La Corte di Cassazione, sez. V, con la sentenza in argomento, ha affermato che “in tema di illeciti in materia di sostanze stupefacenti, il superamento dei limiti massimi indicati nel decreto ministeriale cui fa riferimento l’articolo 73, comma 1 bis, lettera a), del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 non costituisce una presunzione assoluta in ordine alla condotta di “spaccio” del detentore ma occorre valutare anche altre circostanze che siano indicative di un uso non esclusivamente personale dello stupefacente detenuto”.
Invero, secondo l’opinione della Suprema Corte, “tale superamento non vale ad invertire l’onere della prova – che è a carico dell’accusa – in ordine alla destinazione della sostanza stupefacente ad un uso non esclusivamente personale: in questa prospettiva, pur a fronte del superamento dei limiti tabellari” posto che “il giudice deve valutare globalmente, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella norma, se le “modalità di presentazione” e le “altre circostanze dell’azione” siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione”.
I Giudici di “Piazza Cavour”, peraltro, sono pervenuti a siffatta conclusione rilevando che:
1) “il mero superamento dei limiti quantitativi stabiliti nel decreto ministeriale [quando si tratti di un quantitativo particolarmente importante: e nel caso di specie non si è in presenza di un quantitativo così definibile, trattandosi del resto di hashish] non può fondare la presunzione “assoluta” della destinazione illecita, giacchè, pur in presenza di date “quantità”, superiori ai limiti quantitativi massimi stabiliti dal decreto ministeriale, l’ipotesi della destinazione “ad un uso non esclusivamente personale” ben può essere smentita, ad esempio, sulla base di “altre circostanze dell’azione” (tra le quali rientrano anche l’eventuale stato di tossicodipendenza o anche solo l’uso abituale di droga), e ciò soprattutto se il superamento della soglia è modesto”;
2) “a fronte a quantitativi “di rilievo” e di molto superiori alla “soglia”, la destinazione ad uso personale può essere ritenuta solo quando si sia in presenza di emergenze probatorie che spieghino in modo realmente concludente le ragioni per cui l’agente si sia indotto a detenere, per uso personale, stupefacente che eccede i bisogni di un breve arco temporale”.
Ebbene, il Supremo Consesso, declinando tali principi al caso sottoposto al suo vaglio giurisdizionale, ha escluso la sussistenza del delitto di detenzione illecita di sostanza stupefacente del tipo hashish dato che l’imputato, aveva un reddito sufficiente per acquistare la sostanza stupefacente rinvenuta in suo possesso (48,07 grammi circa di hashish) essendo irrilevante il fatto che questi fosse stato “sorpreso in alta montagna in divisa da sci, mentre si confezionava uno spinello” ove si trovava in “settimana bianca da solo”.
Da ciò è conseguito l’annullamento del provvedimento decisorio impugnato posto che, a fronte di un quantitativo affatto esorbitante, i giudici di merito non avevano “in alcun modo valutato il contesto oggettivo e soggettivo della vicenda, arrivando alla condanna solo attraverso una considerazione presuntiva assoluta di un dato, appunto quantitativo, inidoneo a giustificare al di là di ogni ragionevole dubbio il giudizio sulla destinazione illecita” ”.
Tale approdo ermeneutico, inoltre, non ha rappresentato un episodio isolato nello scenario nomofilattico atteso che la Corte aveva già adottato lo stesso indirizzo ermeneutico in precedenti occasioni.
Infatti, già in antecedenza, gli Ermellini, partendo dal presupposto secondo cui i “parametri indicati nella fattispecie per apprezzare la destinazione ad uso “non esclusivamente personale” (quantità, modalità di presentazione o altre circostanze dell’azione) costituiscono criteri probatori non diversi da quelli che già in passato venivano impiegati per stabilire la destinazione della sostanza detenuta”[1] sono giunti alla conclusione secondo la quale tali parametri “non vanno considerati singolarmente e isolatamente, sicché non è sufficiente la sussistenza di uno solo di essi (in ipotesi, il superamento quantitativo dei limiti tabellarmente previsti) affinchè la condotta di detenzione sia penalmente rilevante: pur in presenza di quantità non esigue, il giudice può e deve valutare se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione sia tali da escludere un uso non esclusivamente personale”[2] potendo assumere l’aspetto quantitativo “esclusivamente un rilievo sintomatico della destinazione ad uso di terzi della sostanza detenuta”[3].
Tuttavia, a fronte di questo indirizzo giurisprudenziale, si segnala quel diverso filone interpretativo secondo cui, ““ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità costituita dall’uso personale di stupefacenti, non si può prescindere da una valutazione della quantità di sostanza detenuta, in considerazione del rischio di cessione a terzi correlato all’accumulo di essa”[4].
In effetti, con tale enunciazione, “il Supremo Collegio conferiva indubbia e decisiva prevalenza al pericolo (anche solo) teorico di degradazione della condotta detentiva in cessione pur se episodica, ed anche in assenza di elementi che – in concreto – potessero dimostrare, giustificare o riscontrare tale timore”[5].
Orbene, il primo approdo ermeneutico esaminato sembra essere preferibile siccome maggiormente conforme al principio di “materialità”.
D’altronde, disancorare la valutazione prognostica, ai fini del giudizio de quo, al mero parametro quantitativo, è l’unica strada attraverso la quale evitare che si attribuisca rilievo “ad una “apparenza” che non si concreti in manifestazione di realtà effettiva”[6] e quindi, l’unico mezzo con cui adempiere al “dovere costituzionale di bandire ogni prospettiva di c.d. “diritto penale dell’apparenza””[7].
Inoltre, tale principio ermeneutico è rimasto invariato anche a seguito della modifica apportata all’art. 73 del d.p.r. n. 309/90 con l’art. 4 bis della legge n. 49/06 (il quale, com’è noto, ha inserito il seguente inciso: “la detenzione di sostanze stupefacenti costituisce reato se le sostanze detenute “appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale”).
Difatti, detta disciplina legislativa non ha immesso “elementi di sostanziale novità rispetto alla disciplina previgente, che, in base al combinato disposto del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 75, sanzionava penalmente la detenzione di sostanze stupefacenti che non fosse finalizzata all’”uso personale” stante il fatto che questa emendatio normativa “non ha introdotto nei confronti dell’imputato che detiene un quantitativo di sostanza stupefacente in quantità superiore ai limiti massimi indicati con decreto ministeriale nè una presunzione, sia pure relativa, di destinazione della droga detenuta ad uso non personale, nè un’inversione dell’onere della prova, costituzionalmente inammissibile ex art. 25 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., comma 2”[8].
Da ultimo, per dovere di completezza espositiva, corre l’obbligo di evidenziare che la Cassazione, correttamente applicando i principi suesposti alle situazioni sottoposte alla sua valutazione decisoria, ha escluso la sussistenza dell’illecito penale de quo nelle seguenti situazioni:
1.qualora l’imputato, trovato in possesso di 38 grammi di hashish, svolgendo l’attività di pastore e facendo abitualmente uso di droghe, in vista del lungo periodo di permanenza solitaria in campagna e in montagna, ove doveva recarsi per le attività connesse alla transumanza di greggi di pecore, l’abbia portata con sé a titolo di scorta[9] allorché, alla luce degli elementi di fatto a sua disposizione, il giudice possa ritenere che si tratta di scorta o provvista destinata al consumo del solo detentore e non di altri”[10] (ovvero un fatto sostanzialmente analogo a quello trattato dalla Corte nella decisione in commento);
2.se non siano rinvenuti nella disponibilità degli imputati strumenti da taglio o idonei alla pesatura di precisione[11];
3.laddove la preparazione dello stupefacente in singole dosi appaia compatibile sia con la finalità di spaccio sia con una condotta di acquisto per l’uso personale perché, ad esempio, non sono state trovate “bustine già preconfezionate per la commercializzazione della sostanza”[12];
4.nella misura in cui l’imputato non abbia collegamenti “con ambienti criminali dediti al traffico della droga”[13];
5.nel caso che costui sia tossicodipendente[14] e non sia “in terapia con farmaci sostitutivi”[15];
6.allorchè il valore della sostanza psicotropa rinvenuta sia compatibile con “la capacità patrimoniale dell’incriminato “desunta dall’occupazione lavorativa o, comunque, dal suo tenore di vita – in relazione alla quantità e qualità della droga posseduta ed al suo prezzo sul mercato”[16].
[1] Cass. pen., sez. VI, 12/02/09, n. 12146.
[2] Ibidem.
[3] Cass. pen., sez. IV, 28/10/99, n. 14515.
[4] Cass. pen., S.U., 21/06/00, n. 17.
[5] Carlo Alberto Zaina, “Legittima la scorta di stupefacenti per uso personale del pastore in transumansa”, Cassazione penale , sez. VI, sentenza 19.03.2009 n° 12146, tratto dal sito internet: http://www.altalex.com/index.php?idnot=45444.
[6] Cass. pen., sez. VI, 12/02/09, n. 12146.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem. In senso conforme: Cass. pen., sez. IV, 28/10/99, n. 14515: a “seguito dell’esito positivo del referendum abrogativo del 18 aprile 1993 e della conseguente approvazione del d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, la detenzione di sostanze stupefacenti per uso esclusivamente personale non costituisce più reato. In particolare l’esito referendario ha avuto come conseguenza il venir meno del previgente istituto della dose media giornaliera e l’irrilevanza giuridica dell’aspetto quantitativo ai fini della valutazione di rilevanza penale della detenzione della sostanza stupefacente. L’aspetto quantitativo può assumere esclusivamente un rilievo sintomatico della destinazione ad uso di terzi della sostanza detenuta. Arbitrario sarebbe, pertanto, escludere dal concetto di uso personale la costituzione di una “scorta” o “riserva”, ciò ricreando una sorte di “dose media” e vanificando di fatto l’abrogazione conseguente all’esito del referendum”; Trib. Milano, 21/09/06, fonti: Guida al diritto 2007, 37, 96 (s.m.): “(…) anche sotto il vigore dell’attuale disposizione la detenzione di un quantitativo di sostanza eccedente la quantità necessaria per il fabbisogno necessario per un immediato e personale consumo del detentore non è infatti sanzionabile penalmente (ma solo sotto il profilo amministrativo.
[10] Cass. pen., sez. VI, 12/02/09, n. 12146.
[11] Trib. Napoli, sez. IV, 3/12/10, n. 14029.
[12] Argomentando a contrario: Cass. pen., sez. IV, 30/01/07, n. 15200.
[13] Trib. Napoli, sez. IV, 3/12/10, n. 14029.
[14] Ibidem.
[15] Trib. Milano, 25/10/06, fonti: Foro ambrosiano 2007, 3, 383.
[16] Trib. Napoli, sez. IV, 3/12/10, n. 14029.
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