagli artt. 108 disp. att. c.p.p. e 5 d.m. n. 334/1989) delle quali, come stabilisce l’art. 333, comma 3, c.p.p., non può essere fatto alcun uso nel procedimento penale, salvo alcune eccezioni e in particolare, l’art. 240 c.p.p. permette che le notizie anonime siano utilizzate se costituiscono corpo del reato o provengono comunque dall’imputato. Per completezza, il registro delle notizie anonime è suddiviso per anni, ed in esso vengono iscritti la data in cui il documento è pervenuto ed il relativo oggetto, inoltre, il registro ed i documenti vengono custoditi presso la Procura della Repubblica con modalità tali da assicurarne la più completa ed assoluta riservatezza per cinque anni, per poi essere distrutti con uno specifico provvedimento adottato con cadenza annuale dal Procuratore della Repubblica.
L’iscrizione della notizia di reato è un atto fondamentale dato che, a far data dalla stessa, decorrono i termini per le indagini preliminari previsti dagli artt. 406 e 415 c.p.p..
Il registro delle notizie di reato è segreto, nel senso che esso non può venire ispezionato da persone diverse da coloro che vi sono addetti e costoro non possono rivelare il suo contenuto a terzi estranei al procedimento penale. Le indagini preliminari sono segrete, dato che si vuole evitare che qualunque persona, conoscendo della loro esistenza o meglio ancora le direzioni in cui esse si spiegano o i risultati che esse forniscono, possa intralciare e disturbare l’accertamento dei fatti contraffacendo, alterando o sopprimendo (inquinando) le prove.
In tema di “data d’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p.“, la Sent. Cass. Pen., Sez. II, n. 24001/1997 ha affermato che essa è uno degli elementi oggettivi necessari, indispensabili e fondamentali in sede di richiesta di applicazione di una misura cautelare. Infatti, il principio di diritto, in riferimento a quanto sopra esposto, è stato il seguente: “in sede di richiesta di applicazione di una misura cautelare il pubblico ministero ha l’onere di allegare tutti gli atti che costituiscono il presupposto della legittimità dell’attività di indagine sui cui esiti si fonda l’istanza di coercizione. Tra tali atti rientrano i decreti autorizzativi e quelli di proroga delle intercettazioni telefoniche nonché la documentazione relativa alla data di iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. ovvero alla proroga delle indagini, in quanto necessaria a stabilire se le investigazioni, i cui risultati sono posti a fondamento della richiesta, siano state espletate nei termini di legge, e ciò sempre che vi siano elementi che possano far sorgere il dubbio della loro inutilizzabilità ai sensi dell’art. 407 comma 3 c.p.p.“.
Gli ultimi due commi dell’art. 335 c.p.p. prevedono la comunicabilità, a richiesta dell’indagato, della persona offesa o dei rispettivi difensori, delle iscrizioni contenute nel registro delle notizie di reato, attraverso il rilascio di apposita certificazione che, ai sensi dell’art. 110-bis disp. att. c.p.p., conterrà la formula “risultano le seguenti iscrizioni suscettibili di comunicazione”, sancendo espressamente il “diritto alla conoscenza della pendenza del procedimento” (pur riconoscendo tuttavia, in alcuni specifici casi, che le iscrizioni restano segrete e gli interessati non possono ottenere la conoscenza ufficiale dell’esistenza del procedimento a proprio carico, es. con riguardo ai procedimenti per criminalità organizzata e per delitti di particolare gravità per i quali le iscrizioni non sono conoscibili, tanto che possono rimanere segrete fino ad un anno) e il potere del Pubblico Ministero, se sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività d’indagine, di disporre con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a tre mesi e non rinnovabile (in tale ultima circostanza, la certificazione rilasciata dalla procura riporterà la formula “non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione” e in particolare, le specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine che giustificano il segreto si ravvisano, secondo il modesto parere dello scrivente, proprio nel pericolo di inquinamento delle prove che verrebbe compromesso senza il segreto sull’iscrizione.
In ultima analisi, il registro delle notizie di reato ha, poi, la funzione di documentare il momento genetico della fase procedimentale, destinata a sfociare in una alternativa ineludibile: l’esercizio dell’azione penale oppure la richiesta di archiviazione.
4. Sent. Cass. Penale, ss.uu., n. 40538/2009
4.1. Decisione a sezioni unite della Cassazione
Come sancito dalla Sent. Cass. Penale, ss.uu., n. 40538/2009, in tema di Indagini Preliminari nel processo penale, notizia di reato ed iscrizione delle notizie stesse, il termine per le Indagini Preliminari decorre dalla data in cui il Pubblico Ministero ha provveduto ad iscrivere, nel registro delle notizie di reato, il nominativo della persona alla quale il reato è attribuito, senza che al giudice sia consentito di stabilire una diversa decorrenza. Gli eventuali ritardi nell’iscrizione, tanto della notizia di reato che del nominativo cui il reato è attribuito, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407, comma 3 c.p.p., anche se si tratta di ritardi colpevoli ed abnormi, fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale. (…) E’ escluso qualsiasi potere in capo al giudice in caso di tardiva iscrizione della notizia di reato, di retrodatare il termine iniziale di decorrenza delle Indagini Preliminari al momento in cui l’iscrizione avrebbe dovuto essere effettuata. (…) Ne deriva che gli atti d’indagine compiuti oltre il termine di durata massima delle Indagini Preliminari stesse, quale avrebbe dovuto essere in caso di corretta e tempestiva iscrizione della notizia di reato ai sensi dell’art. 335 c.p.p. sono comunque utilizzabili. (…) Il Pubblico Ministero, non appena riscontrata la corrispondenza di un fatto di cui abbia avuto notizia ad una fattispecie di reato, è tenuto a provvedere alla iscrizione della “notitia criminis” senza che possa configurarsi un suo potere discrezionale al riguardo. Ugualmente, una volta riscontrati, contestualmente o successivamente, elementi obiettivi di identificazione del soggetto cui il reato è attribuito, il Pubblico Ministero è tenuto a iscriverne il nome con altrettanta tempestività.
4.2. Nota a sentenza ad opera della Dott.ssa Roberta Aprati, Università della Sapienza di Roma
(in Cass. Pen. 2010, 2, 513).
E’ confermata l’insidacabilità della data d’iscrizione del nominativo dell’indagato nel registro di reato. Le Sezioni unite sono state nuovamente investite della questione relativa alla sindacabilità da parte del giudice della data in cui il Pubblico Ministero ha effettuato l’iscrizione del nominativo dell’indagato nel registro delle notizie di reato ex art. 335 c.p.p.. Ebbene la Corte, confermando il precedente indirizzo interpretativo, ha negato siffatta possibilità. L’inutilizzabilità, come è noto, è sanzione processuale non soggetta a decadenza: essa può essere dichiarata – d’ufficio o su eccezione di parte – in ogni stato e grado del processo ex art. 191 c.p.p., e se si consentisse di sindacare il rispetto dell’obbligo di immediata iscrizione, diventerebbero inutilizzabili ex art. 407 c.p.p. gli atti compiuti successivamente alla scadenza del termine come ricalcolato dal giudice.
Scorrendo la lunga motivazione si possono individuare quattro argomenti “forti” che giustificano l’insindacabilità dell’iscrizione soggettiva (oltre che di quella oggettiva). In linea generale, l’iscrizione è un atto vincolato (il Pubblico Ministero non può scegliere se iscrivere o meno), il cui presupposto è un determinato esito di un previo momento conoscitivo, di un giudizio. Il Pubblico Ministero “deve” procedere all’iscrizione oggettiva appena il risultato dell’attività di giudizio gli consente di “qualificare” un’informazione all’interno della “categoria” “notizia di reato”. E tale attività di giudizio si serve di regole tecnico-giuridiche: conosciuto un fatto è necessario verificare se possa o meno essere sussunto sotto una fattispecie incriminatrice. L’organo titolare delle indagini preliminari “deve” procedere all’iscrizione soggettiva appena il risultato dell’attività di giudizio gli consente di “qualificare” un certo soggetto all’interno della “categoria” “indagato”.
In primo luogo, per le Sezioni unite, l’iscrizione è un atto doveroso, obbligatorio e non già discrezionale: “il compito del p.m. è quello, in teoria neutro, di riscontrare l’esistenza dei presupposti normativi che impongono l’iscrizione: non di effettuare valutazioni realmente discrezionali, che ineluttabilmente finirebbero per coinvolgere l’esercizio di un potere difficilmente compatibile – anche sul versante dei valori costituzionali coinvolti – con la totale assenza di un qualsiasi controllo giurisdizionale”. Ma a ben vedere (secondo l’autrice Aprati) proprio l’obbligatorietà di tale adempimento potrebbe giustificare un controllo: se l’iscrizione fosse facoltativa sarebbe impossibile ipotizzare un sindacato (il giudice non avrebbe parametri normativi di riferimento); se fosse discrezionale un sindacato sarebbe non impossibile ma assai complesso (bisognerebbe per esempio imporre un obbligo di motivazione sull’iscrizione e verificarne la congruità). Dunque è proprio la vincolatività dell’adempimento che, almeno in teoria, legittima un controllo.
In secondo luogo, sempre secondo le Sezioni unite, i parametri normativi di identificazione del momento dell’iscrizione sono vaghi. Si afferma infatti che l’iscrizione è atto a struttura complessa (iscrizione oggettiva e iscrizione soggettiva) e fluido, che presuppone un “lavorio definitorio” per la notizia oggettiva, una valutazione di pregnanza, per la notizia soggettiva. Di conseguenza appare ineccepibile la scelta normativa di far decorrere i termini delle indagini da un momento certo quale è il momento dell’iscrizione, così che è stata resa di agevole enucleazione l’inutilizzabilità degli atti tardivi. Tuttavia, (secondo l’autrice Aprati) a differenza di quanto sostiene la Corte, è possibile individuare con molta precisione il momento in cui è doveroso iscrivere, senza dover ricorrere a concetti indeterminati quale “lavorio definitorio” e “valutazione di pregnanza”. Costituisce infatti notizia di reato oggettiva la mera apprensione di fatti – descritti nella “lavorio definitorio” per la notizia oggettiva, una valutazione di pregnanza, per la notizia soggettiva. Di conseguenza appare ineccepibile la scelta normativa di far decorrere i termini delle indagini da un momento certo quale è il momento dell’iscrizione, così che è stata resa di agevole enucleazione l’inutilizzabilità degli atti tardivi.
Il terzo argomento che esclude la sindacabilità della data di iscrizione, sempre per Sezioni unite, è il seguente: “la legge autorizza il giudice delle indagini ad intervenire sulle iscrizioni della notizia di reato solo in due casi, sicché, a contrario, deve essere escluso tale potere in ipotesi diverse“. Si richiamano quindi la richiesta di archiviazione per essere ignoto l’autore del reato e la richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari. Nel primo caso, il giudice, ai sensi dell’art. 415, comma 2-bis, c.p.p., può ordinare al Pubblico Ministero di iscrivere il nominativo dell’indagato nel registro; nella seconda ipotesi, invece, il giudice, ai sensi dell’art. 406 c.p.p., può direzionarsi verso la concessione o meno della proroga, a seconda che l’iscrizione sia stata più o meno tempestiva. Ma di fronte a tali considerazioni vale la pena di svolgere le seguenti osservazioni (secondo l’autrice Aprati): a) il controllo sull’archiviazione è sull’iscrizione e non già sui suoi tempi: esso è volto a garantire l’obbligatorietà dell’azione penale. In ogni caso, poi, si discute in giurisprudenza se il giudice, contestualmente all’ordine di iscrivere, possa o meno indicare la data a decorrere dalla quale si deve dare per avvenuta l’iscrizione; b) in tema di proroga delle indagini nessuna disposizione autorizza un diniego sul presupposto del ritardo nell’iscrizione, sicché anche in tal caso si tratta di una conclusione interpretativa; c) la giurisprudenza ha riconosciuto – anche qui in via interpretativa – che in sede di archiviazione di procedimento contro persona nota, il giudice può ordinare l’iscrizione sia di nuovi reati, sia di nuovi indagati; d) in tema di modifiche dell’iscrizione e di nuove iscrizioni è pacifico che il giudice possa intervenire correggendo la modifica in nuova iscrizione e viceversa, sempre al fine di sanzionare con l’inutilizzabilità gli eventuali atti tardivi; e) nel caso in cui sia stata esercitata l’azione penale in assenza di qualsivoglia iscrizione, si è affermato che il giudice può identificare il momento in cui la notizia di reato poteva e doveva essere annotata: si può così individuare il termine finale dell’indagine e, dunque, dichiarare l’inutilizzabilità degli atti eventualmente compiuti dopo la sua scadenza.
Infine – e veniamo al quarto argomento forte della sentenza – secondo le Sezioni unite non esiste un principio generale di sindacabilità degli atti del Pubblico Ministero: durante le indagini il giudice interviene solo nei casi tassativi e tipici previsti dalla legge. Da questo punto di vista, l’affermazione della Corte è ineccepibile: secondo l’art. 328 c.p.p., il G.I.P. provvede nei casi previsti dalla legge sulle richieste del Pubblico Ministero, delle parti private e della persona offesa dal reato“. La disposizione dunque individua due regole generali: la tassatività degli interventi del giudice e l’esclusione di iniziative ex officio. Di conseguenza il compimento di tutti gli atti che sono regolati dal codice nella fase dell’indagine spetta al Pubbico Ministero, vi sia o meno una esplicita indicazione in tal senso; invece sono di competenza del G.I.P. esclusivamente quegli atti per cui sia espressamente prevista tale titolarità. In tal modo si vuole evitare che il G.I.P. venga coinvolto nelle ragioni dell’accusa. Ma a ben vedere, (secondo l’autrice Aprati), il sindacato sulla tempestività dell’iscrizione della notizia di reato non comporta la necessaria introduzione di un ulteriore incidente durante le indagini: esiste già l’art. 407 c.p.p. che autorizza a sollevare la questione relativa alla inutilizzabilità degli atti investigativi tardivi. In pratica, in tal caso, non si tratta di sindacare l’attività investigativa del Pubblico Ministero, ma piuttosto di valutare se un atto è o non è utilizzabile: e tale potere spetta a tutti i giudici nel momento in cui devono emettere una decisione in base ad atti a vocazione probatoria. Non è dunque necessario creare ex novo un incidente sulla tardività (come quello previsto nel disegno di legge “Alfano”), in quanto è sufficiente consentire al giudice di dichiarare l’inutilizzabilità di un atto in quanto tardivo. In pratica l’invalidità potrà essere fatta valere in tutti quei contesti in cui il giudice (quello delle indagini, così come quello dell’udienza preliminare, del dibattimento, dell’appello o della cassazione) è chiamato a pronunciarsi sulla base di atti probatori o è chiamato a valutare la validità di un atto probatorio (misure cautelari, archiviazione, udienza preliminare, dibattimento, appello, cassazione).
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