La parte offesa, costituitasi parte civile, può proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere unicamente per gli effetti penali della decisione.

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Come è noto, la legge, 20 febbraio 2006, n. 46 ha innovato sensibilmente l’art. 428 c.p.p. concedendo alla parte offesa, qualora si costituisca parte civile, la possibilità di ricorrere per Cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere non solo nei casi “di nullità previsti dall’art. 419, comma 7”, c.p.p. (come era previsto dalla previgente normativa)[1] ma anche “per i motivi previsti dall’art. 606 c.p.p.”[2].

Tuttavia, subito dopo l’entrata in vigore della legge n. 46, si è posto, a livello nomofilattico, il problema di stabilire se, in tale caso, l’impugnazione dovesse riguardare gli effetti penali del decisum impugnato ovvero quelli civili.

Sul punto, prima dell’arresto giurisprudenziale avvenuto nel 2008 (sentenza n. 25695 del 29/05/08), si sono registrati due diversi orientamenti nomofilattici.

Con il primo indirizzo nomofilattico[3], è stato affermato che “il ricorso esperibile dalla persona offesa costituita parte civile avverso la sentenza di non luogo a procedere, attesa la natura accessoria dell’azione civile, ha natura di impugnazione ai soli effetti civili: con il controverso corollario, quanto all’eventuale epilogo decisorio di annullamento, che la sentenza del G.u.p., in applicazione dell’art. 622 c.p.p., va annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (Sez. 4^, n. 11960/07) o, in alternativa, senza rinvio (Sez. 2^, n. 16908/07)”[4].

Con il secondo approdo ermeneutico[5], la Cassazione, “movendo dall’inquadramento sistematico e funzionale dell’udienza preliminare e della sentenza di non luogo a procedere”[6], ha ravvisato, “invece, nel ricorso della persona offesa, costituita parte civile, un’impugnazione diretta ad incidere sui contenuti decisoti di carattere penale di tale sentenza, sicchè, in caso di accoglimento del ricorso, il rinvio dev’essere disposto davanti al giudice dell’udienza preliminare”[7].

Orbene, le Sezioni Unite, chiamate a dirimere siffatto contrasto, hanno aderito a quest’ultima opzione interpretativa per le seguente ragioni.

Infatti, gli Ermellini, preso atto che con “la L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 4 il regime delle impugnazioni della sentenza di non luogo a procedere è profondamente mutato, essendosi – oltre alla generale soppressione del potere di appello dell’imputato e del pubblico ministero – riconosciuta alla persona offesa, con la nuova formulazione dell’art. 428 c.p.p., comma 2, la legittimazione a proporre ricorso per cassazione non solo per violazione del contraddittorio ma anche, se costituita parte civile, per tutti i motivi previsti dall’art. 606 c.p.p.”[8], sono pervenuti a recepire la tesi “che configura nel ricorso per cassazione della persona offesa costituita parte civile uno strumento preordinato all’esclusiva tutela degli interessi penali, mediante il perseguimento dell’obiettivo del rinvio a giudizio dell’imputato”[9] sulla scorta delle seguenti considerazioni:

“non è possibile individuare, in capo alla parte civile ricorrente, il perseguimento di un interesse civilistico, atteso che la sentenza di non luogo a procedere non pregiudica in alcun modo, come si rileva dal testo dell’art. 652 c.p.p., comma 1, le prospettive risarcitorie della stessa;

– il fatto che il ricorso sia previsto non nell’interesse del mero “danneggiato” che si sia costituito parte civile, ma solo del danneggiato che rivesta anche la qualità di “persona offesa” dal reato starebbe a dimostrare che la norma, nell’ottica dell’azione penale, ha inteso riferirsi alla tutela degli interessi del titolare dell’interesse protetto dalla disposizione incriminatrice, la vittima del reato che subisce il “danno criminale” costituito dall’offesa di questo bene (v., in tal senso, la lucida disamina svolta da Cass., Sez. 5^, n. 5698 del 2007, cit.), sicchè l’impugnazione non può che essere rivolta alla tutela degli interessi legati a tale danno, mentre il danneggiato che non sia anche persona offesa dal reato e che eserciti l’azione civile in sede non propria mira a tutelare esclusivamente il “danno civile” a lui cagionato dal reato;

– a differenza di quanto stabilito dall’art. 576 c.p.p., comma 1, con riguardo alla sentenza di proscioglimento emessa nel giudizio, l’art. 428 c.p.p., comma 2 non pone un’analoga limitazione – “ai soli effetti della responsabilità civile” – all’impugnazione proposta dalla persona offesa costituita parte civile contro la sentenza di non luogo a procedere;

– per altro verso, qualora dovesse accogliersi l’opposta tesi, l’eventuale annullamento con rinvio al giudice civile competente in grado d’appello ex art. 622 c.p.p., giustificabile nell’ipotesi di avvenuto svolgimento di un giudizio di primo grado, comporterebbe l’inaccettabile privazione per l’imputato, la cui posizione sarebbe stata vagliata solo “processualmente”, di un grado di giudizio di merito, con l’ulteriore difficoltà, per il giudice civile d’appello, di compiere una valutazione di merito in ordine ad un aspetto, quello civilistico, neppure sfiorato dal giudice dell’udienza preliminare”[10].

Di talchè la Corte, alla luce di questo obiter dictum, ha reputato come andasse “escluso ogni possibile effetto civile ricollegabile al mezzo di impugnazione de quo”[11] posto che “la persona offesa costituita parte civile, senza dover necessariamente sollecitare a tal fine il pubblico ministero ex art. 572 c.p.p., è legittimata, in forza della nuova disposizione, a criticare direttamente la decisione di non luogo a procedere per gli aspetti ed i fini propriamente penali ed a chiederne l’annullamento, venendo così ad assumere, nei gradi ulteriori, la titolarità di un’azione penale privata, complementare e concorrente rispetto a quella del pubblico ministero, cui è sottratto, in quest’ambito, il monopolio dell’impugnazione penale in malam partem”[12].

A fronte delle obiezioni mosse a questo costrutto interpretativo e segnatamente, a quelle secondo le quali, da un lato, “il riconoscimento di un potere di impugnazione così ampio risulterebbe irragionevole, ove confrontato con la limitata facoltà tuttora riconosciuta relativamente alle sentenze di proscioglimento pronunciate in giudizio, nei confronti delle quali la parte civile può dolersi ex art. 576 c.p.p. ai soli effetti della responsabilità civile”[13], dall’altro lato, “l’illimitata facoltà di impugnazione agli effetti penali potrebbe collidere con la previsione costituzionale dell’azione penale come pubblica e obbligatoria”[14], la Corte di Cassazione ha respinto recisamente tali critiche.

Infatti, non è stata ritenuta fondata la prima censura giacché “l’apprezzamento largamente condiviso di aporia sistematica non comporta automaticamente un giudizio di difetto di ragionevolezza della nuova disciplina, in considerazione soprattutto del privilegio che fonti interne e internazionali tendono a riconoscere alla persona offesa con riguardo al “danno criminale”, per cui la vittima del reato diventa portatrice di un interesse squisitamente penale finalizzato alla repressione del fatto criminoso”[15] quale, ad esempio, “la Decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea 15 marzo 2001, n. 2001/220/GAI, che, relativamente alla posizione della vittima nel procedimento penale, stabilisce, tra l’altro, all’art. 2 che “Ciascuno Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento e ne riconosce i diritti e gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale” ”[16].

Del pari, non è stata accolta nemmeno la seconda doglianza atteso che “l’art. 112 Cost., attribuendo al pubblico ministero il dovere di esercitare l’azione penale, non impone che questa sia esercitata solo dall’organo della pubblica accusa in una sorta di monopolio pubblico dell’azione penale” atteso che “la titolarità dell’esercizio dell’azione penale può essere conferita dal legislatore, sulla base di una “scelta pluralistica”, anche a soggetti diversi dal pubblico ministero, purché rimanga fermo l’obbligo di quest’ultimo di esercitarla, sicché, così delimitata, l’azione penale privata è ammessa quando riveste natura sussidiaria o concorrente, non alternativa, con quella del pubblico ministero”[17].

Tale obiter dictum, quindi, essendo connotato da una argomentazione giuridica congrua ed esauriente, ha dissipato qualsivoglia dubbio ermeneutico sotteso all’applicabilità di siffatta norma giuridica.

In effetti, l’attenzione rivolta dalle normative comunitarie alla vittima trova conforto oggi anche alla luce di quanto statuito nel Trattato di Lisbona il quale, nel prevedere la statuizione di norme che possono “facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie (…) nelle materie penali aventi dimensione transnazionale”[18], annovera anche regole che afferiscono prettamente ai “diritti delle vittime della criminalità”[19].

In eguale misura è fondata la considerazione svolta riguardo l’art. 112 Cost. poiché la Corte Costituzionale ha affermato che questo disposto costituzionale “facendo obbligo al Pubblico Ministero di esercitare l’azione penale non vuole escludere, come risulta anche dai lavori preparatori, che ad altri soggetti possa essere conferito analogo potere”[20] posto che tale azione “può essere legittimamente attribuita anche a soggetti diversi dal pubblico ministero, purchè <con ciò non si venga a vanificare l’obbligo del pubblico ministero medesimo di esercitarla>”[21].

Difatti, sempre secondo quanto affermato dalla Consulta, “la ratio della norma esclude soltanto che al P.M. possa essere sottratta la titolarità dell’azione penale in ordine a determinati reati, nel senso che l’ordinamento può conferire la titolarità dell’azione penale anche a soggetti diversi dal P.M. a condizione che non si venga con ciò a vanificare l’obbligo del P.M. medesimo di esercitarla (salvo che nelle ipotesi costituzionalmente previste)”[22].

Ebbene, tale orientamento nomofilattico si è consolidato negli anni successivi poichè la Cassazione, chiamata ad affrontare questioni analoghe, ha ribadito tale principio di diritto rilevando, sulla falsariga di quanto già enunciato dalle Sezioni Unite, che “il regime impugnatorio disciplinato dall’art. 428 c.p.p., modificato nel 2006, non rende possibile individuare in capo alla parte civile ricorrente il perseguimento di interessi civilistici, dal momento che la sentenza ex art. 425 c.p.p. non pregiudica in alcun modo le proiezioni risarcitorie della stessa parte civile, giusta quanto sancito dall’art. 652 c.p.p., comma 1 in tema di efficacia non preclusiva (giudicato) della sentenza penale di assoluzione dell’imputato non pronunciata all’esito di giudizio dibattimentale, quale appunto è la sentenza di cui all’art. 425 c.p.p.”[23].

Peraltro, “a differenza di quanto precisa il vigente art. 576 c.p.p., comma 1, che limita l’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento emessa nel giudizio, l’art. 428 c.p.p. non reca traccia di siffatta limitazione”[24].

Per tali ragioni, di conseguenza, i Giudici di “Piazza Cavour” hanno sostenuto come non sia possibile, in caso di accoglimento del ricorso, individuare “il giudice dell’eventuale rinvio in quello civile competente per valore in grado di appello, dal momento che il riconoscimento della fondatezza del ricorso della parte civile contro la sentenza liberatoria del Gup comporta di fatto un impulso sul piano dell’esercizio della azione penale, pure in presenza e nonostante la possibile acquiescenza del PM”[25].

Da ciò consegue che “il ricorso della parte civile non si differenzia, perciò, da quello del P.M.”[26] trattandosi di una “impugnazione destinata all’esclusiva tutela di interessi penalistici della persona offesa, cui la stessa, se “costituita parte civile”, è legittimata, indipendentemente dall’esercizio del(l’analogo) potere spettante al P.M.”[27] posto che “la parte civile, in precedenza dotata solo del potere di sollecitare il PM alla proposizione di impugnazione agli effetti penali (art. 572 c.p.p.) viene ora chiamata a criticare la decisione di non luogo a procedere unicamente a fini penali, non provvedendo tale sentenza sui profili civilistici relativi al processo”[28].

Del resto, ad ulteriore conferma di tale assunto, milita altresì il fatto che “l’art. 428 c.p.p., comma 2, c.p.p. – che prevede il ricorso della persona offesa costituita parte civile – non contiene (a differenza dell’art. 576 c.p.p.) la delimitazione dell’ambito dell’impugnazione della parte civile per quanto riguarda i capi che riguardano l’azione civile (nel caso di sentenza di condanna) né, tanto meno, la precisazione che l’impugnazione è limitata “ai soli effetti della responsabilità civile” per quanto riguarda la sentenza di proscioglimento”[29].

Tra l’altro, “una impugnazione ai soli effetti civili sarebbe incompatibile con la natura della decisione conclusiva della udienza preliminare che, come è noto, è priva di effetti irrevocabili sul merito della controversia”[30].

In effetti, il “Giudice dell’udienza preliminare può solo prosciogliere l’imputato o disporne il rinvio a giudizio, senza alcuna possibilità di statuire in ordine agli interessi di natura civile: di tal che, mirando la parte civile ovviamente ad ottenere il rinvio a giudizio dell’imputato, l’interesse tutelato dal ricorso non può che riguardare l’azione penale”[31].

Sempre sulla scorta di tale orientamento ermeneutico, la Corte di Cassazione ha sottolineato oltre a ciò, che lo stesso art. 428 c.p.p., comma 2, c.p.p. nel legittimare il ricorso per i motivi previsti dall’art. 606 c.p.p. (e non più per i soli motivi attinenti all’instaurarsi del contraddittorio nell’udienza preliminare), a favore della sola parte civile che riveste anche qualità di persona offesa dal reato (e non di semplice persona danneggiata), avvalora in tale guisa “l’assunto che il legislatore ha voluto accordare tutela alle ragioni di segno penale del titolare dell’interesse protetto dal precetto penale, cioè della vittima del reato che patisce il “danno criminale””[32].

E’ evidente che il criterio ermeneutico sancito dalle Sezioni Unite è stato in tale modo ulteriormente specificato nel senso che il potere di impugnazione è stato limitato a favore della sola parte offesa costituitasi parte civile.

Tale considerazione giuridica, peraltro, ha già trovato conforto in diverse pronunce antecedenti all’arresto giurisprudenziale del 2008.

Invero, il Supremo Consesso, una volta preso atto “che il ricorso sia previsto non nell’interesse di tutti i danneggiati che si siano costituiti parti civili, ma esclusivamente dei danneggiati che siano anche persone offese dal reato”[33], è giunto quindi alla considerazione secondo cui l’art. 428, co. II, c.p.p. riguarda solo colui che “è il titolare del danno criminale”[34] inteso quest’ultimo come la persona “che patisce il danno criminale costituito dall’offesa di questo bene”[35].

Viceversa, “il danneggiato. che eserciti l’azione civile in sede, non mira a tutelare esclusivamente il danno civile a lui cagionato dal reato”[36].

Inoltre, a sostegno di tale tesi ermeneutica, vi sono pure considerazioni di ordine sistematico visto che, essendo ben chiara la distinzione tra persona offesa e danneggiato “nella terminologia del codice (sì vedano gli artt. 11, 36, 77, 404 e 652 c.p.p.)”[37], sarebbe irragionevole “che da una tale distinzione si prescinda nell’ambito di una disposizione che alla persona offesa riconosce una più limitata legittimazione a impugnare anche quando non sia costituita parte civile”[38].

Tra l’altro, il fatto che vi sia un chiaro distinguo tra questi due soggetti processuali emerge anche dalla giurisprudenza di legittimità in cui è stato rilevato, ad esempio, che:

  • al “privato danneggiato dal reato il codice di procedura penale assegna un potenziale ruolo processuale, con la possibilità di costituzione di parte civile, soltanto quando il procedimento sia pervenuto alla fase indicata dall’art. 79 c.p.p., mentre alla parte offesa sono riconosciute facoltà e diritti sin dalla fase delle indagini preliminari”[39];

  • “alla parte offesa “e non anche alla persona solamente danneggiata dal reato, spetta ex art. 419 c.p.p. l’avviso di fissazione dell’udienza, con la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero”[40];

  • la “persona danneggiata non è legittimata a proporre opposizione alla richiesta d’archiviazione, spettando questa facoltà unicamente alla persona offesa, che deve essere identificata nel titolare del bene giuridico immediatamente leso dal reato”[41].

Pertanto, non è condivisibile l’assunto interpretativo minoritario secondo cui il “ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere è proponibile, ai sensi dell’art. 428 comma 2 c.p.p., anche dal soggetto danneggiato dal reato che si sia costituito parte civile, pur quando faccia in lui difetto la qualità di “persona offesa””[42].

Difatti, a fronte delle plurime argomentazioni sostenute dall’orientamento maggioritario (e richiamate in precedenza), non sembra idoneo a superarlo quell’ indirizzo interpretativo secondo il quale, il testo dell’art. 428, comma II, c.p.p., prescinderebbe “da possibili distinzioni interne alla categoria di danneggiati”[43] siccome evidentemente caratterizzato dall’ “assenza di argomentazioni specifiche”[44].

In conclusione, il principio di diritto su emarginato, così come espresso dalle Sezioni Unite nella decisione summenzionata e ribadito nelle successive pronunce emesse dalle Sezioni semplici, è sicuramente condivisibile sicchè conforme sia al dettato costituzionale (art. 112 Cost.) sia a quello comunitario (art. 69 A Trattato di Lisbona).

 

NOTE:

[1] In tal senso, Cass. pen., 11/11792, fonti: Mass. pen. cass. 1993, fasc. 7, 39: alla “stregua dell’art. 428 comma 3 c.p.p., la persona offesa dal reato può impugnare la sentenza di non luogo a procedere emessa nell’udienza preliminare solo nei casi di nullità relativi alla notifica dell’avviso dell’udienza stessa”.

[2] Cass. pen., sez. VI, 22/11/11, n. 22019.

[3] Cass., Sez. 4^, 25/10/2006 n. 11960/07, rv. 236249; Sez. 2^, 12/4/2007 n. 16908, rv. 236661.

[4] SSUU, 29/05/08, n. 25695.

[5] Cass., Sez. 5^, 15/1/2007 n. 5698, rv. 235863; Sez. 4^, 19/4/2007 n. 26410, rv. 236801; Sez. 5^, 3/5/2007 n. 21876, rv. 236250; Sez. 2^, 12/6/2007 n. 26550, rv. 237300; Sez. 5^, 5/6/2007 n. 34432, rv. 237710; Sez. 5^, 26/6/2007 n. 35651, rv. 237715; Sez. 4^, 31/1/2008 n. 13163; Sez. 5^, 22/2/2008 n. 12902, rv. 239386; Sez. 6^, 4/2/2008 n. 21735.

[6] SSUU, 29/05/08, n. 25695.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem. Sul versante dottrinale, a favore di siffatta tesi ermenutica, si segnalano i seguenti autori: BRICCHETTI-PISTORELLI, “La sentenza liberatoria va in Cassazione”, in Guida dir., 2006, n. 10, p. 71; BRICCHETTI, “Impugnazione della sentenza di non luogo a procedere”, cit., p. 129; GARUTI, “Mezzi di critica e strumenti di controllo della sentenza di non luogo a procedere”, in AA.VV., “Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio”, a cura di Scalfati, Ipsoa, 2006, p. 74; GARUTI, “Dall’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento ai nuovi vincoli in punto di archiviazione e di condanna dell’imputato”, in Dir. pen. proc., 2006, p. 808; SELMI, sub art. 4, l. 20.2.2006, n. 46, in Leg. pen., 2007, p. 85.

[11] SSUU, 29/05/08, n. 25695.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem.

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Art. 69 A, par. 2-I, Trattato di Lisbona.

[19] Art. 69 A, par. 2-II, Trattato di Lisbona.

[20] Corte Cost., sent. n. 48/79. 

[21] Corte Cost., sent. n. 474/93.

[22] Corte Cost., sent. n. 114/82.

[23] Cass. pen., sez. VI, 22/11/11, n. 22019.

[24] Ibidem.

[25] Cass. pen., sez. V, 26/06/07, n. 35651.

[26] Ibidem.

[27] Cass. pen., sez. II, 12/06/07, n. 26550.

[28] Cass. pen., sez. V, 3/05/07, n. 21876.

[29] Cass. pen., sez. IV, 19/04/07, n. 26410. In senso analogo, Cass. pen., sez. V, 16/04/09, n. 37114: “La soluzione del problema non può prescindere dalla preliminare considerazione che questa impugnazione non è limitata ai soli effetti civili, perchè una tale limitazione, tuttora esplicitamente imposta dall’art. 576 c.p.p., comma 1 per le impugnazioni della parte civile contro le sentenze pronunciate in giudizio, non è prevista dall’art. 428 c.p.p., comma 2, oltre ad essere incompatibile con la natura della decisione conclusiva dell’udienza preliminare, priva di effetti irrevocabili sul merito della controversia”.

[30] Cass. pen., sez. V, 5/06/07, n. 34432.

[31] Cass. pen., sez. IV, 8/11/07, n. 47169.

[32] Cass. pen., sez. VI, 22/11/11, n. 22019.

[33] Cass. pen., sez. IV, 31/01/08, n. 13163.

[34] Ibidem.

[35] Ibidem.

[36] Ibidem.

[37] Cass. pen., sez. V, 15/01/07, n. 5698. In senso conforme, Cass. pen., sez. V, 16/04/09, n. 37114.

[38] Cass. pen., sez. V, 15/01/07, n. 5698.

[39] Cass. pen., sez. VI, 22/05/95, n. 1998.

[40] Ibidem.

[41] Cass. pen., sez. III, 14/01/09, n. 6229.

[42] Ex plurimibus, Cass, pen., sez. V, 22/02/08, n. 12902.

[43] Cass, pen., sez. V, 22/02/08, n. 12902.

[44] In tal senso: Gastano Andreazza: “Il ricorso per Cassazione della persona offesa costituita parte civile avverso la sentenza di non luogo a procedere tra incoerenze sistematiche e dubbi di costituzionalità”, Cass. pen., 2009, 1, 109 a cui si rinvia per una più compiuta e completa disamina dell’argomento trattato in questo breve libello.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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