Il decreto legge 6 luglio 2012 n. 95 “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” interviene ancora sulla riforma delle Province.
Vediamo le previsioni.
La soppressione e accorpamento
L’art. 17 del D. L. 95/2012 prevede:
-
Entro il 17 luglio 2012 il Consiglio dei ministri determina, con apposita deliberazione, i criteri per la riduzione e l’accorpamento delle province, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia, tenendo conto dei dati dell’ultimo censimento. Sono fatte salve le province nel cui territorio si trova il comune capoluogo di regione e le province confinanti solo con province di regioni diverse da quella di appartenenza e con una delle province interessate dall’istituzione delle Città metropolitane;
-
La deliberazione del Consiglio dei Ministri è trasmessa al Consiglio delle autonomie locali di ogni regione a Statuto ordinario o, in mancanza, all’organo regionale di raccordo tra regione ed enti locali;
-
Entro quaranta giorni i Consigli delle autonomie locali deliberano un piano di riduzioni e accorpamenti relativo alle province ubicate nel territorio della rispettiva regione
-
Entro cinque giorni dall’adozione, la delibera è trasmessa al Governo;
-
Nei dieci giorni successivi il Governo acquisisce il parere di ciascuna Regione interessata;
-
In ogni caso, entro venti giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del D. L. 95/2012 con atto legislativo di iniziativa governativa sono soppresse o accorpate le province sulla base delle deliberazioni e intese sopra indicate. Se a tale data tali deliberazioni in una o più regioni non risultano assunte, il provvedimento legislativo è assunto previo parere della Conferenza unificata, che si esprime entro dieci giorni esclusivamente in ordine alla riduzione ed all’accorpamento delle province ubicate nei territori delle regioni medesime.
-
Le Regioni a statuto speciale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del D. L. 95/2012, adeguano i propri ordinamenti agli stessi principi.
Le funzioni
Le funzioni delle province quali enti con funzioni di area vasta, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione sono:
-
pianificazione territoriale provinciale di coordinamento nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza;
-
pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale nonché costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente.
Sono trasferite ai comuni le funzioni amministrative conferite alle province con legge dello Stato e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione.
Tali funzioni amministrative sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro sessanta giorni, previa intesa con la Conferenza Stato–Città ed autonomie locali.
Entro centottanta giorni, previa intesa con la Conferenza Stato–città ed autonomie locali, sulla base della individuazione delle funzioni, si provvede alla puntuale individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi all’esercizio delle funzioni stesse ed al loro conseguente trasferimento dalla provincia ai comuni interessati. Per quanto attiene al trasferimento di risorse umane, sono consultate le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
La decorrenza dell’esercizio delle funzioni trasferite ai comuni è inderogabilmente subordinata ed è contestuale all’effettivo trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all’esercizio delle medesime.
Gli organi
Resta fermo che gli organi di governo della Provincia sono esclusivamente il Consiglio provinciale e il Presidente della Provincia, ai sensi dell’articolo 23, comma 15, del citato decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Valutazioni
Gli interventi sulle Province, dichiara solennemente il Governo al comma 1 dell’art. 17, sono effettuati “al fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio”.
Di fronte a tale “ragion di Stato”, ogni obiezione non può essere considerata.
Ci si permette però di osservare alcuni aspetti.
L’accorpamento e la riduzione del numero delle Province è una scelta condivisibile, che può condurre ad una razionalizzazione della complessiva struttura organizzativa dell’amministrazione periferica dello stato, organizzata su base provinciale.
Sarebbe stato opportuno fissare sin da subito i limiti di popolazione minima, considerando quale riferimento ragionevole quello dei 350.000 abitanti di cui tanto si è discusso sinora.
Resta il tema fondamentale delle funzioni, purtroppo ancora una volta trascurato, affrontato in modo superficiale e sommario, come avvenuto negli ultimi anni a cura di tutti i paladini impegnati nella battaglia per la soppressione delle Province.
Se appare ormai acquisito, anche dal Governo Monti, il principio della necessità di un Ente intermedio, con adeguate dimensioni, tra Regioni e Comuni, cui assegnate le funzioni di area vasta (concetto vago ma che comunque può essere preso come riferimento) non si comprende la superficialità con la quale vengono individuate le funzioni fondamentali, limitandole a quelle indicate al comma 10 dell’art. 17.
Ancora una volta appare chiaro come a livello centrale non si conoscono le funzioni svolte dagli enti Locali.
Le inchieste giornalistiche degli ultimi anni, tanto prodighe di cifre immaginifiche sui risparmi derivanti dalla soppressione delle Province, non si sono mai occupate di cercare di capire cosa concretamente facciano le province.
Non è accettabile e comprensibile invece come lo Stato e le Regioni non sappiano quali siano le funzioni delle province non lo sappiano, sebbene per effetto del d. lgs 112/1998 e delle conseguenti leggi regionali attuative essi abbiano assegnato molteplici funzioni amministrative, in adempimento al disegno di decentramento amministrativo impostato dalla legge Bassanini, in aggiunta alle altre funzioni storiche.
Senza grandi sforzi di fantasia o impegni di grande approfondimento, anche i super tecnici possono trovare una indicazione precisa dalla vigente normativa, approvata nell’attuale legislatura ed in corso di attuazione: l’art. 21 della Legge 5 maggio 2009 n. 42, che prevede:
“Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare ai fini della determinazione dell’entità e del riparto dei fondi perequativi in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale sono individuate nelle seguenti:
-
funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo
-
funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l’edilizia scolastica;
-
funzioni nel campo dei trasporti;
-
funzioni riguardanti la gestione del territorio (viabilità e pianificazione territoriale);
-
funzioni nel campo della tutela ambientale;
-
funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro”.
Il comma 10 dell’art. 17 del D. L. 95/2012 trascura in particolare:
-
L’edilizia scolastica, in particolare per l’istruzione secondaria superiore
-
La formazione professionale
-
Le funzioni in materia di mercato del lavoro e in particolare la gestione dei Centri per l’Impiego.
Come è possibile non considerare “funzioni di area vasta”, o meglio sovracomunali, tali funzioni?
Per il mercato del lavoro, in particolare, è stato recentemente predisposto ed ultimato e quindi esaminato dalla CoPAFF, Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, nella seduta del 28 giugno scorso, il documento tecnico metodologico relativo ai fabbisogni standard per la funzione Sviluppo economico – centri per l’impiego – delle Province, che rappresenta il punto di riferimento, previsto dalla legge, per valutare l’efficienza dei servi resi.
Risulta fondamentale, dunque, per dare senso alla riforma delle Province, integrare le funzioni fondamentali, riproponendo quanto meno quanto già previsto dalla Legge 42/2009.
E’ lecito attendersi dai tecnici e dai super commissari che, oltre a leggere le inchieste, utili per conoscere meglio gli sprechi ma insufficienti per fondare su di esse un ragionamento su nuovi assetti istituzionali, oltre a valutare le segnalazioni dei cittadini, un esame attento sull’elenco delle funzioni provinciali e sull’attitudine di comuni o regioni a svolgerle.
Intanto, come abbiamo visto, consorzi, consorzi di bonifica, bacini imbriferi, magistrato delle acque, enti parco, enti ed organismi regionali di ogni natura, continuano ad esistere e a persistere nel frastagliare le competenze ed a sovrapporle a quelle di comuni e province in particolare, senza che nessuno sia in grado di capire quali e quanti siano, quali spese movimentino, quale utilità concreta abbiano (visto che esercitano acclaratamente funzioni sovrapposte a quelle degli enti locali), senza esaminare nemmeno l’opportunità di accorpare questi enti a comuni o province, il che darebbe davvero una spinta razionalizzatrice al sistema istituzionale.
Per tali Enti, in modo confuso e con questioni di difficile interpretazione, l’art. 9 del D. L. 95/2012 prevede la soppressione del 20% ed auspica, al comma 3, che in Conferenza Unificata, sulla base del principio di leale collaborazione, si individuino i criteri e la tempistica per l’attuazione della disposizione.
Ma forse, le cariche di amministratori di questi enti, agenzie e organismi vari, sono troppo importanti per garantire un futuro a chi abbia imboccato il viale del tramonto politico ed assicurargli una conclusione di carriera comunque redditizia e di potere.
Altrettanto rilevante potrebbe essere la scelta di attribuire alle Province l’organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali in armonia con la vigente normativa, da ultimo modificata dall’art. 53 del D. L. 22 giugno 2012 n. 83 “Misure urgenti per la crescita del Paese”, il cosiddetto decreto sviluppo.
L’organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali infatti deve essere attuata in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio.
La dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale.
Le regioni possono individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa da quella provinciale, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio, anche su proposta dei comuni presentata entro il 31 maggio 2012 previa lettera di adesione dei sindaci interessati o delibera di un organismo associato e già costituito ai sensi dell’articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
E’ fatta salva l’organizzazione di servizi pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista in attuazione di specifiche direttive europee nonché ai sensi delle discipline di settore vigenti o, infine, delle
disposizioni regionali che abbiano già avviato la costituzione di ambiti o bacini territoriali di dimensione non inferiore a quella del territorio provinciale.
Si tratta di un principio generale dell’ordinamento nazionale cui le Regioni avrebbero dovuto conformarsi entro il termine del 30 giugno 2012.
Le Regioni avrebbero dovuto inoltre, entro il medesimo termine, istituire o designare gli enti di governo degli ambiti.
Decorso inutilmente detto termine, il Consiglio dei Ministri può esercitare i poteri sostitutivi.
Anziché immaginare la costituzione di nuovi Enti di gestione, la soluzione ovvia e naturale è quella di individuare nelle “nuove” Province l’Ente di riferimento.
Va ricordato altresì che la legge prevede che a decorrere dal 2013, l’applicazione di procedure di affidamento dei servizi a evidenza pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni o degli enti di governo locali dell’ambito o del bacino costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
I finanziamenti a qualsiasi titolo concessi a valere su risorse pubbliche statali sono prioritariamente attribuiti agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi gestori del servizio selezionati tramite procedura a evidenza pubblica o di cui comunque l’Autorità di regolazione competente abbia verificato l’efficienza gestionale e la qualità del servizio reso sulla base dei parametri stabiliti dall’Autorità stessa.
Sugli organi delle Province, il Governo ribadisce, a scanso di equivoci, che “Resta fermo che gli organi di governo della Provincia sono esclusivamente il Consiglio provinciale e il Presidente della Provincia, ai sensi dell’articolo 23, comma 15, del citato decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
La norma richiamata e ribadita sottolinea che la Giunta Provinciale non rientra più fra gli organi di governo della Provincia.
Resta aperto il tema delle modalità di elezione del presidente e del Consiglio Provinciale.
Al momento l’unico riferimento ad oggi possibile è un rinvio al testo del disegno di legge approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri del 6 aprile 2012, su proposta del Ministro dell’Interno, che disciplina le modalità di elezione di secondo grado dei Consigli provinciali e dei Presidenti della Provincia.
Il disegno di legge è stato trasmesso alla Camera dei Deputati il 16 maggio 2012 ed assegnato il 28 maggio 2012 in sede referente alla Commissione Affari Costituzionali.
Sul disegno di legge si è espressa la Conferenza Unificata il 4 aprile, con il parere favorevole dell’ANCI, quello contrario dell’UPI ed una serie di osservazioni delle Regioni di cui il Governo “ha preso atto riservandosi di valutarle”.
Tale disegno di legge prevede un nuovo “modello elettorale provinciale” di tipo proporzionale, fra liste concorrenti, senza la previsione di soglie di sbarramento e di premi di maggioranza così caratterizzato:
-
-
elezione contestuale del Consiglio provinciale e del suo Presidente;
-
elettorato passivo riservato ai Sindaci e consiglieri in carica al momento della presentazione delle liste e della proclamazione;
-
ciascuna candidatura alla carica di Presidente della Provincia è collegata a una lista di candidati al Consiglio provinciale;
-
i votanti possono esprimere fino a due preferenze: se decidono di esprimere la seconda preferenza, una delle due deve riguardare un candidato del Comune capoluogo o di sesso diverso da quello a cui è destinata la prima preferenza;
-
è proclamato Presidente della Provincia il candidato che ottiene il maggior numero di voti. In caso di parità si prevede il ballottaggio. In caso di ulteriore parità è eletto il più anziano d’età;
-
Le cariche di Presidente e Consigliere provinciale sono compatibili con quelle di Sindaco e Consigliere comunale;
-
È vietato il cumulo degli emolumenti.
-
La Commissione Affari Costituzionali della Camera si è occupata del disegno di legge nelle sedute del 7 e del 14 giugno 2012, relatori i deputati Giuseppe Calderisi e Gianclaudio Bressa, limitandosi alla sola relazione introduttiva e rinviando l’esame alle sedute successive, dopo aver rilevato come sottolinea come “la definizione delle modalità di elezione del Consiglio provinciale e del presidente della provincia, affrontata dal disegno di legge C. 5210, e delle funzioni delle province, oggetto del progetto di legge recante la cosiddetta Carta delle autonomie, approvato dalla Camera (C. 3118) e ora all’esame del Senato, non possa prescindere dalla revisione della disciplina costituzionale in materia di province e come, in altre parole, la definizione della cornice costituzionale in materia di province abbia la priorità logica rispetto agli altri due punti” e che “e che senza una chiara presa di posizione del Governo rispetto alle province non è possibile portare avanti i lavori della Commissione”.
Richiamiamo al riguardo soltanto alcuni passaggi del parere dell’UPI, che ci appaiono pienamente condivisibili, espresso in Conferenza Unificata il 4 aprile 2012:
“Il sistema elettorale rappresenta il cuore del legame tra le istituzioni territoriali e le loro comunità. Nel nostro sistema costituzionale le leggi elettorali sono rimesse alla legislazione ordinaria ai fine di consentire la possibilità di adeguamenti nel tempo che tengano conto dell’evoluzione democratica del Paese. Ma è un dato certo che la democrazia locale è l’espressione, la più alta, dell’autonomia dell’ente che è stata riconosciuta a più riprese dalla Costituzione e dalla Carta europea delle autonomie locali.
Il principio autonomista implica il principio democratico e ciò richiede che il popolo deve avere una rappresentanza che emerga da elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete e che la rappresentanza abbia una consistenza tale da conseguire due risultati: in primo luogo, l’espressione del pluralismo politico, compatibilmente con la governabilità; in secondo luogo, la capacità di indirizzo e controllo da parte della rappresentanza medesima sull’ente.
La scelta di eleggere i consigli provinciali attraverso un elezione di secondo grado, come organi di espressione degli amministratori comunali, priva i cittadini del territorio provinciale del diritto di eleggere e controllare direttamente un ente peraltro previsto dalla Costituzione come elemento costitutivo della Repubblica.
Per questi motivi, l’UPI ribadisce la necessita di prevedere comunque una elezione diretta degli organi di governo della Provincia, che hanno la funzione di rappresentare comunità provinciale nel Paese.
La soluzione adottata nel ddl al contrario non riesce a dare una risposta equilibrata alle esigenze di rappresentanza di tutto il territorio provinciale che oggi hanno un punto di riferimento nel sistema elettorale provinciale basato su collegi territoriali, né riesce a tenere conto in modo adeguato della rappresentanza delle diverse forze politiche nei territori e dei necessari equilibri fra maggioranze e minoranze”.
Le città metropolitane
L’art. 18 del D. L. 95/2012 prevede:
-
In attuazione degli articoli 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, le Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria sono soppresse, con contestuale istituzione delle relative città metropolitane, il 1° gennaio 2014;
-
Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia contestualmente soppressa.
-
Le città metropolitane conseguono gli obiettivi del patto di stabilità interno attribuiti alle province soppresse.
-
Sono organi della città metropolitana il consiglio metropolitano ed il sindaco metropolitano, il quale può nominare un vicesindaco ed attribuire deleghe a singoli consiglieri.
-
In sede di prima applicazione, è di diritto sindaco metropolitano il sindaco del comune capoluogo
-
Lo Statuto della città metropolitana può stabilire che il sindaco metropolitano:
-
sia di diritto il sindaco del comune capoluogo;
-
sia eletto secondo le modalità stabilite per l’elezione del presidente della provincia;
-
sia eletto a suffragio universale e diretto
-
Il consiglio metropolitano è composto da:
-
sedici consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3.000.000 di abitanti;
-
dodici consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 800.000 e inferiore o pari a 3.000.000 di abitanti;
-
dieci consiglieri nelle altre città metropolitane.
-
I componenti del consiglio metropolitano sono eletti, tra i sindaci dei comuni ricompresi nel territorio della città metropolitana, da un collegio formato da questi ultimi e dai consiglieri dei medesimi comuni, secondo le modalità stabilite per l’elezione del consiglio provinciale e con garanzia del rispetto del principio di rappresentanza delle minoranze;
-
Alla città metropolitana sono attribuite:
-
le funzioni fondamentali delle province;
-
le seguenti funzioni fondamentali:
-
pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;
-
strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano;
-
mobilità e viabilità;
-
promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale.
L’istituzione delle città metropolitane è stata salutata come un grande successo dall’Anci e dal Coordinamento dei Sindaci delle città metropolitane, ed “è una riforma strutturale dell’assetto istituzionale. Essa rappresenta la capacità di cogliere le opportunità che alcuni cambiamenti normativi degli ultimi mesi hanno creato”.
Dopo aver ringraziato il Governo sottolineano come “la semplificazione istituzionale e dell’assetto delle competenze sia la precondizione essenziale per creare efficienza burocratica, cancellare sovrapposizioni di competenze e facilitare la crescita produttiva. Il valore della proposta normativa risiede nella sua chiarezza, semplicità e linearità, sgombrando un dibattito lungo un ventennio di questioni che, di fatto, ne hanno ostacolato l’istituzione: coincidenza del territorio con la Provincia, fermo restando il riassetto del territorio sulla base delle procedure costituzionali vigenti; coincidenza del Sindaco della città metropolitana con il Sindaco del Comune capoluogo rimettendo allo statuto la facoltà di optare per un modello diverso; attribuzione alla città metropolitana delle funzioni fondamentali delle Province e delle nuove funzioni tipicamente metropolitane; possibilità per lo statuto di regolare modalità differenziate di raccordo fra i Comuni anche in ordine all’assetto delle funzioni; attribuzione alla città metropolitana del patrimonio e delle risorse finanziarie delle Province”.
Ci sia consentito leggere in tali dichiarazioni così entusiastiche un “leggero” conflitto di interessi e la malcelata soddisfazione per avere eliminato la “concorrenza politica” del Presidente della Provincia.
Ci sia consentito riconoscere l’importanza di una struttura di “governo metropolitano” per realtà come Roma e Milano e le altre grandi città.
Dubitiamo che altrettanta esigenza sia riscontrabile nella città metropolitana di Reggio Calabria, una metropoli che conta ben 186.417 abitanti, la cui intera Provincia supera di poco i 566.000 abitanti.
Dubitiamo che nella peculiare ed unica realtà di Venezia possa applicarsi allo stesso modo una riforma valida per una città come Milano.
Forse il Governo, con l’assistenza dei super tecnici commissari, farebbe bene a cercare un confronto vero, ad esercitare, oltre che auspicare, la “leale collaborazione”, con Regioni ed Enti Locali, per attuare in modo condiviso, consapevole e aderente alle esigenze dei territori, gli interventi sull’organizzazione e sull’assetto amministrativo della Repubblica.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento