Mobilità del dipendente ex art.42 bis D.Lvo 151/2001

Caudullo Dino 12/11/12

L’art. 42 bis del D.Lgs. 26 marzo 2001, n.151 prevede per i dipendenti pubblici una forma di mobilità volta a ricongiungere i genitori del bambino favorendo concretamente la loro presenza nella fase iniziale di vita del proprio figlio.

La norma in particolare dispone: “Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato. L’assenso o il dissenso devono essere comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda”.

La predetta disposizione rientra tra le norme dettate a tutela dei valori costituzionalmente garantiti inerenti la famiglia, ed in particolare la cura dei figli minori fino a tre anni d’età con entrambi i genitori impegnati in attività lavorativa.

Invero, lungi dal mirare a riconoscere un beneficio al solo lavoratore (padre o madre), la disposizione legislativa di cui trattasi ha quale finalità primaria quella di consentire ai bambini, ove possibile ed in presenza dei requisiti dalla stessa indicati, di poter avere una maggiore presenza in casa del genitore lavoratore e quindi di garantire la massima unità familiare.

La disposizione in questione rientra tra le norme dettate a tutela dei valori inerenti la famiglia, ed in particolare la cura dei figli minori in tenerissima età con entrambi i genitori impegnati in attività lavorativa, garantiti dagli art. 29, 30, 31 e 37 Cost., i quali nel postulare i diritti-doveri dei genitori di assolvere gli obblighi loro incombenti nei confronti della prole, promuovono e valorizzano gli interventi legislativi volti – come appunto l’art. 42 bis d.lgs. n. 151 del 2001 – a rendere effettivo l’esercizio di tale attività.

Sulla scorta del predetto quadro normativo, si registra un’interessante pronuncia del Tribunale di Siracusa (sezione lavoro in composizione collegiale, ordinanza del 29.10.2012) che, nel riformare un’ordinanza cautelare con cui era stato rigettato un ricorso ex art.700 c.p.c. per mancanza del requisito del periculum in mora, ha evidenziato che i valori tutelati dalla disposizione legislativa in questione, per loro stessa natura, non sono suscettibili di attendere la definizione di un ordinario giudizio di merito.

La giurisprudenza in casi analoghi aveva ritenuto che “l’interesse all’assistenza morale e materiale della prole per i primi tre anni di vita risulterebbe definitivamente compromesso dai tempi tecnici afferenti l’iter processuale dell’eventuale processo ordinario” (in questo senso Tribunale Vibo Valentia 22 aprile 2010). Inoltre, è stato rilevato (Trib. Lecco, ordinanza, 27 luglio 2004) come il carattere essenzialmente non patrimoniale (biologico, ed esistenziale, come tipico della fattispecie) del danno medesimo, sarebbe conseguentemente di difficile liquidazione nell’ambito di un giudizio ordinario, giustificando ciò un intervento cautelare.

In particolare, con una recente ordinanza (ordinanza collegiale del 20.03.2012) il Tribunale di Bari in una fattispecie identica, aveva già evidenziato come il requisito del periculum in mora deve ritenersi pienamente integrato nella fattispecie, in ragione della natura degli interessi alla stessa sottesi, sicché il rigetto dell’istanza di tutela cautelare si risolverebbe nella vanificazione delle ragioni di tutela della prole e di garanzia di una equilibrata crescita dei minori.

In sostanza per il Tribunale di Bari nelle fattispecie in questione il periculum deve ritenersi sussistere in re ipsa, tenuto conto della compressione di quegli interessi primari che il Legislatore del 2003 ha inteso tutelare con l’elaborazione della norma di cui all’art.42 bis del DLvo 151/2001.

Il Tribunale di Siracusa con l’ordinanza collegiale in commento, sostanzialmente si pone in linea con le citate pronunce, stante che l’istituto disciplinato dall’art.42 bis del D.Lvo 151/2001, consentendo l’avvicinamento del pubblico dipendente alla casa familiare, predispone una tutela forte a presidio di valori costituzionali quali il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli (art.29 Cost.), le esigenze proprie del nucleo familiare, meritevole di provvidenze anche di tipo economico per l’adempimento dei propri compiti (art.31 Cost.), la maternità e l’infanzia (art.31 co. 2 Cost.).

Ciò rende apprezzabile – prosegue il Tribunale di Siracusa – il paventato pregiudizio che i tempi di un giudizio di merito possano significativamente incidere sulla fruizione del beneficio, almeno riducendone considerevolmente la durata, ed in ogni caso differendone la fruizione oltre la delicata fase dei primi anni di vita del bambino, nei quali è notoriamente più forte il bisogno delle cure e della presenza della madre in ogni momento della vita quotidiana e corrispondentemente maggiore l’impegno materno – specie se vi è necessità di conciliare i tempi e le esigenze proprie della maternità con quelli di un’attività lavorativa svolta fuori sede – sì da far apparire non suscettibile di riparazione economica il connesso pregiudizio.

Pertanto, una volta appurata la mancanza di ragioni ostative connesse alle esigenze di buona organizzazione e di regolare funzionamento dell’ufficio di appartenenza, e verificata la possibilità dell’inserimento della dipendente in altra Amministrazione, la scelta del lavoratore di godere del beneficio nella prima fase di vita del proprio figlio deve essere assecondata, poiché rispondente alle finalità dell’istituto e coerente con i valori costituzionali a tutela dei quali è predisposto.

 

ESTRATTO DELL’ORDINANZA

… OMISSIS …

Non rimane dunque che verificare la sussistenza del periculum in mora.

Sotto tale profilo la reclamante deduce che la distanza tra la propria abitazione e la sede di lavoro la costringe ad allontanarsi al mattino alle 6,30 per pi fare ritorno alle 17,00.

In merito all’orario di lavoro l’Amministrazione della ricorrente nulla dice, così rendendo presumibile quanto allegato dalla ricorrente.

Ne consegue che i tempi dedicati ai quotidiani spostamenti per raggiungere la sede di lavoro e per fare rientro a casa a fine giornata finiscono col comprimere in modo apprezzabile i tempi dedicati dalla ricorrente alla cura del figlio.

Va ora premesso che l’orientamento giurisprudenziale prevalente individua nell’istituto dell’assegnazione provvisoria prevista dall’art.42 bis D.Lvo 151/2001 una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo del pubblico dipendente, che va comparata con l’interesse pubblico correlato al buon funzionamento della Amministrazione di appartenenza per il tramite della funzionale organizzazione degli uffici; prova ne sia che l’accoglimento dell’istanza di mobilità temporanea è subordinata alla sussistenza nell’ufficio di destinazione di un posto vacante di corrispondente posizione retributiva.

Va inoltre condiviso l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il presupposto dell’età del bambino rappresenta il limite temporale per la presentazione dell’istanza di assegnazione provvisoria, non anche per la fruizione del beneficio ( v. anche in tal senso parere del Dipartimento della Funzione Pubblica n.192 del 4.5.2004).

Nondimeno la ratio sottesa all’istituto in parola e l’importanza degli interessi tutelati induce anche a valutare i tempi della fruizione del beneficio in funzione dell’obiettivo perseguito, ovvero della migliore agevolazione possibile dell’unità familiare in rapporto alle ragioni di cura e di assistenza dei figli minori in tenera età.

Ed invero l’istituto invocato, consentendo l’avvicinamento del pubblico dipendente alla casa familiare, predispone una tutela forte a presidio di valori costituzionali quali il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli (art.29 Cost.), le esigenze proprie del nucleo familiare, meritevole di provvidenze anche di tipo economico per l’adempimento dei propri compiti (art.31 Cost.), la maternità e l’infanzia (art.31 co. 2 Cost.).

Ciò rende apprezzabile in questa sede il paventato pregiudizio che i tempi di un giudizio di merito possano significativamente incidere sulla fruizione del beneficio, almeno riducendone considerevolmente la durata, ed in ogni caso differendone la fruizione oltre la delicata fase dei primi anni di vita del bambino, nei quali è notoriamente più forte il bisogno delle cure e della presenza della madre in ogni momento della vita quotidiana e corrispondentemente maggiore l’impegno materno – specie se vi è necessità di conciliare i tempi e le esigenze proprie della maternità con quelli di un’attività lavorativa svolta fuori sede – sì da far apparire non suscettibile di riparazione economica il connesso pregiudizio.

Pertanto, una volta appurata la mancanza di ragioni ostative connesse alle esigenze di buona organizzazione e di regolare funzionamento dell’ufficio di appartenenza, e verificata la possibilità dell’inserimento della dipendente in altra Amministrazione – interessi questi che la norma richiamata impone di contemperare – ritiene il Collegio che la scelta della ricorrente di godere del beneficio nella prima fase di vita del proprio figlio debba essere assecondata, poiché rispondente alle finalità dell’istituto e coerente con i valori costituzionali a tutela dei quali è predisposto.

Per tali motivi, l’ordinanza del giudice di prime cure deve essere riformata.

OMISSIS

Caudullo Dino

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