La sentenza in commento riveste notevole interesse scientifico siccome particolarmente “attenta” alle guarentigie difensive.
Infatti, nel caso di specie, la Suprema Corte di Cassazione ha ravvisato una ipotesi di legittimo impedimento del difensore nel caso di morte di un “prossimo congiunto” qualora le “esequie siano concomitanti al giorno di udienza”.
Il Supremo Consesso, difatti, partendo dal presupposto secondo cui “l’assoluta impossibilità a comparire del difensore non va intesa in senso esclusivamente meccanicistico, come impedimento “materiale” a partecipare all’udienza, dovuto a un precedente e concomitante impegno professionale ovvero ad altra causa che impedisca la fisica presenza del difensore dovuta ostacoli di carattere logistico o sanitario, che prescinda da qualsiasi considerazione di situazioni che possano sotto il profilo emotivo e umano essere ritenute anch’esse di ostacolo alla partecipazione attiva all’incarico affidatogli” è pervenuto alla conclusione secondo la quale, ai fini della sussistenza della causa impeditiva de qua, devono essere annoverate anche “situazioni gravi, sotto il profilo umano e morale” tali da giustificare “l’assenza dal luogo ove la prestazione deve essere eseguita”.
I Giudici di “Piazza Cavour”, inoltre, sono giunti a siffatta conclusione decisoria in virtù del fatto che se un dato evento “può costituire causa per giustificare l’assenza dal lavoro” per i “prestatori di lavoro dipendenti”, lo stesso fatto può valere allo stesso modo anche per chi è un “prestatore d’opera”.
Invero, secondo il Supremo Consesso, “non si comprende per quale ragione il difensore, al quale è attribuita un prestazione di opera intellettuale costituzionalmente riconosciuta e garantita, non possa usufruire di analogo trattamento (rispetto a quello riservato ai lavoratori dipendenti ndr.) in caso di eventi che comunque impongano rispetto” umano e morale” ”.
Orbene, è evidente che tale approdo ermeneutico, come suesposto, è sicuramente condivisibile siccome particolarmente attento alle esigenze difensive nell’ottica peraltro di una ricostruzione dell’istituto del legittimo impedimento in chiave logico-sistematica.
Peraltro, tale indirizzo interpretativo potrebbe favorire l’individuazione dei casi che possono determinare tale causa impeditiva.
In effetti, il richiamo alla normativa prevista per i lavoratori c.d. dipendenti permetterebbe di far sì che, le situazioni previste per questa tipologia di lavoratori che possono giustificare l’assenza sul posto di lavoro, siano applicabili per gli avvocati nonchè per i liberi professionisti tout court[1].
Quindi, potrebbe essere applicato nel caso in questione, l’art. 4, co. I, della legge, 8 marzo 2000, n. 53, il quale prevede che la “lavoratrice e il lavoratore hanno diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado o del convivente, purchè la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica” così come la circolare I.N.P.S. n. 28 del 28/02/12 che, a sua volta, include, tra i casi per poter usufruire del congedo straordinario retribuito, le seguenti ipotesi:
“a) ricovero a tempo pieno di un minore per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura ospedaliera il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare;
b) ricovero in stato vegetativo persistente e/o in situazione terminale;
c) interruzione del ricovero a tempo pieno per necessità del disabile di recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie certificate”.
Dunque, oltre il caso trattato dalla Cassazione (morte di un prossimo congiunto), alla luce di tale norma giuridica e di questa circolare ministeriale, potrebbe configurarsi, come causa di legittimo impedimento, anche l’ipotesi in cui un prossimo congiunto di un legale venga colpito da una improvvisa e non preventivabile grave infermità tale da determinarne l’immediato ricovero.
Del resto, la Suprema Corte di Cassazione, già in diverse sentenze, ha individuato una serie di ipotesi da cui inferire la sussistenza di un legittimo impedimento del difensore e tra queste, senza nessuna pretesa esaustiva, ha indicato le seguenti situazioni:
-
“i concomitanti impegni professionali”[2];
-
l’ “assenza del difensore, determinata dall’adesione ad una agitazione della categoria professionale[3];
-
“la deduzione, da parte del difensore in stato di gravidanza al nono mese, di dolori colici addominali, tempestivamente dedotti e documentati”[4];
-
la citazione del difensore “a comparire in qualità di teste nella stessa data del processo in cui esercita il mandato”[5];
-
lo “stato di avanzata gravidanza”[6].
Ebbene, alla luce di tale casistica, la pronuncia in argomento è sicuramente utile al fine di precisare le circostanze che possono determinare un legittimo impedimento del legale.
Infatti, come già enunciato in precedenza, ogni volta che l’impedimento addotto dalla difesa sia riconducibile ad una situazione analoga a quella che autorizza il lavoratore subordinato di assentarsi dal luogo ove svolge le sue mansioni, dovrebbe ricorrere, alla luce di tale decisum, tale causa preclusiva.
Tale questione giuridica, peraltro, non è meramente teorica posto che, laddove venga ignorata una causa di legittimo impedimento, le conseguenze, sul piano processuale, possono essere molto gravi.
Difatti, “l’omessa o erronea valutazione dell’istanza di rinvio dell’udienza determina il difetto di assistenza dell’imputato, con la conseguente nullità assoluta di cui agli art. 178, comma 1, lett. c) e 179, comma 1, c.p.p.”[7] così come è nulla la sentenza con la quale il giudice “- investito dal difensore di un’istanza di rinvio per legittimo impedimento dedotto con fax e documentato con avvisi relativi a concomitanti impegni professionali – ometta di pronunciarsi”[8].
Per giunta, le ragioni, che giustificano il radicarsi di invalidità così “pesanti” sul piano procedurale, trovano la loro ratio alla luce del fatto che, con l’emanazione del Codice “Vassalli”, il legislatore ha inteso assicurare “la continuità dell’assistenza tecnico-giuridica e di garantire la concreta ed efficace tutela dei diritti dell’imputato, secondo il principio dell’immutabilità del difensore fino all’eventuale dispensa dall’incarico”[9].
Viceversa, durante la vigenza del Codice Rocco, l’impedimento del difensore “non costituiva in nessun caso motivo di rinvio del dibattimento”[10].
A sua volta, il Codice di procedura penale del 1889 si limitava, in egual misura, a statuire (all’art. 272) che, se l’imputato è legittimamente impedito “di presentarsi o di produrre i suoi mezzi di difesa, il pretore, il tribunale o la corte d’appello, davanti cui pende il giudizio, potrà, sulla domanda di lui, o dei suoi parenti od amici, accordargli una dilazione”.
Da ultimo e in conclusione, la sentenza in esame può rappresentare un valido punto di partenza per consentire una più agevole identificazione di quei casi che possono determinare un legittimo impedimento del difensore e quindi di permettere all’imputato di essere assistito, nell’intero iter processuale, in ossequio a quanto sancito dall’art. 6, co. II, lett. c), CEDU, sempre da un suo difensore di fiducia.
[1] Es. il perito impossibilitato a comparire in udienza a causa di un grave lutto famigliare.
[2] Tra le tante: Cass. pen., sez. III, 23/09/05, n. 39554.
[3] Cass. pen., sez. III, 12/12/97, n. 3023.
[4] Cass. pen., sez. III, 4/05/98, n. 6672.
[5] Cass. pen., sez. II, 6/04/04, n. 18909.
[6] Cass. pen., sez. V, 14/02/07, n. 8129.
[7] Cass. pen., sez. II, 15/06/11, n. 29097.
[8] Cass. pen., sez. V, 24/04/08, n. 32964.
[9] Paolo di Geronimo, “La nullità degli atti nel processo penale”, Napoli, Giuffrè editore, 2011, pag. 147.
[10] Cass. pen., sez. IV, 30/11/89, Fonti: Cass. pen. 1991, II,431 (s.m.).
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