Con l’ordinanza n. 13089/2012 la Suprema Corte torna sul tema spinoso delle operazioni concatenate realizzate con modalità tali da comportare un illegittimo carico di imposta.
Il caso esaminato dalla Corte è quello di un soggetto che stipula un contratto preliminare di compravendita di un terreno con un altro soggetto, incassando dall’acquirente una somma (poi non restituita) a titolo di acconto, salvo poi donare detto terreno alla figlia la quale a sua volta effettuerà la vendita al promissario acquirente del padre.
L’avviso di accertamento impugnato, notificato al padre promissario venditore, viene confermato in primo grado ma poi annullato in secondo. Il ricorso proposto dall’Agenzia contro la sentenza della CTR Piemonte viene, infine, accolto dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento la quale rinvia la causa ad altra sezione della medesima Commissione.
La decisione emessa è fondata su due disposizioni: in primo luogo, l’art. 53 Costituzione che renderebbe inopponibili all’amministrazione finanziare quei benefici fiscali ottenuti da operazioni elusive; in secondo luogo, l’art. 37, co. 3, D.P.R. 600/1973 che consente agli organi accertativi di imputare un reddito a soggetti diversi dal titolare apparente laddove, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, risulti che il contribuente accertato ne sia il reale possessore e il titolare apparente un suo mero interposto. A tal proposito La Corte precisa che tra le operazioni elusive e, in particolare, quelle di interposizione personale fittizia ben possono essere ricomprese quelle di simulazione relativa, in quanto l’art. 37, co. 3 sopra richiamato non presuppone affatto la presenza di operazioni fraudolente. Laddove ciò venga contestato è, quindi, onere del contribuente “fornire la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con carattere non meramente marginale o teorico”.
Sulla base di tali considerazioni ed evidenziando che “???” la Corte ha giudicato l’operazione “preordinata a fini elusivi”, accogliendo pienamente il ricorso dell’Ufficio.
L’ordinanza appena illustrata non espone principi particolarmente innovativi e da questo punto di vista, quindi, non appare particolarmente interessante.
Ciò che, invece, lascia perplessi è il fatto che il giudizio emesso appare aver trasceso i compiti propri della Corte di Cassazione. Essa, infatti, dovrebbe essere principalmente preordinata a sanzionare omesse, insufficienti o contraddittorie motivazioni delle sentenze impugnate ovvero a “correggere” interpretazioni giuridiche errate, in quanto il giudizio sui fatti oggetto di causa è per espressa volontà del legislatore di competenza esclusiva dei giudici del merito.
Ciononostante, sebbene effettivamente la sentenza di secondo grado potesse apparire “debole” in punto fatto (ad esempio perché la titolarità del reddito in questione in capo alla venditrice formale era fondata sulla sola materiale percezione del prezzo) e gravida di numerose contraddittorietà, l’attenzione della Corte si è incentrata non sulla mera evidenziazione delle incongruenze della motivazione (lasciando, quindi, al giudice del rinvio un nuovo giudizio sul fatto) quanto, invece, sull’affermazione dell’elusività dell’operazione in esame, con la conseguenza che più che un giudizio “sulla sentenza” sembra di essere di fronte a un giudizio “sul fatto”.
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