Le finzioni giuridiche nel diritto penale

Ubriachezza volontaria, colposa o preordinata

L’art.92 c.p. prevede che <<l’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce la imputabilità. Se l’ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata>>: si tratta dell’ubriachezza volontaria, che ricorre quando il soggetto abbia ingerito volontariamente sostanze alcooliche al fine di ubriacarsi, dell’ubriachezza colposa, che rileva quando il soggetto si sia ubriacato per imprudenza o negligenza, e dell’ubriachezza preordinata, che ricorre quando lo stato alterato ha come fine il commettere un reato.

La finzione giuridicamente consiste nell’equiparare l’ubriachezza volontaria, colposa o preordinata alla piena capacità di intendere e di volere – c.d. finzione giuridica di imputabilità -; empiricamente comporta il considerare capace un soggetto che, in realtà, a causa dello stato alterato dai fumi dell’alcool, non lo era, sì da evitare che possa andare esente da pena l’individuo che si trova in uno stato di incapacità d’intendere o di volere per fatto a lui imputabile1.

<<Non è giuridicamente illogica la individuazione della ubriachezza quale causale del reato, poiché la piena imputabilità dell’agente sancita dall’art. 42 c.p., nonostante l’alterazione psichica conseguente all’ebbrezza alcoolica volontaria o colposa, costituisce mera finzione giuridica imposta da necessità di difesa sociale, mentre permane sul piano naturalistico tale alterazione, che, soggiogando più o meno compiutamente le facoltà intellettive e volitive del soggetto, può essa stessa costituire causa efficiente e ragione dell’azione antigiuridica, rappresentando contestualmente il movente del reato e la ratio della sua punizione>>2.

 

Introduzione nello Stato di prodotti industriali contraffatti

Si è visto come a partire dalle prime codificazioni, e da quella napoleonica in particolare, si impone una netta sfiducia nei confronti delle finzioni giuridiche giudiziali, viste come un pericoloso strumento idoneo ad estendere la portata del dato normativo. Ora, è vero che, rispetto al periodo romano ed ai sistemi di common law, l’ordinamento italiano non pullula di finzioni poste in essere da giudici, ma alcuni sporadici casi si rinvengono: è quello, molto attuale, che qui viene presentato3.

Tizio, trasportatore marittimo, durante un viaggio dalla Cina alla Bulgaria, fa tappa a Taranto; qui, in seguito ad un controllo, si scopre che il carico contiene 220 impianti Hi-fi portatili e CD contraffatti, in quanto contraddistinti dal marchio MP3, del quale è licenziataria esclusiva la società Sisvel spa.

Tizio viene accusato, tra l’altro, di violare l’art.127 del Codice delle proprietà industriali – d.lgs. 30/2005 -, che punisce chiunque <<introduce nello Stato oggetti in violazione di un titolo di proprietà industriale>>.

Il Tribunale si trova di fronte ad una situazione scomoda: è innegabile che, dal punto di vista meramente descrittivo, Tizio ha introdotto in Italia cose contraffatte, in quanto formalmente, facendo uno scalo a Taranto, si è fermato nel territorio italiano con la merce contestata. Tuttavia, passando dal dato empirico alle conseguenze effettive da esso prodotte, Tizio ha sì introdotto nel territorio nazionale gli impianti Hi-fi portatili ed i CD, ma non li ha immisse in commercio; in pratica con la sua condotta, configurabile ai fini commerciali come mera introduzione, e non certamente come immissione nel mercato – egli non ha pregiudicato l’oggetto specifico del diritto di proprietà industriale, non ha offesso il bene giuridico protetto.

Per tener conto di questo ineludibile dato fattuale, che sarebbe vanificato da una lettura strettamente letterale della norma, il giudice ricorre ad una finzione, che ben emerge dalla motivazione della sentenza.

Il Tribunale parte dalla considerazione – indiscutibile ed incontroversa – che la merce sequestrata è partita dalla Cina, ma non è destinata all’Italia bensì alla Bulgaria, e si trova nel porto di Taranto solo in mero transito; ciò prmesso, il magistrato sussume la fattispecie concreta nel transito esterno di merci non comunitarie, sull’onda della prassi della giurisprudenza comunitaria4.

Tale configurazione comporta una finzione giuridica giudiziale: infatti, il giudice finge che i beni non siano mai entrati nel territorio comunitario: <<il mero scalo tecnico di merci in transito tra due paesi extracomunitari, comportando solo un loro passaggio momentaneo in Italia, non è tale da configurare il delitto di introduzione nello Stato di prodotti industriali contraffatti, non avendo la condotta quella minima idoneità ad offendere il bene giuridico tutelato. Come precisato dalla Corte di Giustizia Ce, il c.d. “transito esterno di merci non comunitarie” non è altro che una mera finzione giuridica inidonea ad assumere rilevanza penale, trattandosi di beni che si considerano come se non fossero mai entrati nel territorio comunitario>>.

 

1 A.CRESPI, Il problema della colpevolezza nell’ubriachezza volontaria e colposa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1950, 740.

F.BRICOLA, Finzione di imputabilità ed elemento soggettivo nell’art.9,2 comma 1 c.p, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1961, 496.

2 Cassazione penale, sez.I, 10 dicembre 1985.

3 Tribunale di Taranto, sez.I penale, sentenza, 30 maggio 2011, n.1236.

4 Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 6 aprile 2000, causa C-383/98, Polo/Lauren.

Avv. Bardelle Federico

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