Il silenzio altro non è che una componente (patologica) di quell’azione amministrativa necessaria ad assicurare la mediazione tra interesse pubblico primario, secondario ed interessi privati.
Se così è, e se, allora, l’oggetto dell’azione non è il mero accertamento dello scadere del termine, ma è lo stesso rapporto traguardato preliminarmente nella sua dimensione temporale ed eventualmente in quello della corretta regolazione, allora non può esservi dubbio che il maturare dell’inadempimento nel corso del giudizio sia un fatto sopravvenuto, legato all’inutile scorrere del tempo, stigmatizzabile nel corso nel giudizio
Il binomio presupposti del processo – condizioni dell’azione, come visto ampiamente valorizzato dalla giurisprudenza civile, ben può adoperarsi per la risoluzione delle questioni relative all’azione sul silenzio nel processo amministrativo, per giungere ad affermare che anche in questo caso come in quelli la scadenza del termine costituisca una condizione dell’azione che è sufficiente sussista al momento della decisione.
Chiarito, infatti, che trattasi di un’azione tesa ad ottenere la condanna all’adempimento di un facere pubblicistico generico (ossia il provvedere) e, in determinati casi, di quello specifico (ossia l’emanazione del provvedimento che attribuisce l’utilità cui il privato aspira), essa ben può inquadrarsi nella categoria processualistica generale dell’azione di esatto adempimento (in tal senso, nettamente, Ad. Plen. n. 15/2011), con conseguente impossibilità di considerare lo scadere del termine quale mero presupposto processuale secondo una logica attizia e formale non più compatibile con l’impianto del codice.
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