L’art. 2, d.lgs. n. 74/2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), dispone che:
<< 1. È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria >>.
Mentre, l’ipotesi contemplata nell’art. 3 del suddetto decreto (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) prevede, tra l’altro, che:
<< 1. Fuori dei casi previsti dall’articolo 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:
(…) >>.
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione1, richiamando una ormai consolidata posizione2, ha ribadito che << integra il reato di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 2, comma 1, e non già la diversa fattispecie di cui all’art. 3, l’utilizzo, ai fini dell’indicazione di elementi passivi fittizi, di fatture false non solo sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni inesistenti ivi indicate, ma anche sotto il profilo materiale, perché apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente >>3.
Ne discende l’assoluta irrilevanza, quale linea di distinguo tra le due fattispecie di reato, della natura della falsità che sottende i documenti sui quali si basano i suddetti delitti.
Come indicato dai Giudici di legittimità4, l’ipotesi di reato ex art. 2 si differenzia dall’ipotesi ex art. 3 non per la natura del falso (ideologico nella prima e materiale nella seconda) ma per il rapporto di specialità reciproca in cui si trovano le due norme.
Infatti, << ad un nucleo comune, costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, si aggiungono in chiave specializzante, da un lato, l’utilizzazione di fatture e documenti analoghi relativi ad operazioni inesistenti e, dall’altro, una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie congiunta con l’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento5. Inoltre, l’ipotesi di cui all’art. 3 prevede una soglia minima di punibilità. La falsità posta a base della dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 3 può essere sia materiale che ideologica. Da ciò consegue che l’ipotesi di cui all’art. 3 trova applicazione quando il reo, per l’indicazione di elementi passivi fittizi, non si è avvalso delle fatture e degli altri documenti aventi un contenuto probatorio analogo alle fatture. In altre parole trova applicazione quando il fatto non è previsto dall’art. 2 >>6
In altra pronuncia la Corte di Cassazione è ancora più esplicita e ha avuto occasione di puntualizzare che ciò che tipizza la nozione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (quindi il delitto ex art. 2, d.lgs. n. 74/2000) sono sia l’inesistenza della operazione economica, oggettiva o soggettiva, totale o parziale, sia la natura del documento che la certifica, che deve essere costituito da una fattura o altro documento avente << rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie >>7. Quindi – secondo i Giudici – è l’efficacia probatoria, in base alle norme tributarie, del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta l’elemento essenziale che qualifica tale fattispecie criminosa e la distingue da quella di cui all’art. 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici).
Anche in questa occasione il Collegio conferma che nella struttura del reato così delineata non trova alcuna ragione di essere la distinzione tra falsità materiale e falsità ideologica derivante dagli artt. 476 e ss. c.p., che è finalizzata ad inquadrare le possibili ipotesi di falsificazione di atti da parte del pubblico ufficiale o del privato in apposite fattispecie criminose.
I Giudici di vertice, inoltre, chiariscono che le fatture o altri documenti per operazioni totalmente inesistenti di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 1, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, nella maggior parte dei casi dovrebbero essere ricondotti alla nozione di falso materiale e non a quella di falso ideologico secondo la distinzione che emerge dai citati articoli del codice penale.
Tra l’altro, il falso materiale, con riferimento alla fattura o altra documentazione contabile, sostanzialmente non fa altro che integrare la doppia ipotesi della falsità cosiddetta ideologica, prevista dalla definizione di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 1, della inesistenza dell’operazione cui si riferisce la fattura e della inesistenza o diversità del soggetto al quale l’operazione viene riferita.
Insomma << la distinzione tra falsità ideologica e falsità materiale introduce in materia tributaria una distinzione destinata ad operare nel campo dei reati contro la fede pubblica, che non ha rilevanza ai fini della repressione delle violazioni fiscali, per le quali rileva invece il mezzo adoperato per commettere la frode ed il suo carattere più o meno subdolo, che incide sulla possibilità di un rapido e agevole accertamento (…): è la natura dello strumento usato per commettere la frode fiscale, in quanto idoneo a trarre più facilmente in inganno l’Amministrazione finanziaria (…) a determinare la distinzione tra detta ipotesi di reato e la frode fiscale commessa mediante altri artifici >>.
Infine, << la fattispecie della Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 del decreto legislativo è residuale rispetto a quella dell’uso di una falsa fatturazione o documentazione rilevante ai fini tributari ed è configurabile solo nei confronti di determinate categorie di contribuenti, oltre ad essere subordinata ad una soglia dell’imposta evasa ed agli elementi attivi sottratti all’imposizione che ne determinano la configurabilità >>.
È quindi la rispondenza allo schema legale, che caratterizza la fattura o altra documentazione ad essa equiparata dalla legge tributaria, che venga utilizzata a supporto della dichiarazione fraudolenta di elementi passivi fittizi, a qualificare la fattispecie di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 2.
1 Cass., 19 gennaio 2012, n. 2168.
2 Ex multis, Cass., sez. III pen., 10 marzo 2011, n. 9673.
3 Qui i Giudici di vertice sottolineano che << (…) l’ordinanza impugnata si fonda su una duplice ragione del decidere. Da una parte esamina in diritto la questione della fattispecie criminosa prevista dal d.lgs. n. 74 del 2000, art. 2, pervenendo alla conclusione che solo il falso ideologico e non anche il falso materiale rientra nella previsione normativa; interpretazione questa che è contestata dal Procuratore della Repubblica ricorrente essenzialmente con il richiamo della giurisprudenza di questa Corte che ha trovato ulteriore e più recente conferma nel precedente appena citato (…) >>.
4 Cass., Sez. III pen., 23 marzo 2007, n. 383/12284.
5 Cass., Sez. III pen., 23 marzo 2007, n. 383/12284.
6 Per una differente impostazione, Trib. Lucera, 28 maggio 2010, n. 106, secondo cui la predisposizione << domestica >> di fatture, ovvero la creazione ex novo dal parte del contribuente di fatture per operazioni inesistenti apparentemente intestate a una ditta terza, e il loro successivo utilizzo in contabilità da parte dello stesso contribuente che materialmente ha falsificato tali fatture deve essere ricondotta nell’alveo della fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3. Tale fattispecie – rilevano i Giudici – prevede una condotta unitaria che assorbe in sé sia la predisposizione delle false fatture sia il successivo utilizzo delle stesse, sicché il primo aspetto rappresenta il mezzo fraudolento poi falsamente utilizzato nella contabilità. I giudici di merito, inoltre, evidenziano che la condotta di contraffazione troverebbe parziale riscontro non nell’art. 8 – che, nel sanzionare l’emissione di fatture per operazioni inesistenti << al fine di consentire l’evasione a terzi >>, prevede che l’emittente sia un soggetto terzo rispetto al beneficiario della frode, comunque punendo una falsità ideologica e non materiale – bensì nell’alt. 3, che contempla l’infedeltà della dichiarazione occultata da << una falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie >> mediante l’utilizzo di << mezzi fraudolenti >> (sul punto, E. Boffelli, I reati tributari (2005-2012), Parte Prima, in Dir. prat. trib., n. 3/2012, 576).
7 Cass., Sez. III pen., 19 dicembre 2011, n. 46785.
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