Capitolo primo
Evoluzione della pirateria matittima: effetti negativi sul commercio e sul trasporto marittimo(1)
Introduzione
I recenti e sempre più frequenti episodi di pirateria (alcuni dei quali verificatisi ai danni di navi per lo piu’ mercantili battenti bandiera italiana) hanno risvegliato l’attenzione dell’ opinione pubblica mondiale su questo gravissimo fenomeno, 2 che rappresenta la più consistente violazione di una delle regole fondamentali alla base della pacifica convivenza tra gli stati: la libertà dei mari e del commercio marittimo.
La libertà dei mari costituisce infatti, uno dei principi cardine sul quale è fondato tutto il sistema giuridico internazionale che regola l’uso del mare e lo svolgimento dei traffici marittimi, come si è venuto formando sulla base delle consuetudini internazionali – intese come comportamenti uniformemente tenuti nel tempo nella convinzione di uniformarsi ad un obbligo giuridico, e perciò universalmente riconosciute dagli stati e che in quanto tali costituiscono una delle più vincolanti fonti del diritto internazionale – nonchè i principi generali alla base del diritto marittimo dei singoli stati e le varie convenzioni, succedutesi nel tempo, che li hanno disciplinati3.
Una decisa reazione in difesa dei valori e degli interessi racchiusi nel principio della libertà del mare e della sua libera navigazione non può prescindere, tra le altre, dalla considerazione che anche se oggi tale principio è universalmente riconosciuto quale regola incontestabile del diritto internazionale pubblico e pilastro inalienabile dei rapporti internazionali nonchè espressione di un diritto naturale facente capo ai singoli soggetti di uno stato e da questo esercitato la sua acquisizione da parte della comunità internazionale non è stata pacifica.
L’affermazione di tali concetti, proprio in quanto connessi al principio del libero uso del mare per il commercio marittimo, ha incontrato resistenze ed è stata nei secoli passati osteggiata, in linea teorica e di fatto, dalle grandi potenze marinare succedutesi nel dominio dei mari le quali, a sostegno e conferma della loro la supremazia di fatto, adducevano anche una motivazione teorica e titoli di possesso..4
La prima significativa formulazione dell’innovativo principio della “libertà dei mari “ secondo cui il mare va considerato territorio internazionale e tutte le nazioni sono libere di commerciare attraverso rotte marittime si deve al noto giurista e filosofo olandese Ugo Grozio con la sua opera dal significativo titolo “ Mare Liberum”. 5e6
Tutto il successivo dibattito culturale, gli approfondimenti della dottrina economica e giuridica, gli orientamenti delle politiche degli stati, la evoluzione della legislazione internazionale, in una pur legittima varietà di espressioni, si ritrovano alla fine concordi nel ribadire l’affermazione della irrinunziabile validità del principio della libertà del mare, nel duplice aspetto della sottoposizione di una nave, nell’alto mare (o mare aperto) 7, alla esclusiva giurisdizione dello stato di bandiera e nel divieto per qualsiasi stato di interferire in tempo di pace con una nave battente bandiera di altro stato che navighi in alto mare 8e del connesso principio della libertà del commercio attraverso di esso, formalmente legittimati prima nella Convenzione dell’alto mare di Ginevra del 1958 e successivamente nella più articolata Convenzione del Diritto del mare del 1982.
Troppo preziosi sono i legittimi diritti della comunità mondiale alla salvaguardia dei valori e degli interessi che ne sono alla base e del loro totale rispetto – garantire da un lato la perfetta uguaglianza e la totale indipendenza nell’alto mare e dall’altro assicurare il libertà esercizio del traffico marittimo – per subire senza una efficace reazione il grave pregiudizio che ad essi deriva dalla pirateria
Evoluzione della pirateria fino ai giorni nostri
La pirateria è una attività criminale antichissima che ha avuto
origine fin dai primi sviluppi del commercio marittimo.
Il termine “pirata” è di origine greca e può tradursi nella espressione “compiere atti di coraggio” ovvero in quella “tentare la fortuna con atti di coraggio’’
In lingua somala il termine equivalente a quello di pirata è “burcard badeed” che giustamente inquadra la loro criminale attività, in quanto nella traduzione letterale corrisponde a “ladro o predone dell’oceano”
Alla luce della criminalità della condotta tenuta dai pirati somali e della loro estrema dannosità sembra del tutto illegittima l’autoattribuzione da essi preferita della definizione,, di “baadinanta badah “ che nella traduzione letterale significa “salvatori del mare” in riferimento ad una pretesa attività di difesa delle acque territoriali somale.
Secondo questa definizione la loro attività di pirateria non sarebbe altro che l’esercizio di poteri funzionali finalizzati a risarcire il popolo somalo del danno cagionato dall’illegittimo depauperamento dell’unica fonte di sostentamento costituita dalla risorsa ittica, cagionata dalla immissione di rifiuti tossici e dalle depredazioni messe in atto dai battelli di pesca asiatici ed occidentali9
Inizialmente fu posta in essere da parte di isolati gruppi di pescatori e di marinai. i quali alla grama e faticosa vita che conducevano sui mercantili preferirono la più lucrosa, anche se gravemente illegittima e pericolosa, attività di abbordare e depredare le navi in transito e successivamente ad opera di folti gruppi provenienti da popolazioni che vivevano sui litorali mediterranei, quali gli abitanti della penisola anatolica ed i fenici, gruppi per i quali ormai la pirateria costituiva una vera e propria professione.
Con l’intensificarsi dei traffici marittimi per la scoperta delle nuove terre, anche la pirateria ebbe notevole sviluppo perchè i pirati si diedero alla caccia ed al saccheggio dei galeoni spagnoli che, carichi di oro, ambra ed argento tanto da costituire delle vere e proprie banche galleggianti, si dirigevano in Europa e rappresentavano un allettante bottino
Furono prima gli scrittori greci e poi principalmente quelli romani ad occuparsi di questo ormai dilagante fenomeno inquadrandolo in una specifica categoria giuridica definendo i pirati “hostes umani generis“10 e comprendendo, quindi, i feroci crimini da essi commessi tra i “delicta juris gentium“, con la conseguenza che poteva essere considerata legittima qualsiasi forma di reazione, anche se di estrema violenza, diretta a contrastare la loro attività e tale da costituire un esemplare deterrente, idoneo, si sperava, a dissuadere qualsiasi male intenzionato, per scelta volontaria o perchè indotto dl bisogno, dal prendere parte ad azioni di pirateria.
Ed in effetti, proprio sul fondamento di tale valutazione, era prassi normale che i pirati fatti prigionieri venissero sommariamente giustiziati per impiccagione all’estremità terminale di un pennone della nave che, tra quelle che davano loro la caccia, aveva proceduto alla loro cattura.
Nonostante la decisione con la quale venivano puniti i pirati catturati, la pirateria ha avuto una grande espansione nei secoli XVII e XVIII fino agli inizi del secolo XIX., da quando il fenomeno fece registrare una flessione, salvo a riprendere ed espandersi con dimensioni sempre più allarmanti negli ultimi anni.
Nella ricerca di una soluzione del problema pirateria occorrerà tener ben presente che il fenomeno era andato scemando, facendo registrare una consistente flessione per due principali motivi che tuttora potrebbero rivelarsi determinanti ed efficaci.
In primo luogo perchè i singoli stati costieri si erano attrezzati per mettere sotto controllo ed intervenire nelle proprie acque territoriali per impedire le azioni dei pirati, ma principalmente perchè le grandi potenze marinare dell’epoca – Olanda Inghilterra e Francia- che per contendere alla potentissima Spagna la supremazia nei traffici marittimi avevano fatto ricorso al loro contributo, dando ad essi legittimità attraverso quella che veniva definita “guerra di corsa,”11 per il mutato equilibrio che aveva portato ad accordi di pace tra loro desistettero dall’avvalersi dell’attività al dei pirati e dei corsari.
Ciò nonostante, sia per il consistente sviluppo dei traffici via mare che per l’aggravarsi delle condizioni economiche dei popoli costieri, il fenomeno è andato vieppiù crescendo fino a raggiungere le attuali, intollerabili dimensioni , ed ha subito alcune rilevanti trasformazioni
La prima riguarda la localizzazione geografica conseguente dall’incremento dei traffici commerciali su determinate rotte seguite dai mercantili che partendo dai paesi maggiormente industrializzati dell’Europa occidentale, dell’America del nord, del Giappone e della Cina, puntano a raggiungere per la via più breve gli scali di destinazione superando gli impedimenti geografici che impediscono il passaggio.
Per farlo sono obbligati ad attraversare stretti e canali (definiti chokepoints12) che impongono manovre particolari che rallentano la velocità dei natanti e ciò facilita gli assalti da parte dei pirati, come accade attualmente per la zona del golfo di Aden che costituisce una tra le aree più infestate dalla pirateria – per la presenza dello stretto di Bab el Mandeb che mette in comunicazione l’Oceano Indiano con il mar Rosso facilitando il raggiungimento del Mediterraneo –13
Allo stesso modo avviene per altre nevralgiche zone ed ormai tradizionali punti di passaggio, tra i quali, in Indonesia, lo stretto di Malacca, che restringe una delle più antiche ed importanti vie marittime del mondo, costituendo la principale via di comunicazione tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico e perciò punto di contatto commerciale tra l’Europa e l’Asia pacifica , attraversata da circa 50.000 navi l’anno
Tale consistente intensità di traffico, la ristrettezza dello stretto che riduce, nei pressi di Singapore, la sua larghezza ad appena 2,8 km, l’intenso fumo provocato dagli incendi sull’isola di Sumatra che riduce la visibilità fino a 200 metri, rendono la navigazione assai lenta facilitando gli assalti della pirateria.
Così nei numerosi stretti del mar della Cina, Thailandia, il delta del Niger (Nigeria) Somalia; Sierra Leone, il Golfo di Bengala (Bangladesch), mar dei Caraibi.
La circostanza che l’azione dei pirati avviene in zone di mare ai margini di stretti, o nelle loro prossimità, ove il traffico è più intenso crea un ulteriore effetto negativo, che ne aumenta la pericolosità in quanto durante l’attacco piratesco la imbarcazione che ne è oggetto è solitamente in movimento, condizione che mette in pericolo la stessa nave che, specie in tratti più trafficati, come ad esempio lo stretto di Aden, (attraverso il quale transitano ogni anno quarantamila navi, tra cui capienti superpetroliere che trasportano il trenta per cento del petrolio commerciato via mare) 14rischia una collisione con possibili conseguenze devastanti in termini di impatto ambientale.
Altre trasformazioni riguardano la provenienza socio-territoriale dei pirati e le loro modalità operative
Accanto a quelli che potremmo definire pirateria d’opportunità o part time posta in essere da un piccolo gruppo di abitanti delle zone rivierasche solitamente dediti all’attività della pesca che sfruttando la conoscenza marinaresca decidono di equipaggiare una imbarcazione e con essa condurre un l’attacco piratesco diretto a rapinare i beni personali dell’equipaggio ed i valori rinvenibili sul natante attaccato (tra quali la cassaforte che spesso contiene somme rilevanti necessarie per provvedere all’acquisto di beni non in dotazione ma che si rendessero improvvisamente necessari, per effettuare riparazioni, per provvedere al pagamento degli stipendi, di tasse per diritti portuali e di transito) e quant’altro facilmente asportabile e trasportabile,. si sono sviluppate ben più articolate ed agguerrite organizzazioni criminali piratesche.
La pericolosità del primo tipo di pirateria è relativamente ridotta e più facilmente fronteggiabile, perchè, pur non escludendosi l’incremento che ad essa conferita dal fatto che fruiscono di complicità locali, la sua capacità offensiva è modesta, i mezzi navali adoperati per gli assalti e le armi dei quali fanno uso sono di limitata potenza.
Discorso del tutto diverso va fatto, come vedremo, per la pirateria posta in essere dalle potenti organizzazioni criminali oggi operanti, sia per la loro articolata struttura, sia per le loro vaste dimensioni, sia per i loro collegamenti con altre organizzazioni criminali e con gruppi politici nazionalistici ed insurrezionali e con le stesse autorità politiche, sia per le organizzate modalità e tecniche di assalto e la diversa finalità della loro azione (che non punta solo alla rapina di quanto asportabile, ma all’impossessamento della nave e del carico ed alla cattura dell’equipaggio per chiedere consistenti somme di danaro per il suo rilascio) ed infine per la elevata pericolosità dei mezzi e delle armi in loro dotazione.
E’ del tutto condivisibile a proposito del mutamento delle tecniche di assalto l’opinione del Masetti e dell’Orsini che ne individuano fondatamente 15 una ulteriore nel fatto gli equipaggi delle navi che vengono assaltati sono di consistenza ormai assai minore rispetto al passato per la evoluzione della automazione della strumentazione di bordo con la conseguenza piccoli natanti e ridotti equipaggi pirateschi assaltano navi sempre più grandi nella quasi certezza di non incontrare alcuna valida resistenza.
I pirati operano secondo un sistema organizzativo che ha raggiunto una elevata professionalità., sono dotati di strumenti modernissimi di rilevazione e collegamento, di armi potenti ed altrettanto all’avanguardia che consentono loro di modificare secondo le varie circostanze le modalità secondo le quali condurre gli assalti con altissime probabilità di successo.
Inoltre essi agiscono, un po’ come accadeva per le organizzazioni dedite al contrabbando dei tabacchi lavorati o al traffico di sostanze stupefacenti, attraverso l’utilizzo di quelle che vengono definite “navi- madre” che , nel caso dei suindicati traffici illeciti sostano ai margini o all’interno delle stesse acque territoriali di quelli che vengono definiti ”stati amici” dalle quali si dipartono natanti di piccole dimensioni ma assai veloci che raggiungono la costa ove la merce viene scaricata per far ritorno alla nave-madre.
Allo stesso modo.ma con tragitti opposti, nella pirateria, ove il tragitto seguito è opposto.,
Dalle acque territoriali degli “gli stati amici” dove sanno di poter contare su di un sicuro rifugio l natanti dei pirati si portano in mare aperto per compiere le proprie azioni piratesche per poi farvi sollecito ritorno , una volta portato a compimento l’assalto, ove trovano sicuro approdo, precedentemente predisposto e dove trasportano anche la nave eventualmente catturata con il suo prezioso carico di merce e con l’equipaggio prigioniero.
Infatti, la maggior parte degli attuali pirati non punta più alla sola depredazione del carico della nave o all’impossessamento del natante stesso, ma più facilmente e lucrosamente tende a conseguire un ben più consistente profitto della propria illecita attività con l’incasso della somma, spesso assai ingente, richiesta, quale riscatto dell’equipaggio, del carico e della nave.
Pertanto, la moderna pirateria non è più il semplice crimine di gruppi piu’ o meno numerosi di marittimi e di abitanti le regioni costiere che agendo sulla base di accordi estemporanei abbordavano un natante in transito per depredare gli equipaggi ed i naviganti dei loro beni e del carico trasportato.
I pirati sono infatti si sono ormai trasformati da improvvisati predoni del mare, contro i quali era sufficiente adottare misure semplici di difesa passiva come quella di incrementare la velocità della nave oggetto di abbordaggio e compiere rapide e ripetute manovre del natante in modo di sottrarsi all’attacco,o di adottare altrettanto semplici ed incruenti misure di difesa attiva come quella di utilizzare gli idranti di bordo, in criminali professionali che operano nell’ambito di una organizzazione articolata attraverso una struttura capillarmente e gerarchicamente formata.costituita
Investitori somali ed europei, infatti, ingaggiano operational leaders che reclutano a loro volta soldati per la costituzione di pirate attack teams o groups (si calcola che di essi facciano parte 9000 combattenti, 7000 dei quali sono controllato dai nazionalisti) e mediatori incaricati di svolgere le trattative con gli armatori e le compagnie di assicurazione.
Attualmente nel concetto di pirateria va correttamente compresa perciò, accanto alla piu’ semplice, anche se più pericolosa attività di coloro che materialmente abbordano navi mercantili, le dirottano o se ne impossessano, facendo prigioniero l’equipaggio, quella di ben più qualificata e professionalmente impegnativa di coloro, intervengono in un secondo momento allo scopo di ottenere un riscatto per la restituzione del natante e del suo carico e la liberazione dell’equipaggio o comunque allo scopo di rivendere la nave o il carico.
Con lo sviluppo del fenomeno è perciò man mano mutata la qualità stessa e la provenienza dei pirati, definizione nella quale vanno compresi tutti coloro che fanno parte, a diversi livelli e con compiti sempre più specifici e diversificati, di complesse organizzazioni criminali che svolgono a carattere continuativo e professionale l’attività piratesca.
Essa si articola infatti in più fasi, delle quali l’abbordaggio e la cattura del natante costituisce il momento più appariscente ma professionalmente meno impegnativo, che viene attuato da manovalanza cruminale, costituita in genere da ex militari ed ex pescatori reclutati tra gli abitanti nelle zone costiere i quali vengono addestrati militarmente e dotati di attrezzature sofisticate e riforniti di armi moderne e di droga o di altri eccitanti allo scopo di rendere più spregiudicata la loro azione, come si è avuto modo di constatare nella fase dei prolungati contatti avuti con essi per trattare la liberazione degli ostaggi. .
Molto più complessa è la predisposizione del luogo dove la nave viene dirottata e dove permarrà fino alla conclusione della vicenda.
L’esperienza dimostra che in questa fase intervengono professionalità più elevate in grado di assicurare la complicità o quanto meno l’assenso di coloro che gestiscono il potere nell’area ove la nave viene dirottata e permarrà per tempi non brevi, durante i quali occorrerà assicurare il rifornimento per il mantenimento in parziale attività della nave e di quanto strettamente necessario all’equipaggio prigioniero e del normale fabbisogno dei pirati che li custodiscono.
Ancor più delicata e professionalmente impegnativa è la fase delle trattative, condotte da abili ed esperti mediatori, per la determinazione della somma da ottenere a titolo di riscatto e le modalità del versamento che vedono in azione veri e propri specialisti che ne discutono i vari aspetti in ogni più piccolo particolare al fine di prevenire il verificarsi di tutti i possibili inconvenienti collegati alla clandestinità ed illiceita’ della attività che si sta compiendo ed esposta perciò alla probabilità di interventi sia da parte di legittime autorità sia di altre organizzazioni criminali attratte dalla cospicuità delle somme in gioco.
La “internazionalizzazione” della pirateria
Considerando le dimensioni attualmente raggiunte dal fenomeno, appare quanto mai felice ed opportuna la ricordata intuizione di Cicerone di comprendere la pirateria nella categoria dei crimina iuris gentium, vale a dire tra quelli che con terminologia moderna vengono definiti teatry crimes cioe comportamenti percepiti da tutta la comunità internazionale di estrema pericolosità e pregiudizio che attentano gravemente alla pacifica convivenza tra le genti e ne pongono in grave pericolo beni e diritti fondamentali. e che legittimano ampiamente la definizione dei pirati come nemici del genere umano.
La pirateria viene riconosciuta dalla quasi totalità degli studiosi che si occupano del fenomeno come un “crimine internazionale, (crimina juris gentium)” anche se l’attribuzione alla pirateria di tale qualifica di non trova unanime consenso per le perplessità espresse da coloro che riservano tale definizione ai reati che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, come il genocidio, i crimini contro l’umanità ed i crimini di guerra vale a dire quelli che rientrano nella competenza della Corte Penale Internazionale 16.
La comprensione della pirateria nella categoria dei crimini internazionali determina rilevanti conseguenze pratiche, prima tra tutte la facoltà concessa ad ogni nave che vi abbia interesse di sostituirsi, in acque internazionali, allo stato la cui bandiera batte la nave colta in attività di pirateria nell’esercizio di tutti i poteri repressivi, tra i quali anche la cattura ed il sequestro sia della nave pirata sia della nave della quale i pirati.si sono illegittimamente impossessati, l’arresto dei responsabili ed il sequestro dei loro beni secondo le modalità e le procedure previste dalle leggi dello stato della nave che interviene, in applicazione del principio della giurisdizione universale e delle convenzioni internazionali che saranno in seguito esaminate (Convenzione di Ginevra e UNCLOS).
Di “internazionalizzazione” si è giustamente parlato in una realistica presa d’atto delle sempre più consistenti dimensioni ormai raggiunte dal crimine della pirateria.
Per inquadrare sotto l’aspetto giuridico i caratteri e le varie forme di tale efferato crimine è corretto far riferimento da ultimo alla esaustiva definizione contenuta nell’articolo 101 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (United Nations Convention on the Law of Sea – UNCLOS), firmata a Montego Bay ( Giamaica ) nel 1982,17 che ha fatto seguito – aggiornandola, precisandola e recependo le novità imposte salla evoluzione del fenomeno- alla precedente definizione desumibile dalla Convenzione sull’ Alto Mare di Ginevra del 1958. alla quale aderisce anche l’Italia per effetto della Legge di ratifica ed esecuzione 2 dicembre 1994 n 689.18
Secondo detto articolo costituisce atto di pirateria:
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ogni atto illecito di violenza o sequestro ovvero ogni atto di rapina commesso a fine privato dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave privata qualora rivolti, sia in alto mare, sia in un luogo al di fuori della giurisdizione di qualunque stato, in danno di un’altra nave o contro persone e beni da essi trasportati.
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ogni atto di partecipazione volontaria alle attività di una nave qualora lo stesso sia commesso nella consapevolezza di fatti tali da rendere il suddetto mezzo una nave pirata;
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ogni azione che sia di incitamento e di facilitazione intenzionale a commettere una delle azioni sopra descritte alle lettere a) o b).
Elementi propri delle azioni di pirateria sono:
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dal punto di vista oggettivo tutte le condotte e tutti gli atti di violenza o minaccia, di detenzione, di sequestro o di depredazione (trattasi di un reato “ a forma libera” e “ di mera condotta” per la cui configurazione non è richiesto il realizzarsi di uno specifico, ulteriore evento ) posti volontariamente in essere,. in alto mare o in zone non soggette alla giurisdizione di nessun stato da privati facenti parte dell’equipaggio di un natante nei confronti ed ai danni di un altro mezzo navale o delle persone da esso trasportate, siano o meno membri dell’equipaggio.
Devono perciò ricorrere due specifiche condizioni.
Un elemento spaziale la cui sussistenza è indispensabile per la configurabilita’ del reato di pirateria inteso come crimine internazionale, mancando il quale, come ad esempio nel caso di assalto di un natante e depredazione commessi in acque territoriali, saremmo di fronte a condotte certamente illecite, ma che attentano a beni ed interessi esclusivi del singolo stato e violano norme interne dello stato che esercita la giurisdizione in quelle acque ed è perciò l’unico a poter esercitare la potestà punitiva nei confronti degli autori di tale condotta.
L’altra condizione richiesta (definita “criterio delle due navi”) secondo la quale gli atti vietati devono vedere coinvolti due mezzi navali, prescindendo dalle loro rispettive dimensioni:
Viene, cioè, ravvisata una condotta di pirateria unicamente nel caso in cui vi sia contrapposizione tra due natanti, nel senso che l’azione violenta sia stata resa possibile dall’uso di un mezzo navale, come nel caso dei “barchini” usati dai pirati.
Solo in presenza di entrambe queste condizioni vengono posti in essere la violazione o l’attentato ai beni giuridici della libertà dei mari e della sicurezza della navigazione che le norme sulla repressione della pirateria intendono tutelare:
Non possono quindi qualificarsi“ atti di pirateria “ condotte criminose identiche a quelle indicate nell’articolo 101 della Convenzione delle N.U. sul diritto del mare poste in essere in terraferma e ciò anche se ne fossero autori componenti dell’equipaggio di una nave che per la loro azione non utilizzano un natante o ne fossero vittime i componenti di un equipaggio che non si trovano a bordo di una unità navale
Ne consegue altresì che non possono essere considerate attività di pirateria condotte del tipo di quelle descritte nell’articolo 101 della citata Convenzione commesse in acque territoriali o da un natante militare in danno di altra nave (a meno che non si tratti di una nave militare il cui equipaggio si sia ammutinato ed agisca per fini privati).
Allo stesso modo e per la stessa ragione, infine, non rientrano nella fattispecie della pirateria gli atti di di sequestro, di violenza, di dirottamento, o di impossessamento posti in essere da persone che si trovino illegittimamente o fraudolentemente a bordo del natante.
In ciascuno dei casi sopra ipotizzati, pur essendovi parziali identità di condotte violente ed illecite del tipo di quelle poste in essere nelle azioni della pirateria che attentano ai due beni giuridici fondamentali della libertà e sicurezza della navigazione, mancano tuttavia la finalità privata o la contrapposizione tra due natanti, condizioni espressamente richieste dalle norme per integrarsi la fattispecie della pirateria,
b) dal punto di vista soggettivo l’intento specifico di porre in essere, per fini privati, forme di violenza o di minaccia, anche le più efferate, finalizzate ad impossessarsi del mezzo navale o depredarne i beni trasportati, o quello di privare o limitare la libertà dei passeggeri o dei membri dell’equipaggio al fine estorsivo di richiedere ed ottenere un riscatto per il rilascio del natante, dei beni o delle persone che si trovino a qualsiasi titolo a bordo del natante, caratteri per i quali l’elemento soggettivo si avvicina, secondo la diversa finalità perseguita ed i confini dell’azione, al dolo dei comuni delitti contro la persona o quello dei comuni delitti contro il patrimonio19
Differenza tra pirateria e terrorismo marittimo
L’intento estorsivo e la finalità di trarre profitto economico dall’impossessamento del natante e dei beni da esso trasportati caratterizzano le condotte di pirateria e come tali li differenziano da quelli perseguiti dal terrorismo marittimo. che a differenza della pirateria, non ha normalmente come suo movente e non persegue come primaria la finalità di profitto per la quale, come si è visto, i pirati commettono atti di violenza e depredazione, ma le sue azioni vengono commesse .nell’intento strettamente politico di richiamare l’attenzione della opinione pubblica, anche attraverso la risonanza mediatica assicurata dai mezzi di comunicazione di massa, per mettere in evidenza la vulnerabilità di una organizzazione o del suo apparato militare, o per sovvertire un sistema poltico-istituzionale di un paese o per protestare contro un regime ritenuto dittatoriale .
E’ ovvio che nel caso in cui l’assalto di una nave, il sequestro della stessa o la rapina del carico sono commessi da terroristi non per meri scopi politici, ma per procurarsi fonti di danaro, anche se destinate ad essere utilizzate per condurre battaglie ideologiche o azioni militari irredentistiche, la determinazione del caso come mera attività di terrorismo o di pirateria non ha più senso, trattandosi comunque di azioni di pirateria commessa da terroristi.
Ma anche per un altro motivo attualmente questo criterio distintivo non appare il più certo ed assoluto, per una sicura differenziazione dei due fenomeni in quanto si sono registrati con una certa frequenza comportamenti criminali nei quali confluiscono entrambe le motivazioni come è accaduto per il caso del Kenia, per il quale si registra un forte collegamento tra i pirati e gruppi terroristici islamici ai quali spesso i primi conferiscono una parte del riscatto ottenuto quale profitto della loro azione estorsiva. 20
In entrambi i casi trattasi di fenomeni di violenza sui mari, di comportamenti che rivestendo identica gravità ed odiosità, tale da farli ricomprendere nel novero dei “delicta iuris gentium” in quanto pongono in essere intollerabili azioni criminali che negano i valori fondamentali del vivere civile, si estrinsecano con efferata violenza, attentano all’integrità fisica delle persone, violano il diritto alla libertà dei transito per i mari (che costituisce uno dei valori fondamentali riconosciuti e tutelati dal diritto internazionale) e quindi possono essere parzialmente coincidenti nelle condotte.21
Ma la ricerca di un valido criterio di differenziazione tra i due fenomeni non è motivata solo da ragioni teoriche in quanto mentre per la repressione della pirateria ogni Stato, come vedremo, ha diritto di fermare una nave in alto mare, se una nave è in mano ai terroristi la legittimazione della reazione va individuata nella esimente della legittima difesa, intesa da alcuni Stati, ad esempio gli USA , in modo molto ampio.
Il terrorismo pone in essere azioni ed attentati che proprio per la loro efferata ed indiscriminata violenza suscitano maggior terrore e si propongono di richiamare una attenzione quanto più vasta dei media e dell’opinione pubblica internazionale sulle battaglie ideologiche, politiche, o sociali condotte dai gruppi che ne sono gli autori ed i protagonisti.
Nel suo interessante lavoro “Sicurezza dei trasporti marittimi, lotta al terrorismo marittimo ed analisi informativa” del maggio 2009, Michele Avino ricostruisce, partendo dai primi fenomìeni., una precisa mappa dei gruppi terroristici che utilizzano le vie del mare, individuandone origini, finalità e ambito di azione ed analizza le possibili metodologie di contrasto, sottolineando in particolare la necessità, (che si rivela, come vedremo, parimenti imprescindibile nella lotta alla pirateria) di acquisire attraverso organi di informazione comuni conoscenze sempre più aggiornate del fenomeno al fine di individuare i possibili obbiettivi e prevenirne gli attacchi.
Indubbia matrice tipicamente terroristica, con tutti gli aspetti efferati e violenti che ne caratterizzano le azioni, rivestiva l’assalto posto in essere nel 1985 da un gruppi di palestinesi, i quali, saliti a bordo, si impadronirono della nave da crociera italiana Achille Lauro, e dopo aver ucciso un cittadino statunitense di religione ebraica, la dirottarono a Porto Said.
La convenzione di Roma del 1988
Proprio a seguito di tale gravissimo episodio si aprì un battito in seno all’IMO 22 (International Maritime Organiziaton) che mise in luce la insufficienza delle legislazioni nazionali ed internazionali allora in vigore a fronteggiare adeguatamente eventi criminosi di tale natura e la neccessità di disporre di una normativa più ampia a difesa della sicurezza della navigazione, attraverso la previsione e la repressione di tutti i possibili reati che la mettevano in pericolo, qualunque ne potesse essere la finalità o la motivazione.
Intento questo che portò alla stipula della Convenzione di Roma del 10 marzo 1988 e del relativo protocollo, ratificata con la legge n. 422 del 28 dicembre 1989 e significativamente denominata appunto “Convenzione per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima ” (Convention for the Soppression of Unlawful Acts against the Safety of Maritime Navigation)
La convenzione,23 in un articolato preambolo espone le motivazioni che ne hanno determinato e ne legittimano la stipula.e che possono così sintetizzarsi:
“ Avendo presenti gli scopi ed ai principi della Carte delle Nazioni Unite,…. e la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo ed al Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici”, viene espressa profonda preoccupazione per l’incremento degli atti di terrorismo.e ne vengono indicati gli attentati a valori fondamentali individuali e collettivi.quali – fra i primi- la vita stessa, la dignità personale, e, tra i secondi, lo sfruttamendo dei servizi marittimi e la sicurezza della navigazione.
Considerando che gli atti illeciti posti in essere dal terrorismo marittimo compromettono la sicurezza delle persone e dei beni, viene rilevata l’ “urgente necessità di sviluppare una cooperazione internazionale tra gli stati per l’elaborazione e l’adozione di misure efficaci e pratiche destinate a prevenire tutti gli atti illeciti diretti contro la sicurezza della navigazione marittima ed a perseguire e punire i loro autori”
Richiamandosi alla risoluzione 40/61 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che sollecita tutti gli “stati ed organismi competenti a contribuire all’eliminazione progressiva delle cause profonde del terrorismo internazionale” e “condanna senza equivoci come criminali gli atti metodi e pratiche di terrorismo” auspica un costante approfondimento “delle norme relative alla prevenzione ed al controllo degli atti illeciti contro le navi e le persone che si trovano a bordo di queste navi”
L’articolato, che si sviluppa in ventidue articoli, opera innanzitutto una precisa determinazione dei casi e delle condizioni di operatività (articoli 2 e 4) escludendone l’applicazione per le navi da guerra o assimilate, e delimitandone i limiti spaziali in relazione alla territorialità o meno delle acque attraversate in riferimento al piano di rotta.
Procede quindi (articolo 3) ad una dettagliata e puntuale elencazione ed esposizione delle condotte illecite – qualificate come infrazioni penali – illecitamente ed intenzionalmente commesse, che vanno dall’impossessamento o l’esercizio, mediante violenza o minaccia di violenza, del dominio sulla nave, (lettera a) ,alla sua distruzione o danneggiamento (lettera c), dal collocamento su una nave di dispositivi o sostanze atte a distruggerla o a causare ad essa o al suo carico danni (lettera d) alla distruzione o danneggiamento o perturbamento grave del funzionamento o di installazioni o servizi (lettera e) dal compimento di atti di violenza nei confronti di una persona che si trova a bordo di una nave (lettera b) alla comunicazione di informazioni delle quali si conosce la falsità (lettera f) , ponendo sempre per queste fattispecie in primo piano la difesa della sicurezza della navigazione, condizionando ad essa la configurabilità o la punibilità delle condotte illecite.
Non manca ovviamente la previsione come reato (articolo 3, lettera g) della fattispecie – che possiamo considerare abbia costituito ” l’occasio legis” – dell’omicidio “commesso con la commissione o il tentativo di commissione di uno dei reati di cui alle lettere da a) ad f) del presente paragrafo ” vale a dire del camma 1 dello stesso articolo
Il secondo comma dell’articolo 3 stabilisce che costituisce” egualmente infrazione penale “il tentativo di commissione di una delle infrazioni di cui al primo comma (lettera a) , l’incitamento a commettere una delle infrazioni di cui al primo comma , se l’infrazione è effettivamente commessa (lettera b) o la minaccia di commettere una delle infrazioni di cui alle lettere b) c) ed e) del primo comma, se la minaccia è tale da compromettere la sicurezza della navigazione.
E’ proprio il condizionamento alla compromissione della sicurezza della navigazione che rende accettabile la equiparazione delle descritte ipotesi di tentativo alle fattispecie del reato consumato, in quanto il bene primario protetto è appunto la sicurezza della navigazione, che viene leso anche dalle condotte che si fermano alla fase del tentativo, e che attraverso la Convenzione si è inteso fermamente tutelare.
Contestualmente alla “Convenzione” è stato approvato un “Protocollo per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse 24 situate sulla piattaforma continentale” che estende l‘applicazione degli articoli 5 e 7 e da 10 a 16 della Convenzione, “mutatis mutandi” (come espressamente raccomanda lo stesso Protocollo), alle infrazioni penali previste dall’articolo 2 del protocollo.
Questa norma prevede, come si è visto, una dettagliata serie di condotte illecite, definite appunto “infrazioni penali illecitamente ed intenzionalmente commesse “ che corrispondono a quelle previste dall’articolo 3 della Convenzione, così come trovano applicazione anche per le piattaforme le disposizioni relative alla punibilità del tentativo della complicità e della istigazione, condizionate nel caso specifico alla compromissione della sicurezza della piattaforma fisse.
La legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione si è sforzata di rendere il linguaggio e la terminologia usati dal legislatore internazionale per disegnare le fattispecie elencate nella convenzioni più conformi a quella del nostro codice penale 25 determina la entità delle pene irrogabili per i singoli reati previsti dalla convenzione, in prevalenza in misura più rigorosa rispetto ad analoghe fattispecie dei codice penale, evidentemente per la circostanza che i reati previsti dalla convenzione tengono anche in considerazione la esigenza di tutelare il bene giuridico rappresentato dalla sicurezza della navigazione,
Pirateria: differenza con le altre azioni violente commesse in mare contro natanti
Dai pirati vanno altresì tenuti distinti gli insorti ed i componenti di movimenti di liberazione nazionali, nei casi in cui compiono atti di ostilità in mare limitati a navi del loro stato di appartenenza il cui governo costituito tendono a rovesciare e non anche nei confronti di natanti di stati terzi.
Nei confronti di tale tipo di azioni insurrezionaliste solo il governo legittimo ha il diritto di condurre operazioni militari marittime.
Non rientrano, neppure, nel concetto di pirateria quale configurato in dottrina e nelle convenzioni internazionali, i vari episodi di azioni violente quali ad esempio gli assalti o i danneggiamenti ai danni di baleniere, posti in essere da ambientalisti, perchè pur essendovi modalità di azione ed elementi propri delle azione piratesche ( come ad esempio il contrasto tra due navi ) manca tuttavia la finalità propria de queste ultime, vale a dire l’intento predatorio.
Infine, non ha niente a che vedere con la pirateria la Proliferation Security InitiatInive (PSI), una iniziativa disciplinata da intese informali non vincolanti, con cui gli stati aderenti – tra i quali l’Italia – intendono far fronte alla proliferazione delle armi di distruzione di massa.
Anche in questo caso non è consentito il fermo di una nave in alto mare, tranne che vi sia il consenso dello stato di bandiera.
ll consenso può essere dato preventivamente e gli Stati Uniti hanno concluso un numero ragguardevole di accordi di abbordaggio (boarding agreements )
La pirateria e le altre figure di brigantaggio marittimo.
I corsari.
Dai pirati vanno tenuti, ben distinti i corsari anche se i due termini vengono spesso impropriamente usati come sinonimi, in quanto i corsari hanno avuto una loro ben precisa origine, svolgevano un’attività e rivestivano un ruolo ben definito.
Trattavasi infatti di equipaggi di vascelli privati autorizzati dai sovrani delle grandi potenze marinare dell’epoca ( da un lato l’ Inghilterra – impegnata in un intenso traffico marittimo con le proprie colonie – e la Francia, dall’altro l’altra una grande potenza marinara, la Spagna, sempre in accanita concorrenza, e quindi in lotta tra loro ) a condurre una vera e propria guerra economica, attraverso la lotta al commercio marittimo, attaccando e saccheggiando le navi, per lo più mercantili. degli stati nemici, e tentando di impedirne il commercio marittimo.
L’autorizzazione veniva concessa mediante “lettera di corsa” o “marca” detta anche “patente di corsa “ rilasciata dai sovrani degli stati interessati e sostanzialmente costituiva una vera e propria licenza di pirateria, sia pure delimitata nei tempi, nell’ambito territoriale e nella individuazione della appartenenza delle navi da poter attaccare.
Da qui la definizione di corsari.
La distinzione tra pirati e corsari era ovviamente di parte, in quanto le imbarcazioni ed i marittimi autorizzati con lettera di corsa dal sovrano di uno stato ad assaltare e depredare i natanti dello stato nemico erano per quest’ultimo dei volgari pirati.
La lotta veniva condotta con inseguimenti, abbordaggi (e quindi con vere e proprie azioni di pirateria), ai quali facevano seguito i saccheggi delle merci, che restavano appannaggio dei corsari e, quasi sempre, la cattura del mercantile che entrava in possesso dello Stato che aveva emesso la “lettera di corsa”
Nel caso i cui la nave corsara veniva catturata l’equipaggio veniva fatto prigioniero e sottoposto al trattamento previsto pr i comuni prigionieri di guerra perchè, a differenza di quanto si è visto accadeva per i pirati, non era riconosciuta come legittima la loro uccisione.
Le prime lettere di corsa delle quali si ha nozione furono emesse da Enrico III, Re d’Inghilterra, nazione all’epoca particolarmente impegnata, per la sua posizione geografica, nei traffici marittimi e nei conflitti navali fortemente interessata alla sicurezza della navigazione posta in pericolo dall’attività dei pirati.
Alcuni corsari ebbero pubblici riconoscimenti per le loro imprese dai loro sovrani, come ad esempio il corsaro inglese Francis Drake (assai famoso per la letteratura e la filmistica che ne hanno descritto, in forma romanzata, la figura) nominato Barone dalla regina Elisabetta I d’Inghilterra in riconoscimento delle sue imprese corsare che avrebbero assicurato alle finanze inglesi un bottino valutato in oltre 200.000 sterline,
Famoso è altresì il corsaro Herry Morgan, il saccheggiatore di Panama ed il leggendario Barbanera il cui nome ricorda ancora terribili imprese. .
Anche di recente, ad esempio, il Rediker nel suo libro ” Canaglie di tutto il mondo ” nel quale approfondisce la storia della pirateria nella sua epoca d’oro, nell’illustrare i prevalenti motivi della scelta da parte dei pirati di una, certo non comoda, vita fuorilegge, sembra non sfuggire alla tentazione di attribuire loro una romantica ricerca di libertà e di riscatto sociale
La “guerra di corsa” venne abolita con la dichiarazione di Parigi del 1856.
Peraltro, come era ben prevedibile, la gran parte dei corsari andò ad ingrossare il già folto numero dei pirati.
Differenza tra pirati, filibustieri e pirati barbareschi .
Accanto ai termini di pirati e corsari vengono spesso impropriamente usati quelli di bucanieri e filibustieri, strettamente collegati alla pirateria del mar dei Caraibi, e di pirati barbareschi.
I bucanieri erano coloni francesi o inglesi che si dedicavano in un primo momento alla caccia ed alla lucrosa attività della vendita di contrabbando della carne molto richiesta per le provviste delle navi dei Caraibi e derivano il loro nome dal termine boucan, una sorta di griglia fatta con rami verdi usata per arrostire la carne.
Quando gli spagnoli impedirono loro di esercitare il contrabbando della carne trovarono conveniente dedicarsi alla pirateria.
I filibustieri, provenienti dall’Inghilterra e dalla Francia, operarono la guerra di corsa nel mar delle Antille.
Incerta è l’origine della loro denominazione che può farsi derivare o dal francese filibustier, o dall’inglese free booter , o dall’olandese vrij buiter.
I pirati barbareschi erano così definiti in riferimento alla loro zona di operatività e di provenienza,vale a dire le coste del nord Africa dette di Barberia26
a flotta navale globale calcolata in circa 80.000 unità che percorrono incessantemente tutte le possibili rotte di collegamento sia tra paesi i produttori e consumatori di materie prime che tra quelli manifatturieri ed i consumatori dei prodotti lavorati
La realtà dell’importanza attualmente assunta dagli scambi commerciali che avvengono utilizzando le vie del mare viene ben sintetizzata nella espressione “ marittimizzazione dell’economia”
Questa interdipendenza economica determina un crescente interesse comune a garantire la sicurezza delle rotte attraverso cui avvengono gli scambi, poste invece in serio e costante pericolo dal crescente ritorno e costante sviluppo della piaga della pirateria.
L’attuale dimensione del fenomeno della pirateria marittima
Sebbene si tratti di una attivita’ sviluppatasi di pari passo con l’aumentare dell’utilizzo delle vie del mare e’ di recente che la pirateria “moderna” ha ottenuto la sua maggiore visibilita’ a seguito di un crescendo di assalti ai danni di mercantili di ogni nazionalita’ arrivando, tra il 2000 ed il 2005 a raggiungere una media di oltre 400 casi all’ anno.
Secondo un monitoraggio condotto dall’ International Maritime Organization (IMO e dall’ International Maritime Bureau’s (IMB) Piracy Reporting Centre” 27 si è registrata, nello stesso periodo, una frequenza di ben 177 attacchi soltanto al largo delle coste della Somalia con ben 43 unità mercantlii sequestrate 28
Negli anni successivi il fenomeno ha subito un ulteriore incremento, non solo per l’intensificarsi degli attacchi nelle acque nelle acque internazionali prospicienti la costa somala, ma anche perchè ha interessato anche altre zone costiere, (quali il Golfo Persico, agevole all’azione dei pirati per la presenza dello stretto di Hormuz) sia dell’Africa Orientale, sia dell’Oceano Indiano (in particolare del Bangladedesh) sia del Mar della Cina e persino del Sud America, con la conseguente crescita esponenziale del numero degli attacchi, e quindi delle unita’ catturate, dei relativi equipaggi presi in ostaggio e degli atti di violenza commessi ai danni di quest’ultimi spesso sfocianti in violenze e nei casi piu’ gravi anche nella loro uccisione
Secondo i dati riportati nella nota di Greta Tellarini a commento del Rapporto trimestrale ICC/IMB sulla pirateria marittima si registra un picco significativo per il primo trimestre 2011, con 142 attacchi in tutto il mondo, come si legge nel Global Piracy Report diramato il 14 aprile dall’International Maritime Bureau (IMB) della ICC, ancora una volta per il forte incremento della pirateria al largo delle coste della Somalia, dove sono stati registrati 97 attacchi, con un aumento di 35 casi rispetto allo stesso periodo dell’ anno precedente.
La stessa fonte riporta, inoltre, che in tutto il mondo nel primo trimestre del 2011, 18 navi sono state dirottate, 344 membri dell’equipaggio sono stati presi in ostaggio e 6 sono stati rapiti, come ha segnalato l’IMB.
Delle 18 navi dirottate nei primi tre mesi dell’anno ben 15 sono state catturate nell’ Oceano Indiano al largo delle coste orientali della Somalia e nel golfo di Aden29
Sono apparse così in tutta evidenza le vastissime dimensioni assunte da questo crimine, la sua ormai globale estensione, la sua preoccupante pericolosità, la sua onerosa incidenza sull’economia marittima mondiale, e si è presa coscienza, non solo da parte degli operatori del commercio marittimo ma anche da parte dei responsabili dei singoli stati, e di tutti gli studiosi del fenomeno della urgente necessità di ricercare ed approntare nuovi e più efficaci strumenti legislativi ed operativi idonei a fronteggiare e debellare questa grave forma di criminalità. ” .
Infatti, la pirateria marittima è attiva, nelle sue forme più disparate, su quasi tutti i mari, mettendo per ciò a rischio tutte le più importanti e frequentate rotte, mercantili, e non, raggiungendo, in particolari aree geografiche, proporzioni tali da renderle quasi infrequentabili, a causa della altissima probabilità di subire attacchi, mettendo in tal modo pesantemente in forse sia la libertà di navigazione sia la sicurezza degli scambi marittimi
Secondo dati riportati dalla Camera di Commercio Internazionale alla data dell’ottobre 2011 sono stati registrati 369 attacchi di pirateria, 208 dei quali imputabili ai banditi somali30
I “costi” della pirateria
La dannosità ed i costi per la comunità internazionale del crimine pirateria vanno considerati sotto molteplici aspetti.
In primo luogo quello umano per il pregiudizio che reca alla integrità fisica (fino a giungere in alcuni casi anche alla privazione della vita stessa) e comunque alla libertà dei componenti degli equipaggi delle navi, sottoposti a privazioni, maltrattamenti, ed agli inevitabili traumi psicologici determinati dalla prigionia, che in alcuni casi si è protratta anche per molti mesi.
Nel primo trimestre del 2011 i pirati infatti hanno ucciso sette membri di equipaggio e ne hanno feriti 34 contro i due.feriti nel primo trimestre del 2006
Nello stesso periodo di tempo ben 344 membri di equipaggio sono stati presi in ostaggio e sei sono stati rapiti, come ha segnalato l’IMB.
A questi vanno aggiunte le 299 persone prese in ostaggio ed altre sei prelevate dalle loro navi dirottate al largo della Somalia e nel golfo di Aden31
Assume poi notevolissima importanza l’ aspetto economico degli effetti negativi del fenomeno pirateria dal momento che attualmente il 90% del commercio mondiale si svolge via mare32 e ciò rende rilevantissimo il danno economico che colpisce l’industria dello shipping -trasporto via mare- con un costo complessivo annuo cagionato agli armatori che viene stimato tra il miliardo ed i sedici miliardi di dollari.33
A tale importo va aggiunta quella che, con espressione in uso comune agli statistici in caso di incerta determinazione di un dato questi ultimi definiscono “cifra oscura” e che nel nostro caso è costituita dagli importi delle somme, certamente assai consistenti, pagate dagli armatori per il riscatto delle navi e delle merci ed il rilascio dei membri dell’equipaggio fatti prigionieri
La rilevata espansione del raggio di azione dei pirati oltre i più ristretti limiti tradizionali delle coste somale, e che ormai tocca zone di mare sempre più vaste tra le quali il golfo persico ( facilitata dalla presenza dello Stretto di Hormuz ) e pone a serio rischio rotte nevralgiche, aumenta in modo consistente la dannosità della pirateria dal punto di vista economico, colpendo pesantemente anche il traffico petrolifero dei paesi arabi.
Infatti attraverso il golfo persico transitano circa 20.000 navi l’anno che effettuano il 20 % del trasporto commerciale via mare e numerosissime petroliere il cui carico complessivo rappresenta il 90% del petrolio estratto dail’Arabia Saudita, dal Bahrein, dal Kuwait, dall’Omam, dal Quatar e dagli Emirati Arabi Uniti diretto in Asia ed in Europa, cioè una quantità pari al 4 % della domanda globale di greggio34.
Ai danni diretti che colpiscono gli armatori o, per essi, le compagnie di assicurazione, già, come si è visto, non del tutto quantificabili, vanno aggiunti i danni indiretti di gran lunga maggiori che colpiscono tutta l’attività del traffico marittimo (quali ad esempio l’aumento del costo dei noli delle navi, l’allungamento dei tempi di percorrenza delle rotte, l’approntamento delle più elementari misure di difesa passiva, direttamente poste in essere dalle compagnie di navigazione, la consistente ed inarrestabile levitazione dei premi da corrispondere alle compagnie di assicurazione).
Vanno inoltre messi in conto i rilevantissimi costi di tutte le operazioni, pur limitate alla sola difesa passiva, sostenute dai singoli stati e dalle comunità internazionale nel corso delle varie missioni, che hanno visto impegnate centinaia di navi e migliaia di uomini —a flotta navale globale calcolata in circa 80.000 unità che percorrono incessantemente tutte le possibili rotte di collegamento sia tra paesi i produttori e consumatori di materie prime che tra quelli manifatturieri ed i consumatori dei prodotti lavorati
La realtà dell’importanza attualmente assunta dagli scambi commerciali che avvengono utilizzando le vie del mare viene ben sintetizzata nella espressione “ marittimizzazione dell’economia”
Questa interdipendenza economica determina un crescente interesse comune a garantire la sicurezza delle rotte attraverso cui avvengono gli scambi, poste invece in serio e costante pericolo dal crescente ritorno e costante sviluppo della piaga della pirateria.
Capitolo secondo
Come contrastare il fenomeno
Attuali dimensioni del fenomeno e limiti degli ambiti operativi per contrastarlo.
Di fronte alle proporzioni ed alle caratteristiche attualmente raggiunte dal criminale fenomeno della pirateria è indispensabile che trovi legittima attuazione una concorde reazione sul piano operativo, normativo e giuridico che dovrebbe costituire quella che senza dubbio appare, allo stato dei fatti, l’unica stada percorribile per combattere più efficacemente questo crimine e garantire l’effettività dei principi della libertà dei mari e della sicurezza della navigazione.e dei traffici marittim
Tale esigenza è alla base dell’obbligo imposto dapprima dal’articolo 14 della convenzione di Ginevra del 1958,secondo cui “Ogni stato deve cooperare, nei limiti del possibile, alla repressione della pirateria, sia in alto mare che in altri posti privi di giurisdizione” e successivamente, in forma ancor più perentoria, dall’articolo 100 della convenzione di Montego Bay del 1982 (UNCULOS), che senza lasciare preventivi spazi a riserve circa la esistenza di effettiva possibilità, impone che “Tutti gli Stati esercitano la massima collaborazione per reprimere la pirateria nell’alto mare o in qualunque altra area che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque Stato”
Infatti, risultati certamente consistenti si potranno ottenere solo attraverso una fattiva cooperazione internazionale che si realizzi in primo luogo nel campo della intelligence con scambio di informazioni e tempestivi allarmi e più di tutto con l’adeguamento dei sistemi legislativi nazionali e sovranazionali, che veda tutti gli stati sensibili e concretamente interessati alla prevenzione e repressione della pirateria, che rappresenta un vero e proprio cancro che affligge e mina la funzionalità del commercio marittimo.
Nella sua Risoluzione comune 2011/2962 nel punto 13, il Parlamento Europeo esorta altresì gli stati membri, in collaborazione con Europol ed Interpol a indagare e rintracciare i flussi finanziari, nonchè a confiscare il danaro versato come riscatto ai pirati, giacchè vi sarebbero indicazioni secondo cui i foi in questione potrebbero essere depositati su conti correnti di tutto il mondo, tra cui su quelli di banche europee, nonchè ad individuare e smantellare le reti della criminalità organizzata che traggono profitto da tali azioni
Attualmente purtroppo questa generale cooperazione non solo manca ma ci sono concreti elementi per affermare che alcuni stati favoriscono lo sviluppo della pirateria ed addirittura ad essa, sia pure in maniera più o meno indiretta, offrono un concreto appoggio attraverso la disponibilità a consentire la partenza dai loro scali dei natanti dei pirati e ad accogliere poi le navi prese d’assalto e catturate per i tempi, spesso prolungati, come accaduto di recente nel caso della petroliera italiana Savina Caylyn e del suo equipaggio composto da cinque italiani e da diciassette indiani trattenuti da pirati somali per oltre dieci mesi in acque territoriali somale necessari ai sequestratori per consentire di conseguire il profitto dei loro misfatti, oggi rappresentato per la parte economicamente più rilevante dal pagamento del riscatto.
Nessun effetto positivo fu possibile raggiungere nel caso citato attraverso le varie iniziative poste in essere dallo stato italiano che ai più alti livelli –Presidenza della Repubblica Governo, Ministero degli Esteri – prese contatto con il governo somalo al fine di ottenere il rilascio dei componenti dell’equipaggio sequestrato, nè miglior fortuna ebbero la imponente e pressante mobilitazione dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale nè l’autorevole invito rivolto dal Sommo Pontefice alle autorità somale.
Al contrario, gli stati costieri al confine dei mari nei quali si è maggiormente sviluppato il fenomeno della pirateria, stati il cui contributo sarebbe, per la loro posizione, nevralgico in un’ottica di valido contrasto, rappresentano, i punti deboli sui quali si infrange una efficace strategia preventiva e repressiva per una serie di motivi, tra i quali il più rilevante è costituito dalla loro instabilità politica che rende quanto mai debole il potere e la rappresentatività di una autorità centrale.
Proprio la citata vicenda della petroliera italiana Savina Caylyn e la prolungata prigionia del suo equipaggio hanno costituito una conferma di quanto appena detto circa la pratica inconsistenza di un effettivo potere del governo somalo e quindi della concreta mancanza di un affidabile interlocutore.
Dal momento che, come vedremo, nessun intervento è consentito al di fuori dell’alto mare (high seas) e delle altre zona d’acqua internazionali e lo stesso diritto di inseguimento di un natante sospetto di pirateria o addirittura colto nel compimento di un atto di pirateria trova un limite nel fatto che non puo attuarsi oltre l’inizio delle acque territoriali 35– a meno che lo stato costiero non lo consente- nelle acque soggette alla esclusiva giurisdizione di uno stato la prevenzione e repressione del crimine della pirateria è rimessa alla iniziativa ed alla normativa degli stati costieri i quali, come l’esperienza dimostra, si guardano bene dall’intervenire e di adottare qualsiasi misura idonea a fronteggiare o quanto meno contenere il fenomeno.
Ciò facilita l’attività dei pirati le cui navi, come si è già detto,si rifugiano , subito dopo il crimine nelle acque di quegli stati costieri sulla cui passività, ma molto spesso vera e propria complicità, sanno di poter contare.
Questo indubbio ostacolo ad una efficace azione contro l’attività dei pirati, specie in particolari zone, non viene però considerato determinante per intervenire sulla normativa generale che fissa il principio della inviolabilià delle acque territoriali 36e riconosce su di esse la esclusiva giurisdizione dello stato nazionale .
Molteplici e del tutto condivisibili sul piano teorico sono le ragioni alla base del mantenimento in vigore del principio del rispetto della esclusiva giurisdizione dello stato nazionale nelle acque territoriali, a cominciare dalla permanente attualità delle ragioni storiche che condussero alla adozione di questo principio, prima fra tutte quella di assicurare una uniformità di trattamento nel regime di utilizzazione degli spazi e delle rotte marittime, di sfruttamento delle risorse del mare e prevenire conflittualità tra stati garantendo.l’assoluto rispetto del principio della sovranita nazionale e della integrità territoriale
Anche nei casi in cui per il comportamento di alcuni stati costieri, in particolare della Somalia, (per incapacità di questo stato, in alcuni casi espressamente ammessa, di esercitare ogni forma di efficiente contrasto all’attività dei pirati tanto da costituire di fatto una chiara complicità all’attività piratesca) o, come accaduto per l’Albania relativanente alla altra attività illecita della immigrazione di clandestini in partenza da quello stato, sono state autorizzate deroghe al principio della inviolabilità delle acque territoriali, per consentire l’inseguimento in queste acque di natanti pirati o attuare controlli e vigilanza marittima, ed utilizzare “ tutti imezzi necessari” a reprimere la pirateria”, tuttavia i provvedimenti permissivi hanno sempre ribadito la temporaneità e l’eccezionalità del provvedimento di deroga.
Tutte le risoluzioni dell’ONU adottate in materia hanno costantemente inteso ribadire il rispetto della sovranita nazionale e dell’integrità territoriale di queste nazioni e del loro mari.37
Preso atto di ciò, unica soluzione possibile per superare tutte le difficoltà connesse alla complessità del fenomeno e per contrastarlo efficacemente appare, come si detto, quella di una valida e convinta cooperazione internazionale come avvenuto in passato per i corsari quando le principali potenze marinare, posero fine al regime di protezione offerto alle loro navi .
Di “internazionalizzazione” si è giustamente parlato in una realistica presa d’atto delle sempre più consistenti dimensioni ormai raggiunte dal crimine della pirateria ma lo stesso termine dovrebbe auspicabilmente trovare motivata e legittima utilizzazione per definire la concorde reazione difensiva sul piano organizzativo, giuridico, normativo ed operativo della comunità mondiale .che dovrebbe costituire quella che senza dubbio appare, allo stato dei fatti, l’unica stada percorribile per combattere più efficacemente questo crimine e garantire l’effettività dei principi della libertà dei mari e della sicurezza della navigazione.e dei traffici marittimi.
La Convnzione di Montego Bay, come la precedente convenzione di Ginevra38 così come tutte le organizzazioni internazionali, in primis l’ONU, hanno ripetutamente fatto riferimento alla necessità di siffatta cooperazione che consente di conciliare il rispetto del principio della sovranità nazionale con la insopprimibile esigenza di assicurare la libertà dei mari e la tranquillita e sicurezza del commercio marittimo
Esplicito è quanto statuito in tal senso dal già citato articolo 100 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 la cui rubrica è, appunto “ Obbligo alla collaborazione alla repressione della pirateria”
Il mare, infatti, costituisce da sempre la via principale attraverso cui si sviluppano le relazioni economiche e commerciali tra i vari paesi. a mezzo di una flotta navale globale calcolata in circa 80.000 unità che percorrono incessantemente tutte le possibili rotte di collegamento sia tra paesi i produttori e consumatori di materie prime che tra quelli manifatturieri ed i consumatori dei prodotti lavorati
La realtà dell’importanza attualmente assunta dagli scambi commerciali che avvengono utilizzando le vie del mare viene ben sintetizzata nella espressione “ marittimizzazione dell’economia”
Questa interdipendenza economica determina un crescente interesse comune a garantire la sicurezza delle rotte attraverso cui avvengono gli scambi, poste invece in serio e costante pericolo dal crescente ritorno e costante sviluppo della piaga della pirateria.
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1 Dr. Riccardo Vuosi, Ricercatore di Diritto Penale presso la Seconda Università di Napoli.
2 Definito in inglese “Piracy and armed robbery at sea”
3 Va menzionata la Dichiarazione adottata dall’Istituto di Diritto Internazionale all’esito della sessione di Losanna del 1927 secondo la quale il principio della libertà dei mari implica non solo la libertà di navigazione nei mari aperti, ma anche la libertà di pesca in alto mare, la libertà di posare cavi sottomarini, la libertà di circolazione aerea sopra il mare aperto.
4 Per un approfondimento delle posizioni delle singole potenze marinare nei secoli scorsi, in difesa dei loro interessi commerciali vedasi l’interessante articolo “ La libertà dei mari” di Patrizia Mercurio in Internet, che ricostruisce i contrasti nel tempo tra le potenze marinare ed il progressivo affermarsi del principio della libertà dei mari.
In particolare va menzionato l’atteggiamento della Spagna e del Portogallo che intendendo estendere il loro dominio sui mari e le terre circostanti le nuove terre dell’America centro- meridionale fondavano le proprie pretese sulla famosa bolla Inter Cetera di papa Alessandro VI Borgia
5 Altrettanto significativo era ,peraltro il titolo del libro “Mare clausum” del 1635 con il quale Joan Selden sosteneva la appropiabilità dei mari allo stesso modo di quanto è consentito per i territori.
6 Vedasi inoltre per un ulteriore approfondimento l’articolo di Giuseppe Paccione “ il regime giurdico internazionale dell’alto mare” in Diritto. net DCE Editore nel quale l’autore ricostruisce con interessanti particolari gli avvenimenti e richiama le dispute dottrinarie intorno al delicato principio del “ Mare Liberum”
Imprescindibile in una visione più completa di quella che è stata la evoluzione dei rapporti tra le potenze marittime è gli altri stati la , si rivela la lettura del saggio di Carl Schmitt “ Terra e mare Una riflessione sulla storia del mondo” Adelphi editore Milano 2003
7 Una accurata analisi de “Il regime giuridico dell’alto mare nel diritto internazionale” viene condotta da Giuseppe Paccione, nel suo ottimo articolo, pubblicato in Diritto net DCE Editore , nel quale, dimostrando come siano infondate definizioni (quali “res nullius” o “ res communis omnium”) per lungo tempo usate per spiegare le basi del principio della libertà dei mari, ne spiega i vari aspetti (libertà di navigazione, libertà di sorvolo, libertà di posa di cavi sottomarini e condotte, libertà di costruire isole artificiali ed altre istallazioni ,libertà di pesca, libertà di ricerca scientifica) ne indica i limiti e ne ricostruisce il fondamento alla luce delle Convenzioni internazionali ed in particolare della Convenzione di Montego Bay
8 Con le sole eccezioni dei casi, categoricamente regolati nei quali è esercitabile il “diritto di visita “ e quello di “ inseguimento”
9 Questa visione è comunemente diffusa nella popolazione costiera somala e spiega perché la pirateria somala gode del consenso popolare e perchè intere cittadine sono solidali e collaborano con i pirati.
Così Michele Avino in “La pirateria marittima” Su Intel Analisys On Global Terrorism, Maggio 2009
10 La definizione risale a Cicerone
11 Come vedremo, era in realtà una vera e propria strategia conflittuale tra stati ma che si svolgeva attraverso una sostanziale attività di pirateria,
12 Letteralmente punti di soffocamento o strozzature, altrimenti definibili colli di bottiglia, restringimenti, per indicare appunto che la via di transito si restringe rispetto alla precedente, normale ampiezza
13Nell’articolo Unione Europea contro la pirateria marittima nel golfo di Aden di G. Masetti ed F. Orsini ,in Internet viene correttamente individuata, tra le altre, la ragione della maggior frequenza in questi punti degli attacchi pirateschi nel rallentamento in essi della velocità tenuta dai mezzi navali trattandosi di passaggi obbligati che rende più facile l’abbordaggio
14Le cifre sono riportate nell’articolo citato nella precedente nota.
15 Vedasi l’articolo citato nella precedente nota n.11
16 Secondo lo statuto stipulato il 17 luglio 1998 che ne definisce in dettaglio la giurisdizione
17 Definita attraverso un lungo processo di negoziazioni, iniziato fin dal 1973 e svilppatosi attraverso una serie di Conferenze delle Nazioni Unite
18 Pubblicata sul Supplemento Ordinario numero 164 della Gazzetta Ufficiale 296 del 19 dicembre 1994
19 E’pur vero quanto affermato da Luca Salamone, nell’articolo “Disciplina giuridica transnazionale della pirateria navale, in Ratio iuris .it, che per configurarsi il reato di pirateria è sufficiente quale elemento soggettivo il fine privato dell’azione e non necessariamente anche l’animus furandi, potendo, ad esempio, l’azione dei pirati essere stata commessa ai fini di vendetta, ma nella genericità dei casi gli atti di pirateria sono compiuti a fini predatori, nei quali assume aspetto rilevante l’animus furandi
20 per una corretta ed acuta analisi dell’evolversi delle motivazioni, in un primo tempo esclusivamente economiche, della pirateria e quelle prevalentemente ideologiche del terrorosmo, e delle ragioni e dei momenti di fusione dei due fenomeni criminali vedasi la relazione “la pirateria :un pratico esercizio di sfruttamento del caos” di Cristian Ricci Crimen juris gentium nuova prospettiva di lotta al terrorismo” tenuta nel corso della XII Giornata di Studi sul Diritto Internazionale Umanitario in Internet
21 Con espressione moderna tutti e due i fenomeni criminali vengono ricompresi nel novero dei “treaty crimes” cioè di quelle condotte che, considerate unanimamente reati dalla comunità internazionale sono oggetto di appositi trattati
22 International Maritime Organiziaton
23 Che per l’uso in alcune parti del termine “pirateria” potrebbe prestarsi ad equivoci interpetrativi ma che è chiara nella sua finalità e nella determinazione dei casi di applicazione
24 Come specifica l’articolo 3, “ai fini del presente protocollo l’espressione piattaforma fissa designa un’isola artificiale , una installazione o un’opera attaccata in permanenza al fondo del mare ai fini della esplorazione o dello sfruttamento di risorse o per altri fini di natura economica”
25” e’ sintomatica la sostituzione in più punti del termine ” paragrafo” con quello di “comma”
26 Per una interessante, dettagliata e completa ricostruzione storica, sotto i vari aspetti, della pirateria e delle altre forme di brigantaggio marittimo vedasi: MarioVeronesi- Raccolta di scritti di Storia della pirateria 48° AUCI della M M 1972 Accadenia Navale di Livorno da http:cronologia.leonardo.it/Storia/biografia
27 L’IMB è la divisione specializzata dell’International Chamber of Commerce (ICC) istituita nel 1981, con lo specifico compito di sostenere le iniziative e le attività intraprese da tutti i paesi aderenti per la tutela delle navi mercantili e dei loro equipaggi.
28 .Il dato è riportato nell’articolo di …M. Avino ” La pirateria marittima” in Intel Analisys on Global Terrorism, maggio 2008).
29 In the talian maritime jounal dell’ Università degli Studi di Bologna Aprile/ giugno 2011 Anno X n: 2 in www.ingfo.unibo.it
30 Il dato è riferito nell’articolo di Carlo Lavalle La pirateria marittima si combatte a colpi tecnologia in LA STAMPA it in Internet
31 Secondo quanto riportato nella pubblicazione Informazoni Marittime di Napoli nell articolo “ Ma quanto costa la pirateria” ( su Internet) i marittimi presi in ostaggio solo nel 2011 sarebbero stati 1.118, 24 dei quali assassinati.
32 Un rapporto delle Nazioni Unite ha stimato che ben il 75% dei 5,89 miliari di tonnellate di merce varia -tra le quali primeggia il petrolio- scambiata ogni anno sia movimentata via mare. Il dato è ricavato dall’articolo di Michele Avino Sicurezza dei trasporti marittimi, lotta al terrorismo marittimo ed analisi informativa su Internet
33 Secondo la valutazione fatta da Leonardo Coen nell’articolo “La famosa invasione dei pirati in Somalia”, pubblicato su Il venerdì di Repubblica n.1243 del 18 gennaio 2012 la sola cifra fatturata dalla pirateria somala nel 2010 ammonterebbe ad un importo calcolabile tra i 150 ed i 250 milioni di dollari
34 Il dato è tratto dall’articolo” Risposta araba alla pirateria in Somalia” di Luca Gambardella in Affari Internazionali su Internet.
Lo stesso Gambardella sottolinea la rilevanza che i citati paesi, riuniti nel Gcc (Consiglio di Cooperazione del Golfo) hanno avviato un intenso dibattito sulla possibilità di contribuire più attivamente alle operazioni di lotta alla pirateria,e la indiscutibile positività di una eventuale “ soluzione araba “del problema.
35 Come è noto per acque territoriale di intende la zona di mate nella quale si estende la sovranità esclusiva di uno stato costiero Essa è attualmente determinata in 12 miglia misurate a partire dalla linea di base, come sancisce l’articolo 3 della UNCULOS.
A tale limite misura la comunità internazionale è pervenuta attraverso un lungo processo storico iniziato quando le grandi potenze marinare del sedicesimo e diciassettesimo secolo intrapresero rapporti dopo una lunghissima fase di epiche lotte marinare e decisero di rifarsi al principio secondo cui il mare fosse una “estensione della terra ferma”
Si deve a Cornelius Bynkershoek, autore dell’opera “De dominio maris” del 1702, la individuazione e la concreta determinazione del criterio secondo il quale il dominio delle acque andava circoscritto al limite di dove potesse giungere un colpo di cannone,limite che venne individuato nella distanza di tre miglia marine dalla costa, corrispondente appunto alla portata delle artiglierie terrestri (cannon shot rule) in base al concreto principio secondo cui “ potestas terrae finitur ubi finitur armorum vis”
Per maggiori particolari sulla evoluzione della nozione di mare territoriale vedasi la voce “Acque territoriali” in Glossario di dirito del mare di Caffio
36 Con questa espressione vengono definite le acque contigue alla costa (narrow seas), individuate e determinate secondo il criterio indicato nella nota precedente.
37 Vedansi in particolare le risoluzioni ONU n. 1814, 1816, 1844, 1846 ,1851 del 2008 e 1863 del 2009
38 Articolo 14 della Convenzione sull’alto mare del 1958 “Ogni stato deve collaborare , nei limiti del possibile, alla repressione della pirateria sia in altro mare sia in altri posti privi di giurisdizione.” Peraltro va rilevato che l’obbligo della cooperazione appare stabilito in termini meno cogenti e perentori, condizionato, come è, dall’ inciso, davvero ultroneo, “ nei limiti del possibile”.
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