La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha affermato come non possa essere revocata la sospensione condizionale della pena disposta ai sensi dell’art. 165 c.p. qualora il condannato si trovi nell’impossibilità di risarcire il danno o versi in una situazione economica tale da rendergli particolarmente difficile ottemperare a tale incombente.
Infatti, nel caso di specie, la Corte ha stimato legittima l’ordinanza con la quale, il giudice dell’esecuzione, ha rigettato “la richiesta del Pubblico Ministero di revocare la sospensione condizionale della pena” posto che dagli elementi raccolti, “risultava, da un lato, l’impossibilità del D.T., attualmente disoccupato, di risarcire il danno e, d’altro lato, la sua volontà di realizzare del denaro contante per adempiere la sua obbligazione risarcitoria, mettendo in vendita l’unico suo bene, costituito da una collezione di francobolli, dei quali aveva indicato il valore (inferiore a quello di mercato) al quale intendeva venderli”.
Di talchè a fronte dell’impugnazione proposta dall’organo requirente con la quale ci si doleva di come il giudice di merito non avesse “fissato un termine per il riesame della posizione economica del condannato, con il rischio di consentire allo stesso di opporre il giudicato derivante dall’ordinanza impugnata, di fronte ad una futura richiesta di revoca del beneficio da parte dell’Ufficio del Pubblico Ministero” e di come il condannato non avesse “preso alcuna iniziativa, dalla data della sentenza, per trovare un lavoro, limitandosi alla richiesta di un certificato di disoccupazione in vista dell’udienza fissata per la verifica delle ragioni del mancato adempimento”, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo l’operato del giudice dell’esecuzione in virtù del fatto che:
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il ricorrente non aveva allegato alcun elemento concreto che smentisse l’affermazione dell’imputato di non essere in grado attualmente di risarcire il danno cagionato alla parte offesa;
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il pubblico ministero avrebbe potuto pur sempre “avanzare una richiesta di revoca” in presenza di “elementi dai quali si possa desumere che” l’imputato fosse “in grado di adempiere o si sottrae volontariamente all’adempimento dell’obbligazione”;
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il condannato ha provato tale impossibilità di adempiere attestando di essere disoccupato e manifestando la sua volontà di alienare i beni di sua proprietà per far fronte al debito risarcitorio.
Ciò premesso, tale approdo ermeneutico è condivisibile posto che esso è conforme ad un consolidato orientamento nomofilattico secondo il quale, ai fini della revoca della sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di obblighi risarcitori, spetta al giudice dell’esecuzione (e non a quello della cognizione) verificare la “concreta possibilità del condannato di fare fronte a tale onere”[1] “spettando appunto al giudice della esecuzione stabilire se, nel momento in cui tale onere deve essere effettivamente adempiuto, esso possa essere soddisfatto”[2].
Difatti, “come testualmente si ricava dall’art. 168 comma primo, n. 1, ultimo inciso, cod. pen. (…), la verifica della concreta possibilità del condannato di far fronte a tale onere trova in realtà la sua realizzazione indefettibile in sede esecutiva, spettando appunto al giudice della esecuzione stabilire se, nel momento in cui tale onere deve essere effettivamente adempiuto, esso possa materialmente essere soddisfatto; restando così superata la valutazione prognostica eventualmente operata dal giudice della cognizione”[3].
Del resto, il fatto che tale valutazione prognostica possa avvenire pure in sede di esecuzione, emerge pure alla luce di quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 49 del 1975.
Invero, in questa decisione, il Giudice delle leggi ha stabilito che “la valutazione giudiziale circa la capacità economica del condannato e della sua concreta possibilità di sopportare l’onere del risarcimento del danno può esplicarsi sia nel momento della condanna sia in quello della esecuzione”[4].
Quindi, è evidente che qualora il condannato alleghi “la comprovata assoluta impossibilità dell’adempimento”[5] nel senso di fornirne la prova o “dando indicazioni concrete per accertarla”[6], non resta altro al giudice dell’esecuzione che “valutare l’attendibilità e la rilevanza dell’impedimento dedotto”[7].
Inoltre, è evidente che, al fine di evitare che si verifichi questa ipotesi, sarebbe opportuno che il giudice di cognizione almeno proceda, prima di riconoscere questo beneficio condizionato, ad una verifica sulle capacità economiche dell’imputato.
In effetti, se è vero che il “giudice può subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale indipendentemente da ogni riferimento alle condizioni economiche del condannato”[8], è altrettanto vero che, come ripetutamente illustrato in questo breve libello, in sede esecutiva tali “condizioni economiche” sono invece valutate per appurare se il condannato possa adempiere agli obblighi risarcitori.
Tale valutazione prognostica, dunque, se, in quanto tale, non potrebbe far venir meno che tale impossibilità si verifichi nel futuro[9], ma potrebbe tuttavia consentire di commisurare il danno sulla scorta delle effettive capacità del soggetto attivo del reato e quindi, almeno ridurre i casi di sua insolvenza futura.
Peraltro, a sostegno di tale assunto, milita l’ulteriore considerazione secondo la quale già la Cassazione, seppur con un orientamento risalente e ormai del tutto minoritario, aveva già affermato come il giudice di merito fosse “tenuto a procedere alla valutazione, sia pure sommaria, delle condizioni economiche dell’imputato quando intende subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale”[10] siccome necessario per vagliare la concreta possibilità per l’imputato “di sopportare l’onere del risarcimento pecuniario”[11].
Per di più, laddove fossero tenute in buon conto le condizioni economiche dell’autore del reato, si potrebbe ulteriormente ridurre il margino di rischio di una sua insolvenza qualora il termine per adempiere venga fissato prima del passaggio in giudicato della sentenza.
D’altronde, la possibilità che il giudice possa procedere in tal senso, trova conforto alla luce della sentenza n. 45645 emessa dalla Sez. I in data 21/01/04.
In questo decisum, in effetti, gli Ermellini hanno stabilito che nel “caso di subordinazione della sospensione condizionale della pena all’adempimento di determinati obblighi, come previsto dall’art. 165 c.p., il termine entro il quale tale adempimento deve aver luogo può legittimamente esser fissato dal giudice ad una data anteriore a quella del passaggio in giudicato della sentenza”.
Per giunta, a parziale ristoro del danno subito, anche alla luce di quanto previsto dall’art. 540 c.p.p., potrà sempre essere concessa alla parte civile costituita una somma di denaro, a titolo di provvisionale, “entro un termine anteriore al passaggio in giudicato della sentenza, essendo la condanna, nella parte concernente la provvisionale, immediatamente esecutiva per legge”[12].
Da ultimo, corre l’obbligo di sottolineare come la sentenza in esame contenga in sé elementi di novità ermeneutica giacchè il Supremo Consesso non ha reputato necessario che il condannato sia impossibilitato ad adempiere stimando, per contro, sufficiente anche il caso in cui costui abbia una “estrema difficoltà” a provvedere in tal senso.
Invero, nella precedenti decisioni, la Corte ha individuato una condizione ostativa di questo tipo solo nel caso di “assoluta impossibilità di adempimento”[13] che è cosa ben diversa da quella appena evidenziata.
Sul punto, non si può non condividere tale mutamento nomofilattico siccome particolarmente attento al contesto sociale di oggi caratterizzato, come noto, da una gravissima crisi economica.
Del resto, se come già rilevato, è richiesto che il condannato dimostri di trovarsi nella concreta impossibilità di far fronte a tale onere[14], va da sé che anche una condizione oggettiva di grave difficoltà economica può rendere, di per sé, irrealizzabile il soddisfacimento di tale responsabilità giudiziale.
Oltre a ciò, seppur tale condizione (grave difficoltà ad adempiere) non rileva sul profilo civilistico posto che, secondo la Cassazione civile, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore “non si identifica con una semplice maggiore difficoltà di adempiere ma con una assoluta impossibilità, oggettiva e soggettiva”[15], essa è stata ritenuta viceversa rilevante da quella penale sul profilo processualpenalistico.
Ad esempio, la Cassazione penale ha ritenuto, in materia di riabilitazione, come causa di impossibilità ad adempiere le obbligazioni civili derivanti dal reato, non solo l’insolvibilità del condannato ma persino tutte le situazioni “che impediscano l’impedimento”[16].
In egual misura, in materia di conversione delle pene pecuniarie, sempre i Giudici di legittimità penale hanno rilevato che, l’insolvenza del condannato e l’accertamento di tale situazione d’insolvenza, così come richiesti dall’art. 660, co. II, c.p.p., possono consistere anche in una situazione “di temporanea e non insuperabile difficoltà di adempiere”[17].
Sicchè appare evidente che l’impossibilità ad adempiere, così come configurata a livello penalistico (o meglio, processualpenalistico), differisca da quello civilistico e dunque, perfino una grave difficoltà ad adempiere – e non solo quindi una impossibilità assoluta – può rilevare ai fini del giudizio de quo.
In conclusione, la decisione in commento è condivisibile perché, come su indicato, in perfetta consonanza con un consolidato orientamento nomofilattico.
Inoltre, per quanto attiene alla problematica inerente la rilevanza delle difficoltà economiche come condizione che possa giustificare il mancato adempimento di un obbligo risarcitorio, tale decisione è altresì accettabile siccome aderente alla interpretazione che la Cassazione penale ha conferito, sotto il profilo sistematico, all’inadempimento delle obbligazioni comminate in sede giudiziale.
[1] Cass. pen., sez. VI, 1/12/03, n. 713.
[2] Ibidem. In senso conforme: Cass. pen., sez. VI, 31/01/00, n. 2390: “In tema di sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno, risolvendosi il mancato pagamento cui è subordinato il beneficio in una causa di revoca dello stesso, come testualmente si ricava dall’art. 168 comma 1 n. 1, ultimo inciso, c.p., la verifica della concreta possibilità del condannato di fare fronte a tale onere trova la sua realizzazione indefettibile in sede esecutiva, spettando appunto al giudice della esecuzione stabilire se, nel momento in cui tale onere deve essere effettivamente adempiuto, esso possa essere soddisfatto”.
[3] Cass. pen., sez. VI, 31/01/00, n. 2390.
[4] Così come rilevato dalla Cassazione nella sentenza n. 2390 del 31/01/00.
[5] Cass. pen., sez. VI, 5/02/98, n. 3450. In senso analogo: Cass. pen., sez. VI, 3/02/98, n. 2885: “Nell’ipotesi di subordinazione della sospensione condizionale della pena all’adempimento di determinati obblighi, l’inosservanza di questi da parte del condannato non comporta la revoca automatica del beneficio, potendo l’interessato allegare la comprovata impossibilità dell’adempimento”; Cass. pen., sez. II, 6/03/98, n. 1656: “Nell’ipotesi di subordinazione della sospensione condizionale della pena all’adempimento di determinati obblighi, l’inosservanza di questi da parte del condannato non comporta la revoca automatica del beneficio, potendo l’interessato allegare la comprovata impossibilità dell’adempimento”.
[6] Cass. pen., sez. II, 27/04/77, fonti: Cass. pen. 1978, 1343.
[7] Cass. pen., sez. VI, 5/02/98, n. 3450.
[8] Cass. pen., sez. IV, 28/11/88, fonti: Cass. pen. 1990, I,626 (s.m.), Giust. pen. 1989, II,693 (s.m.). In senso eguale: Cass. pen., sez. IV, 7/10/83, fonti: Cass. pen. 1985, 911 (s.m.), Riv. pen. 1984, 791: “Poiché l’istituto della sospensione condizionale della pena è ispirato a criteri che trascendono la limitata sfera dell’interesse particolare dell’imputato, il giudice, nel subordinare la concessione di tale beneficio al pagamento di somma assegnata a titolo di risarcimento definitivo o provvisorio, non è tenuto a compiere alcuna indagine sulle condizioni economiche dell’imputato”; Cass. pen., sez. IV, fonti: Cass. pen. 1981, 1048 (s.m.).
[9] Infatti, nulla esclude che l’imputato al momento della sentenza di condanna abbia le disponibilità economiche per il risarcimento mentre, successivamente, in sede esecutiva, le sue disponibilità finanziarie vengano meno.
[10] Cass. pen., IV, 11/07/79, fonti: Cass. pen. 1981, 1049 (s.m.).
[11] Cass. pen., sez. VI, 22/02/78, fonti: Giust. pen. 1980, III,91.
[12] Cass. pen., sez. III, 19/11/08, n. 126.
[13] Ex plurimibus: Cass. pen., sez. II, 30/06/09, n. 37504.
[14] Argomentando a contrario: Cass. pen., sez. VI, 1/12/03, n. 713.
[15] Tra le tante: Cass. civ., 7/02/79, n. 845.
[16] Cass. pen., sez. I, 16/06/00, n. 4429.
[17] Cass. pen., sez. I, 25/06/92, fonti: Cass. pen. 1993, 2560.
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