In tempi di crisi e di aumenti, spesso incostituzionali (v. C.Cost. n. 187 del 16 luglio 2012 sui tickets sanitari per i malati di tumore e/o di altre categorie prima esenti ), le famiglie, sopratutto dei disabili o dei malati cronici gravi, hanno grosse difficoltà a provvedere alle loro esigenze.
Un tema molto discusso, a tal proposito, è la compartecipazione del comune (e/o di altri enti locali) ai costi dei servizi sociali ad essi rivolti attraverso contributi per le spese di trasporto e per la retta delle RSA e delle altre strutture socio-sanitarie che ospitano e/o si prendono cura dei portatori di handicap.
Sul punto negli ultimi due anni si è sviluppato un forte contrasto giurisprudenziale, risolto dal Consiglio di Stato a favore dei comuni, introducendo un limite all’apparenza incostituzionale, rimesso, però, in discussione dai Tribunali amministrativi locali.
Il Tar Puglia-Bari sez. II n. 464, depositata lo scorso 01 marzo, ribadisce la totale gratuità del servizio. Le altre sentenze qui annotate confermano il principio e lo estendono anche al ricovero ed/od all’alloggio presso strutture specializzate ed/od ad esse assimilabili, pur giungendo, talvolta, a conclusioni opposte.
Il Consiglio di Stato sez. III n. 5154 dello scorso 28 settembre afferma, invece, l’obbligo di compartecipazione del beneficiario alle spese per la sua assistenza in una struttura socia-sanitaria per un importo da calcolarsi tramite l’ISEE. È legittimato il comportamento del comune che aveva trattenuto buona parte delle pensioni di reversibilità, di accompagnamento ed altre somme di proprietà dello stesso, nonché avanzato un diritto di rivalsa su tutti i suoi beni.
Il Tar Lombardia – Milano sez. III n. 1585 (e la altre identiche nn. 1581-1594), depositata il 20/05/10, rassegna le medesime conclusioni del Tar pugliese, fornendo importanti delucidazioni in materia e, come il CDS da ultimo citato, esplica a quale ISEE occorre riferirsi per la quantificazione della quota di rimborsi.
Infine il Consiglio di Stato sez. V n. 6999, depositata il 30/12/11, sancisce che la loro refusione è vincolata all’effettiva disponibilità delle risorse stanziate nel bilancio comunale. Infatti l’equilibrio dello stesso e la proporzionalità della ripartizione dei fondi tra tutti i servizi e le necessità della collettività devono prevalere su ogni altro interesse contrastante, pur se universalmente riconosciuto. Queste sentenze, inoltre, evidenziano un altro apparente contrasto tra le norme in materia: il vaglio delle condizioni economiche deve riguardare solo il beneficiario o l’intero suo nucleo familiare? Lo risolvono a favore del primo esclusivamente se è disabile grave od ultrasessancinquenne non autosufficiente.
Le vicende affrontate. Il comune impugnava la delibera della locale ASL con cui gli erano imposti i costi del servizio di trasporto dei disabili gestito tramite “un consorzio di imprese di autotrasporti”, perché ritenuta contraria al dettato “degli artt. 5, co 1 e 12, co 1 e 2, L.R. 10/97, dell’art. 3, co 3, d.lgs.502/1992, dell’art. 51 l.833/78, dell’art 30 l. 730/83 e del DPCM 8.8.1995.”.
Sosteneva che è un servizio accessorio a quello sanitario-riabilitativo, sì che tutti gli oneri dovevano gravare sull’ASL.
Si noti che spesso questa problematica è messa in relazione e, sotto alcuni aspetti che esplicheremo infra, coincide con quella relativa ai sussidi per il saldo delle rette delle RSA e delle altre residenze socio-sanitarie che li ospitano.
Infatti le altre pronunce affrontano casi di portatori di handicap che hanno impugnato i regolamenti comunali là dove non prevedevano adeguati fondi per garantire loro una “vita indipendente” presso una struttura specializzata e consideravano, per calcolare l’importo del contributo della PA, il reddito dell’intero nucleo familiare, anziché quello del solo interessato.
La sentenza n. 5154/12 analizza il ricorso del comune contro un’anziana donna invalida, che aveva impugnato le trattenute sopra descritte e sostenuto che “la componente reddituale, da considerare ai fini della partecipazione agli oneri delle prestazioni agevolate, non doveva comprendere la pensione per l’invalidità civile e l’assegno di accompagnamento che non fanno parte del reddito imponibile per effetto dell’istituzione, con il d. lgs. n. 109 del 1998, dei criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate”. Il Tar recepiva questa tesi con riflessioni che saranno approfondite infra, rilevando “che le regioni, nell’emanare la disciplina di loro competenza sui servizi sociali assistenziali agevolati, siano comunque vincolate al sistema ISEE” (Tar Lombardia – Milano sez. I n. 1405/08). Il comune, a sua volta, gravava questa decisione presso il CDS che accoglieva il ricorso.
I relativi giudici hanno deciso le liti nel senso sopra descritto. Si rinvia al testo delle sentenze per ulteriori ed eventuali approfondimenti, rilevando come le stesse pur concordando su alcuni temi, su altri siano in netto contrasto tra loro.
Il trasporto a scuola e verso le strutture mediche è a carico del comune. “ L’art. 26 co 1 e 2, L. n. 104/1992 (Mobilità e trasporti collettivi.) (…) prevede testualmente che: “1. Le regioni disciplinano le modalità con le quali i comuni dispongono gli interventi per consentire alle persone handicappate la possibilità di muoversi liberamente sul territorio, usufruendo, alle stesse condizioni degli altri cittadini, dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi”. ”. L’art. 3, comma III d.lgs. n. 502/92, invece, stabilisce che “l’unità sanitaria locale può assumere la gestione di attività o servizi socio-assistenziali su delega dei singoli enti locali”, e “ ne pone i relativi oneri a carico degli stessi.”. All’apparenza queste due norme sono in contrasto, ma l’impasse è risolto “dagli artt. 112 e ss. T.U.E.L. (d.lgs 267/2000) che assegna agli enti locali la gestione – ed i relativi oneri- dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di attività rivolte alla comunità locale, tra cui indiscutibilmente rientra il servizio di trasporto locale.”.
Nella fattispecie la legge regionale disponeva che “il servizio di trasporto è di competenza dei Comuni, per ciò a loro carico sono le relative spese”. A conferma di ciò il G.A. chiarisce che “il trasporto dall’ abitazione ai servizi e viceversa, nonché l’ accompagnamento e il trasporto speciale vengono contemplati invece dal secondo comma tra “gli altri interventi socio – assistenziali.”.”.
In generale ciò vale anche a livello nazionale, poiché questo assunto si desume dalla citata normativa.
Il diritto ad una vita indipendente. Il contributo appena descritto è annoverabile tra quelli che aiutano i portatori di handicap ad avere una propria indipendenza ed a diminuire il divario della qualità della loro vita con quella dei “normodotati”. La legge prevede anche convenzioni e sussidi ad hoc per raggiungere questa autonomia.
Infatti l’art. 39 L. 104/92, comma II, così come modificato dall’art. 1 L.162/98 prevede che “le regioni possono provvedere, sentite le rappresentanze degli enti locali e le principali organizzazioni del privato sociale presenti sul territorio, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio:………l –ter) a disciplinare, allo scopo di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia”. Nella fattispecie decisa dal CDS del 2011 la Lombardia aveva stanziato fondi per “l’acquisto di strumenti tecnologicamente avanzati” per l’integrazione ed il reinserimento socio-professionale del disabile. Il comune aveva predisposto ed approvato un “progetto Servizio di aiuto per la vita indipendente” per realizzare tali finalità subordinandolo, però, alla disponibilità dei fondi in bilancio. È questo limite il punto focale di tutto il problema e l’origine del contrasto giurisprudenziale più volte ricordato.
Tutela costituzionale ed europea dell’autonomia dei disabili. È indubbio che questo diritto sia un’estrinsecazione della “ garanzia della dignità della persona e del fondamentale diritto alla salute degli interessati e si ispira alle disposizioni comunitarie e internazionali contenute, in particolare, all’art. 13, par 1 del Trattato, nella Convenzione sui diritti delle persone con disabilità adottata il 13 dicembre 2006 dall’Assemblea Generale delle nazioni Unite e nella Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri del 17 marzo 2008, sulla situazione delle persone con disabilità dell’Unione Europea”. Perciò trova i suoi fondamenti nella Costituzione, nella Dichiarazione dei diritti universali e nella Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, ora parte integrante del Trattato di Lisbona.
In queste norme, però, si parla solo dei diritti alla salute ed alla libertà di movimento, ma non di servizi sociali. In particolar modo l’art. 117 Cost, dopo la riforma del Titolo V del 2003, non indica espressamente questa materia, facendo sorgere il dubbio se la potestà legislativa sulla stessa spetti allo Stato in esclusiva od in concorrenza con la Regione, come per la “tutela della salute” oppure sia di competenza esclusiva di questa ultima, tesi da preferire come confermato anche dalla L. 328/00 (cfr C.Cost. n. 124/09).
Definizione di servizi e di interventi sociali ed ulteriori profili di costituzionalità sul potere di legiferare in materia ex art. 117 Cost. All’art. 1 si precisa che “la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione”. Evidenzia, infine, un “nesso funzionale tra i servizi sociali, quali che siano i settori di intervento (ad esempio famiglia, minori, anziani, disabili) e la rimozione o il superamento di situazioni di svantaggio o di bisogno, per la promozione del benessere fisico e psichico della persona” (cfr. Corte costituzionale, 28 luglio 2004, n. 287). Il comma 2 del medesimo articolo 1, l. 8 novembre 2000, n. 328, precisa che per interventi e servizi sociali si intendono tutte le attività previste dall’articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (recante il conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).”. Questa norma “specifica che con tale nozione si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno o di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”. Per poter fruire di tali agevolazioni il combinato disposto degli art. 1-3 Dlgs 109/98 e art. 25 L. 328/00 impone rigidi criteri ed un vaglio della situazione economica così come ricavata dall’ISEE.
In conclusione di questo excursus, il G.A. rileva evince che “il legislatore statale ha limitato il proprio intervento alla sola definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, lasciando gli ulteriori profili di disciplina alla legislazione regionale. Pertanto, la normativa richiamata, anche se anteriore alla modificazione costituzionale, rimette in concreto alle Regioni la disciplina legislativa della materia dei servizi sociali, consentendo allo Stato di incidervi solo in sede di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.”.
Ergo lo Stato fissa dei criteri standard ed eventuali vincoli selettivi che li integrano per fornire prestazioni essenziali ed un servizio uniforme su tutto il territorio nazionale ed evitare discriminazioni ed/od abusi, mentre le Regioni possono fissare regole per l’accesso agli stessi, stante i descritti limiti.
Infine, per completezza, si citi una recente sentenza della corte Costituzionale della fine luglio 2012, in cui si ribadisce il divieto alle liberalizzazioni dei servizi perché contrario all’esito dei referendum del 2011: i servizi pubblici non possono essere privatizzati.
Criteri di valutazione dell’ISEE. “In primo luogo, va osservato che l’art. 3, comma 1, del decreto 109, nella parte in cui attribuisce agli enti locali la facoltà di prevedere, accanto all’indicatore della situazione economica equivalente, “criteri ulteriori di selezione dei beneficiari”, va inteso nel senso che consente di attribuire rilevanza a fattori diversi da quelli reddituali o patrimoniali, per i quali il limite della rilevanza è stato definito dal legislatore statale in sede di determinazione del parametro I.S.E.E., la cui applicazione per l’accesso ai servizi esprime di per sé un livello essenziale di prestazioni da applicare in modo uniforme. Gli enti locali potranno valorizzare elementi di vario tipo, collegati alle peculiarità sociali di una determinata zona, ma non potranno, tuttavia, introdurre ulteriori criteri fondati su elementi reddituali o patrimoniali, in quanto ciò determinerebbe un’alterazione irragionevole dell’assetto voluto dal legislatore statale che ha scelto di valorizzare questi elementi solo nel quadro dell’indicatore della situazione economica equivalente (cfr. in argomento Tar Lombardia Milano, sez. I, 07 febbraio 2008 n. 303; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 02 aprile 2008, n. 350; Tar Umbria, 06 febbraio 2002, n. 271).”. Si precisi che, su espressa volontà del legislatore (art. 2 Dlgs 109/98) esclude che questi parametri vigano per le obbligazioni alimentari (artt. 433 , 438, 447, 2900 e 2948 cc). Pertanto questa normativa “non consente agli enti locali né di subordinare l’accesso ai servizi alla preventiva attivazione del credito alimentare, né di parametrare il costo del servizio gravante sull’utente alla capacità economica degli obbligati alimentari, né di surrogarsi al richiedente pretendendo il pagamento di una parte dei costi da parte degli obbligati alimentari”.
Da ciò si evince che l’accesso al servizio e l’importo della tariffa esulano dalla presenza di eventuali soggetti tenuti a prestare gli alimenti al richiedente/beneficiario. Ciò contrasta con la disciplina del Dlgs 109/98 in quanto impone che la “condizione economica del richiedente sia definita in relazione ad elementi reddituali e patrimoniali del nucleo familiare cui egli appartiene”. Il contrasto, però, è apparente poiché “ l’art. 3, comma 2 ter – come modificato dall’art. 3, comma 4, D.L.vo 3 maggio 2000, n. 130 – stabilisce che “limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e sulla base delle indicazioni contenute nell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 3-septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni”.
Varie le esegesi fornite dalla sentenza in esame, cui si rinvia in toto per ogni approfondimento, ma tra tutte è da ritenersi prevalente quella secondo cui “considera che la regola della evidenziazione della situazione economica del solo assistito, rispetto alle persone con handicap permanente grave e ai soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, integra un criterio immediatamente applicabile ai fini della fruizione di prestazioni afferenti a percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, senza lasciare spazio normativo alle amministrazioni locali (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. III, ordinanza 08 maggio 2009 n. 581; Tar Lombardia Milano, sez. III, ordinanza 08 maggio 2009 n. 582; Tar Lombardia Milano, sez. IV, 10 settembre 2008 n. 4033; T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 24 ottobre 2009, n. 1562; Tar Marche Ancona, sez. I, ordinanza 27 settembre 2007 n. 521; Tar Sicilia Catania, 11 gennaio 2007 n. 42).”.
Si rilevi come siano imposti paletti anche alla misura dell’importo della eventuale compartecipazione del beneficiario e/o delle famiglie. Infatti esso “deve essere tale da conservare in capo al disabile una quota, pari al 50 per cento del reddito minimo di inserimento calcolato ai sensi dell’art. 23 della L. 328 del 2000. La suddetta conclusione si fonda sull’art. 24, comma 1, lett. G, della L. 328 del 2000 il quale esprime un principio direttivo a cui le amministrazioni, pur in difetto di attuazione della delega legislativa prevista dalla predetta norma, ed in assenza di diversa disciplina regionale, devono conformarsi nell’esercitare il diritto di rivalsa delle spese di ricovero sostenute a favore delle persone non autosufficienti. Le medesime conclusioni valgono per tutti gli altri emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo.”
I nuovi limiti imposti dal Consiglio di Stato n. 5124/12. È stata convalidata una disposizione dell’ordinamento in materia del Comune di Milano, che legittima l’ente a trattenere ulteriori emolumenti ed indennità versate al beneficiario ed a prevedere il saldo delle spese in esame solo se il richiedente è indigente per i criteri di solidarietà fissati dall’art. 118 Cost. In caso contrario è legittimo calcolare la compartecipazione della PA in base a tabelle da essa fissate e del reddito del nucleo familiare. Questa nuova linea è stata ritenuta compatibile col dettato del Dlgs 109/98 e delle altre citate leggi.
Nel caso in esame, perciò, sono state convalidate le trattenute ad un’anziana totalmente invalida, ricoverata presso una struttura socio-sanitaria comunale, poiché la stessa godeva di ben due pensioni di guerra, dell’accompagnamento e dell’assegno di invalidità, perciò aveva i mezzi per far fronte alle spese assistenziali.
Infatti i suddetti contributi sono “nati” per far fronte all’esose spese ed all’indebitamento delel famiglie per curare i propri cari e per permettere agli stessi la permanenza nel loro nucleo familiare ed affettivo in linea con le finalità sinora espresse. Veniva, tra l’altro, rispettato il criterio di compartecipazione sopra indicato, poiché alal donna erano lasciate risorse sufficienti per il suo sostentamento e la sua autosufficienza.
Niente sussidi se non sono in linea col bilancio dell’amministrazione erogante. La giurisprudenza costante del Consiglio di Stato ritiene che “la dipendenza del finanziamento integrale del progetto, oltre che dalla positiva valutazione dei presupposti per l’ammissione, anche dalla erogazione di sufficienti finanziamenti regionali non contrasta, peraltro, con l’impianto e le finalità della legge-quadro n. 104/1992.” . Tutto ciò è, tra l’altro, in linea con quanto stabilito dalla normativa Ue.
Quella del Tribunale amministrativo, come detto, è in senso opposto: una volta che il beneficiario rispetta i requisiti sopra indicati, l’ente (comune, provincia o Regione) deve erogare tout court i contributi in oggetto.
Va, però, rilevato come questo assunto non possa trovare seguito, poiché la crisi,la normativa sul patto di stabilità ed il menzionato bilanciamento degli interessi impongono il rispetto di quanto affermato dal CDS.
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