Il dirigente comunale deve astenersi dall’adottare l’atto amministrativo con il quale si procede all’assunzione – per chiamata diretta – dei suoi prossimi congiunti. In mancanza commette il reato di abuso d’ufficio.
Lo ha affermato la Corte di cassazione, con la sentenza n. 6705 del 20 febbraio 2012.
Nel caso di specie il dirigente comunale, responsabile del servizio affari generali e personale, al fine di coprire un posto da vigile urbano per il periodo estivo, ha adottato una determinazione con la quale ha assunto per chiamata diretta la propria figlia.
Al contempo ha escluso un’altra candidata, nonostante questa avesse già maturato una breve esperienza come vigile urbano.
Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno condannato il dirigente a quattro mesi di reclusione per il reato di abuso d’ufficio, previsto all’articolo 323 del codice penale.
Il comportamento dell’imputato, secondo i giudici di merito, oltre a violare l’obbligo di astensione per il conflitto di interesse, ha determinato un ingiusto vantaggio per la figlia, che si è vista balzata al primo posto della graduatoria nonostante il suo punteggio fosse in grado di collocarla solo al quarto posto.
Il dirigente ha cercato di difendersi dicendo che l’assunzione non aveva danneggiato il Comune dato che era pur sempre necessario coprire un posto da vigile per il periodo estivo. Inoltre, sempre secondo la difesa dell’imputato, la sua decisione era stata confermata dagli organi politici, il che valeva a ritenerla legittima.
La Corte di cassazione, adita in ultima istanza, ha confermato la sentenza della corte d’appello. Per i giudici romani, infatti, la condotta del dirigente ha integrato tutti gli elementi previsti dalla legge per il reato di abuso d’ufficio.
Viene spiegato che l’articolo 323 del codice penale è stato introdotto per impedire che il funzionario pubblico, nello svolgimento della propria funzione o servizio violi il dovere di curare gli interessi dell’amministrazione pubblica e favorisca se stesso o i suoi prossimi congiunti ovvero arrechi danno ad altri.
Nel caso in esame il dirigente non si è astenuto dal conflitto di interessi che lo vedeva coinvolto e, anzi, ha intenzionalmente deciso di avvantaggiare la figlia.
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