La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita.”
(Karl Popper)
La mediazione è essenzialmente dialogo o negoziazione con il coinvolgimento di una terza parte.
La terzietà del mediatore, il suo non coinvolgimento nella disputa o nelle questioni sostanziali in discussione, rappresenta un elemento fondamentale della gestione e risoluzione del conflitto.
Il mediatore accede a conflitti che hanno raggiunto vari livelli di sviluppo e intensità e assiste le parti nello sviluppare un processo di mutua educazione sulle questioni e gli interessi coinvolti e lavora con esse per delineare, spesso implementare, un processo di problem – solving.
Il mediatore non ha l’autorità di prendere decisioni e questo fa sì che siano le parti a mantenere il controllo finale del risultato.
In questo articolato sistema di approccio e gestione delle questioni problematiche la competenza del mediatore non può non riposare anche sulla conoscenza e capacità di gestire i molteplici processi consapevoli, ma molto spesso anche inconsapevoli ed automatici, che caratterizzano il comportamento umano.
Tale competenza deve riguardare innanzitutto la consapevolezza e conoscenza dei propri “limiti” mentre, d’altra parte, sottovalutarli potrebbe condizionare l’esito del processo.
Gli studi sul cervello e sulla neurobiologia della razionalità avvalorano l’ipotesi dell’esistenza di una sorta di inconscio cognitivo che contribuirebbe a filtrare la realtà e a determinare le nostre reazioni.
Le nostre decisioni sarebbero “il prodotto di un’incessante negoziazione tra processi automatici e processi controllati, tra affetti e cognizione o, più volgarmente, tra passione e ragione, e del gioco delle
sinapsi delle aree cerebrali corrispondenti.”
Molti nostri comportamenti sono governati da processi automatici che ricadono al di fuori della nostra consapevolezza, in altre parole non richiedono sforzo di attenzione o intenzioni precise e hanno la caratteristica di essere relativamente rapidi, di utilizzare un’elaborazione parallela e simultanea.
Molti altri comportamenti come prendere una decisione, risolvere un problema, o compiere una ricerca sono processi controllati. Si basano sulla consapevolezza, sull’intenzionalità di raggiungere un certo scopo, sono di natura seriale e richiedono un tempo maggiore degli automatici (Shiffrin e Schneider, 1977)1.
Mentre i processi controllati esigono attenzione, pianificazione e controllo, i processi diventati automatici possono essere talmente ricorrenti da essere innescati anche quando non si vorrebbe.
Accade infine che si possano compiere scelte irrazionali quando i due processi entrano in competizione a causa dei cd errori cognitivi ( trappole cognitive).
Gli errori cognitivi sono quelli che si commettono a causa della fallibilità del ragionamento umano, errori che nascono di frequente perché si è “sicuri” di conoscere bene la situazione.
Molti errori nascono dentro di noi, nella nostra privata e intima capacità di pensare e di fermarci, o di non farlo, di fronte a passaggi palesemente dubbi e potenzialmente critici.
Figuriamoci quando la situazione appare normale e senza necessità di particolari approfondimenti.
Per risparmiare tempo e risorse cognitive gli individui possono utilizzare le euristiche cioè quelle strategie, tecniche e procedimenti utili a ricercare un argomento un concetto o una teoria adeguati alla soluzione del problema: sono scorciatoie mentali che derivano dall’esperienza personale e permettono di evitare tutte le fasi del processo decisionale giungendo più velocemente ad una decisione ( Simon. 1976)
L’applicazione di queste scorciatoie però non è senza rischi, in quanto, a seconda della fase del processo cognitivo in cui ci troviamo, può provocare alcuni errori: le distorsioni cognitive.
Quello che accade in mediazione quindi è ciò che mediatore e parti mettono sul tavolo.
Oltre ciò ciascuno dei protagonisti fa i conti con il proprio ‘inconscio cognitivo’, con i processi automatici e controllati in competizione tra loro, con la propria componente irrazionale.
Attraverso l’apprendimento dei modi tipici e personali di dare un senso a ciò che avviene, il soggetto può essere in grado di modificare i significati non adeguati per fronteggiare in modo più soddisfacente le proprie relazioni con il mondo e con le persone
Le distorsioni cognitive possono interferire con una risoluzione produttiva dei conflitti.
I negoziatori inconsapevoli possono attribuire il blocco dei processi di risoluzione all’intransigenza delle parti o all’interesse personale.
Il compito invece di chi si pone nella prospettiva della gestione e risoluzione dei conflitti è quella di agire per identificare e contrastare tali distorsioni cognitive, le proprie prima ancora di quelle altrui.
Anche questo passaggio non è senza rischi.
Non ci piace sentire di avere sbagliato, a volte preferiamo conservare un’immagine positiva di noi stessi e alteriamo interi dati di realtà pur di conservare integra l’immagine di “buoni valutatori” e di “buoni manager”, o “buoni decisori” anche nelle nostre scelte di vita e nelle scelte professionali quotidiane
Per ciò che concerne i mediatori è utile conoscere che possono essere identificate quattro tipi di “tendenze” e i loro relativi effetti:
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Tendenza a semplificare la situazione di conflitto
La semplificazione del conflitto implica affidamento a stereotipi o la non considerazione di informazioni che sono in contrasto con le proprie convinzioni iniziali.
Può portare ad una falsa comprensione di causa- effetto.
Con riferimento ai negoziatori ciò comporta che ogni parte pensa che sia stata l’altra a generare il conflitto
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Tendenza ad esagerare il grado di opposizione tra le parti
Tale approccio al conflitto presuppone che al guadagno di una parte corrisponderà sempre la perdita dell’altra
La conseguenza è che le parti restano intrappolate nel loro conflitto
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Tendenza a fare una falsa dicotomia tra cooperazione e competizione
Le parti sono convinte di dover adottare una strategia puramente competitiva o puramente cooperativa
Ciò può portare a un’escalation o a concessioni eccessive e infine a soluzioni non ottimali
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Tendenza finale ( di solito inconscia) a favorire i propri interessi anche quando coscientemente si cerca di essere equi ed obiettivi.
Il pregiudizio egocentrico conduce regolarmente a sopravvalutare i propri contributi positivi e responsabilità
Innanzitutto i mediatori devono diventare consapevoli delle proprie inclinazioni perché molte di esse sono inconsce.
La formazione alla gestione e risoluzione dei conflitti dovrebbe includere quella sui metodi per ridurre questi tipi di errori cognitivi. Il feedback potrebbe aiutare i mediatori a prendere consapevolezza della proprie personali inclinazioni.
Ci sono poi altre strategie che i negoziatori dovrebbero imparare: costruire fiducia e scambiare informazioni; porre domande; procurare informazioni; fare multiple contemporanee offerte; successivamente all’ accordo iniziale cercare nuove e migliori opzioni di accordo.
In fase di mediazione poi i negoziatori devono saper individuare e gestire le inclinazioni delle parti.
Quando le parti tendono ad esagerare il loro grado di opposizione il compito dei mediatori è farsi un’idea precisa del conflitto e aiutare le parti a formulare una visione più accurata degli interessi coinvolti.
Questo aiuta a moderare la tendenza di ciascuna parte di vedere la posizione dell’altra irragionevole ed estrema
Una percezione più chiara degli interessi e della possibilità di interessi compatibili potrebbe aiutare le parti ad evitare risultati lose-lose
L’inclinazione egocentrica porta le persone a pensare di avere maggiore controllo di quanto abbiano in realtà. Questo suggerisce una tipica tattica per la concessione durante la risoluzione dei conflitti: dire all’ avversario che si fara’ un concessione contemporaneamente o successivamente alla sua. Questo favorisce la sensazione di controllo sull’ avversario. E l’avversario sentirà di aver causato la concessione dell’altra parte facendola a sua volta.
I mediatori possono lavorare su questa tendenza per favorire reciproche concessioni suggerendo a ciascuna parte che l’altra è pronta per essere influenzata da una concessione.
L’inclinazione egocentrica può portare anche ad un inconsapevole giudizio deviato di gentilezza: in un conflitto ciò può rendere l’accordo estremamente difficoltoso: persino quando ciascuna parte propone quella che ritiene una buona soluzione “ la concezione di ciascuna parte di bontà è macchiata dal proprio interesse, così che ciascuna soluzione è maggiormente favorevole alla parte che la propone”: Una forte identificazione con un gruppo può aiutare la parte a mitigare l’inclinazione egocentrica rendendo le persone desiderose di ricercare il bene per il gruppo. Le persone sono maggiormente propense ad agire per il bene del gruppo se i membri si apprezzano reciprocamente e se si sentono rispettati dall’autorità del gruppo.
L’inclinazione oppositiva può portare a svalutazione reattiva in quanto una parte valuta un’offerta o un accordo basandosi sulla propria reazione verso l’altra parte. Per esempio una parte potrebbe rifiutare una offerta o una concessione basandosi semplicemente sul proprio sospetto in ordine alla motivazione dell’altra parte. Il desiderio di dare dell’altra parte deve necessariamente essere vantaggioso per essa e quindi costituire una perdita per chi riceve.
In genere le negoziazioni danno migliori risultati quando esiste un rapporto e fiducia tra le parti. L’assenza di rapporto rende l’interazione tesa e le parti tendono ad attribuire il proprio disagio alla malevolenza della parte o delle altre parti. Quando le parti sono estranee o non possono negoziare direttamente sarebbe importante imparare a conoscersi reciprocamente prima della trattativa.
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