Con la sentenza 10 luglio 2012, n. 11586, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha affermato che il cittadino extracomunitario omosessuale non debba essere espulso e rimpatriato nel suo paese d’origine se da ciò può derivare pericolo di persecuzione.
La Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso di un cittadino tunisino il quale aveva ottenuto innanzi al tribunale di Trieste il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, atteso il pericolo di persecuzione cui esso sarebbe stato esposto, in caso di rimpatrio, sia perché omosessuale, sia perché cristiano.
In Tunisia l’omosessualità costituisce reato: l’art. 330 del codice penale tunisino punisce la sodomia fra adulti consenzienti con la pena della reclusione fino a tre anni.
Nella specie il ricorrente aveva ricorso innanzi al tribunale di Trieste avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale disposto dalla competente commissione territoriale.
In primo grado il tribunale respinse il ricorso quanto alle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, motivando tale decisione in base ai precedenti penali ostativi del richiedente, ma accoglieva il ricorso quanto alla domanda subordinata di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, atteso che il richiedente non potesse far ritorno in Tunisia per via della legge sull’omofobia.
La Corte d’appello di Trieste ha totalmente riformato la sentenza di primo grado, osservando che mancava la prova dell’asserita omosessualità del reclamato e quella della sua adesione alla religione cristiana.
Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione adducendo diversi motivi di censura avverso la sentenza di secondo grado.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione del giudicato di cui al decreto 22 febbraio 2008 del tribunale di Trieste, depositato il 28 febbraio successivo e non impugnato, con il quale era stato accolto il ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione emesso nei suoi confronti, in quanto persona socialmente pericolosa.
Infatti, il tribunale aveva applicato il divieto di espulsione, ex art. 19 comma 1, d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, a causa del pericolo di persecuzione cui il ricorrente era esposto nel suo Paese.
Nell’articolo citato si stabilisce che in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.
Di ciò prende atto il Tribunale, avendo accertato sia l’omosessualità del ricorrente sia il fatto che la stessa è perseguita in Tunisia come reato.
Con il secondo motivo si censura la mancata assunzione delle testimonianze dedotte a dimostrazione dell’omosessualità del ricorrente.
Con il terso ed il quarto motivo si censurano, rispettivamente, la violazione dei criteri di valutazione delle domande di protezione internazionale e la carenza di motivazione quanto all’adesione del ricorrente alla religione cristiana.
Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione ha dichiarato fondato il primo motivo specificando che il provvedimento del tribunale di Trieste invocato e prodotto dal ricorrente ha effettivamente il contenuto indicato e deve ritenersi definitivo non risultando che sia stato impugnato. Ciò vuol dire che il giudice di primo grado ha accertato, con provvedimento avente sostanza di sentenza e passato in giudicato, il diritto del ricorrente a non essere espulso dal territorio nazionale.
Tale diritto comporta necessariamente anche il diritto del medesimo al rilascio, da parte del questore, di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 28 lett. d), reg. di attuazione del d. lgs. 286/1998, approvato con dpr 31 agosto 1999, n. 394.
La Suprema Corte afferma che non essendo accertati né dedotti fatti successivi che superino tale giudicato, la sentenza impugnata non può che essere cassata per violazione del giudicato stesso.
I restanti motivi sono assorbiti.
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