Il licenziamento è una delle forme di estinzione del rapporto di lavoro che si esplica mediante atto unilaterale del datore di lavoro contenente la dichiarazione al lavoratore di voler risolvere il rapporto di lavoro subordinato in corso.
L’art. 2 co. 1, L. 604/1996 sancisce l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare per iscritto il licenziamento a pena di inefficacia del recesso. Il licenziamento, dunque, è un negozio unilaterale recettizio a forma vincolata che si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione di volontà del recedente giunge a conoscenza del destinatario, acquistando così l’idoneità alla produzione dell’effetto voluto.
La forma scritta per l’intimazione del recesso da parte del datore di lavoro è richiesta dalla legge ad substantiam. Di conseguenza il licenziamento individuale intimato senza l’osservanza della forma scritta è nullo e quindi non produttivo di effetti giuridici
La legge 108/1990 ha ampliato l’ambito di applicazione della forma scritta del licenziamento, estendendolo a tutti i datori di lavoro sia imprenditori che non imprenditori e a prescindere dall’elemento dimensionale dell’azienda. Il legislatore ha inoltre previsto che l’obbligo della forma scritta si applichi anche ai licenziamenti dei dirigenti. Sono esclusi dall’applicazione della norma i licenziamenti dei domestici, degli ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici e dei lavoratori in prova.
La legge non prevede formule sacramentali, pertanto tale volontà può essere comunicata anche in forma indiretta purché in maniera non equivoca. Inoltre la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la consegna da parte del datore di lavoro dell’atto scritto di liquidazione delle spettanze di fine rapporto, quando il rapporto sia stato di fatto interrotto, contiene in sé la chiara manifestazione della volontà di licenziare.
Ai sensi dell’art. 2 comma 2 della citata L. 604/1966 come modificato dall’art. 1 co. 37, L. 92 del 28.06.2012 la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato.
Il legislatore ha reso obbligatorio ciò che sin qui era onere del lavoratore domandare entro quindici giorni dalla comunicazione i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro deve nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto. In assenza di contestuale motivazione il licenziamento è inefficace. Tale obbligo di motivazione riguarda tutte le ipotesi di recesso da parte del datore di lavoro e, pertanto, non è limitato al recesso per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo. La previsione legale dell’obbligo della motivazione è posta a tutela del lavoratore licenziato al fine di garantire al medesimo la possibilità di conoscere i fatti posti a base del recesso, di controllare la fondatezza e di valutare l’opportunità di un’eventuale contestazione (Cass. 5.5.2011 n. 9925)
L’obbligo in esame e’ stato reso ancor più stringente per l’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo da effettuare nell’ambito delle imprese con più di 15 dipendenti. In tale caso infatti, come modificato dall’art. 1, co. 40 L. 28.06.2012 n. 92, il recesso deve essere preceduto da una comunicazione trasmessa dal datore di lavoro alla Direzione Territoriale del Lavoro e per conoscenza al lavoratore interessato, nella quale devono essere indicati i motivi del licenziamento stesso nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. Ricevuta la comunicazione in questione, la Direzione Territoriale convoca le parti avanti la Commissione Provinciale di Conciliazione affinché vengano esaminate anche soluzioni alternative al recesso. Laddove al termine della stessa non vi sia accordo il datore di lavoro puo’ comunicare il licenziamento al lavoratore. Conseguenza necessaria della ratio della previsione dell’obbligo della motivazione è la non modificabilità della motivazione stessa, atteso che diversamente sarebbe vanificata la possibilità di valutazione e contestazione da parte del lavoratore dei motivi posti alla base del licenziamento.
Il licenziamento per fatti concludenti è configurabile solo nella limitata area in cui non è richiesta la forma scritta, come nel caso del rapporto di lavoro domestico. Diversamente nelle aree di applicabilità dell’art 2 L. 604/96, qualora il datore di lavoro ponga in essere un comportamento che possa essere inteso come espressione della volontà di estromettere definitivamente il lavoratore dall’azienda, tale condotta integra un licenziamento inefficace in quanto in violazione dell’art. 2 L. 604/1996.
Il soggetto legittimato ad intimare il licenziamento è il datore di lavoro. Da ciò consegue che, nel caso in cui il datore di lavoro sia un soggetto munito di personalità giuridica, il licenziamento deve essere intimato dalla persona o dall’organo munito di poteri dispositivi del relativo diritto. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il licenziamento intimato da un soggetto privo della rappresentanza dell’ente non è inficiato da nullità assoluta ma è annullabile da parte del datore di lavoro, il quale può anche ratificarlo a norma dell’art. 1399 c.c., sempre che la ratifica sia fatta nelle stesse forme prescritte per l’atto ratificato e, quindi in forma scritta laddove per quell’atto occorra tale forma ad substantiam.
La comunicazione del licenziamento, avendo natura di atto unilaterale recettizio, soggiace alla disciplina dettata dagli artt. 1334 e 1335 c.c., la quale sancisce che gli atti unilaterali producono effetto nel momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati. Nel caso di impiego del servizio postale la prova della conoscenza del licenziamento deve essere rigorosa e fornita mediante l’avviso di ricevimento della raccomandata, oppure può essere fornita anche mediante presunzioni, purché caratterizzate dai requisiti legali della gravità, della precisione e della concordanza. La presunzione di conoscenza stabilita dall’art. 1335 c.c. comporta che il mittente dia prova del fatto oggettivo dell’arrivo dell’atto recettizio all’indirizzo del destinatario, mentre è a carico del destinatario fornire la prova contraria di non avere avuto notizia per causa a lui non imputabile. In applicazione del suddetto principio la Suprema Corte ha ritenuto che, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento della lettera raccomandata a mezzo della quale è stato comunicato il licenziamento, la ricevuta rilasciata dall’ufficio postale costituisce prova della spedizione, sulla quale può fondarsi la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e la conoscenza dello stesso ex art. 1335 c.c. (Cass. 16.01.2006. n. 758).
In materia di rifiuto da parte del lavoratore di ricevere sul luogo di lavoro l’atto di licenziamento la Corte di legittimità ha affermato che il rifiuto di una prestazione o di un adempimento da parte del destinatario non possa risolversi a danno dell’obbligato, inficiandone l’adempimento. Nel diritto processuale, infatti se il destinatario rifiuta di ricevere la notifica, questa si considera fatta a mani proprie. Tale principio vale anche per la comunicazione di un atto unilaterale recettizio, quale il licenziamento.
Giuseppe Bacchetti
dottore in consulente lavoro
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento