La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui non è stato preso in considerazione il motivo di appello volto ad ottenere il riconoscimento dell’attenuante di cui al quinto comma dell’art. 73 del d.p.r. n. 309/90.
Infatti, il Supremo Consesso ha censurato l’operato dei giudici di merito posto che, da un lato, l’assistito, essendo un consumatore abituale, “deteneva lo stupefacente in parte per uso personale e in parte per cederlo a terzi, in modo da ricavare dallo spaccio le dosi occorrenti per il suo bisogno personale”, dall’altro lato, non sono state valutate le “caratteristiche del tutto rudimentali e prive di organizzazione dell’attività di spaccio posta in essere dal C., tale da poter essere ritenuta di modesta offensività e dunque meritevole del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 73 co V dpr 309/90”.
Ebbene, tale decisum è sicuramente condivisibile sicchè si innesta lungo il solco di un consolidato orientamento nomofilattico secondo cui, per un verso, è stato affermato che in “tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, ai fini dell’applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità (art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990), lo stato di tossicodipendente può rilevare solo se si accerti che lo spaccio non ha dimensioni ragguardevoli, sì da fare apparire verosimile che l’imputato ne destini i proventi all’acquisto di droga per uso personale” (Cass .pen., sez. V, 3/04/2009, n. 25883) e per altro verso, è stato rilevato come la circostanza de qua potesse “essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo”[1].
Inoltre, la Corte di Cassazione, con un orientamento consolidato, ha stabilito come, per potersi applicare tale attenuante, sia necessario prendere in esame e porre, a base del relativo giudizio valutativo, “soltanto la parte della sostanza destinata allo spaccio”[2] e non quella destinata al consumo personale.
Tale approdo argomentativo è palesemente condivisibile siccome consono alla ratio che governa le norme giuridiche destinate a reprime il fenomeno connesso allo spaccio di sostanze stupefacenti dato che, come è risaputo, il bene giuridico tutelato dall’art. 73 del d.pr. n. 309/90 consiste nel tutelare la “salute pubblica”[3].
Di talchè ne consegue che, per acclarare se un’attività di detenzione di sostanze stupefacenti sia lieve (o meno), il riferimento del quantitativo non può che essere parametrata rispetto a colui che potrebbe “ricevere” lo stupefacente rinvenuto.
Inoltre, è altrettanto condivisibile il vaglio critico adottato nel decisum che non ha incentrato il suo nucleo argomentativo al solo dato quantitativo e alla condizione di tossicodipendente dell’imputato ma anche alle “caratteristiche del tutto rudimentali e prive di organizzazione dell’attività di spaccio” giacchè, secondo un costante percorso ermeneutico, è stato affermato che “l’elemento quantitativo viene a collocarsi, infatti, su un piano assolutamente paritetico rispetto ai “mezzi”, alle “modalità” ed alle “circostanze dell’azione”, potendo il giudice di merito, tuttora, ritenere inapplicabile la circostanza attenuante nel caso di modesti valori ponderali, quando emerga che la detenzione risulti solo il frammento di una più articolata e sistematica attività di spaccio”[4] anche perché, a “seguito della procedura referendaria diretta all’abrogazione di talune norme del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, procedura conclusasi con il d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, qualora si tratti di soggetto tossicodipendente, che detenga la sostanza stupefacente per uso personale e per attività di spaccio, il giudice di merito, al fine di valutare la sussistenza dell’attenuante, non può attenersi al dato quantitativo senza considerare quanta parte della sostanza si sottrae alla detenzione penalmente illecita, e non può attribuire rilevanza negativa esclusiva alla finalità o attività di spaccio in sè, che non si connoti di più specifica pericolosità”[5].
Viceversa, è stata reputata configurabile tale circostanza, nella misura in cui “si accerti che lo spaccio ha dimensioni non ragguardevoli” proprio in virtù del fatto che, come nel caso trattato nel decisum in commento, fosse verosimile “che l’imputato ne destini i proventi all’acquisto di stupefacente per uso personale”[6].
Difatti, è necessario, per poter ravvisare la sussistenza di tale elemento accidentale, che la condotta contestata sia connotata “dagli attributi della modestia e rudimentalità, indici di un’attività illecita discontinua, non professionale e non organizzata, pertanto non gravemente incisiva e pericolosa per la diffusione della droga”[7].
Ebbene, tale approdo ermeneutico è sicuramente conforme alla ratio sottesa all’applicazione di siffatto elemento accidentale.
Infatti, come è noto, “con la previsione in commento il legislatore ha voluto introdurre un risposta sanzionatoria più attenuata, allorché i fatti delittuosi in materia di sostanze stupefacenti previsti dallo stesso articolo (vendita, cessione, coltivazione ecc.) siano di «lieve entità», «per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze»”[8] posto che, la ragione che ispira questo istituto, è rintracciabile “nell’esigenza di accordare una particolare attenuazione alla dimensione offensiva del fatto concreto, il quale si riveli come minimamente pericoloso rispetto al risultato della diffusione degli stupefacenti tra i possibili assuntori”[9] attraverso la disamina congiunta di tutti i parametri di riferimento indicati dal quinto comma dell’art. 73 del d.p.r. in esame[10].
La Cassazione, dunque, correttamente declinando tale principio di diritto ai casi sottoposti al suo scrutinio di legittimità, ha cassato i provvedimenti impugnati nei seguenti casi:
-
qualora il giudice di merito abbia incentrato “la motivazione sull’appartenenza all’imputato di tutta la sostanza stupefacente, non solo quella trovata all’interno dell’abitazione ma anche quella rinvenuta nel tubo della gronda, benché l’imputato, nell’atto di appello, abbia ammesso tale circostanza, negata inizialmente nel giudizio di primo grado, limitandosi a sostenere che solo parte del quantitativo rinvenuto era destinato allo spaccio, mentre altra parte era detenuta per uso personale, essendo egli consumatore abituale di stupefacente, che traeva dallo spaccio i proventi per l’acquisto delle proprie dosi”[11];
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se venga esclusa la sussistenza dell’attenuante in esame solo alla luce del solo “dato ponderale indicato in tutta la sostanza sequestrata”[12];
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quando vengano considerati i precedenti specifici dell’imputato “risultando gli stessi estranei agli elementi di valutazione previsti dalla predetta disposizione normativa”[13];
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allorquando venga omessa la “valutazione della “quasi incensuratezza del prevenuto” “ rientrando questa “fra le circostanze dell’azione, cui fa richiamo il menzionato comma 5”[14].
Viceversa, il Supremo Consesso, sempre alla luce di tale orientamento nomofilattico, ha ritenuto legittimo l’operato dei giudici di merito quando, dall’istruttoria dibattimentale, emerga “una notevole potenzialità diffusiva dell’attività di spaccio”[15] desumibile, ad esempio:
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dalla detenzione di partite di sostanza stupefacente “per un peso superiore ai gr. 500 la settimana”[16];
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dalle intercettazioni qualora da esse emergano come talvolta fossero stati trattati “anche diversi chili di droga”[17];
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dai profitti “molto elevati” conseguiti dagli imputati grazie a questa attività delittuosa[18].
Da ultimo, non si può sottacere sulla posizione di chi ravvisa una preminenza valutativa del dato ponderale sugli altri elementi indicati dalla norma giuridica in commento.
Segnatamente, si è pervenuto ad affermare come, in chiave nomofilattica, vi fosse “una vera e propria predominanza e preponderanza dell’elemento ponderale, che viene “preferito” rispetto agli altri diversi fattori”[19] sulla scorta di quell’orientamento nomofilattico secondo cui in “tema di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, al fine di valutare la sussistenza dell’attenuante prevista dal comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ogni altra pur favorevole circostanza risulta priva di rilevanza per ritenere di lieve entità il fatto, qualora il dato ponderale superi il limite rappresentato da una soglia ragionevole di valore economico, mentre, in presenza di un quantitativo non cospicuo di sostanza, assumono valenza gli altri parametri legislativi (mezzi, modalità, circostanze dell’azione) i quali, ove siano suscettibili di determinare un non trascurabile allarme sociale, escludono la ravvisabilità della attenuante ad effetto speciale”[20].
Ebbene, tale approdo giurisprudenziale è, ad umile avviso di chi scrive, perfettamente condivisibile poiché, già il mero richiamo compiuto dal legislatore a fatti di “lieve entità”, indubbiamente evoca in primo luogo, tra gli elementi da prendere in considerazione, proprio il quantitativo della sostanza stupefacente rinvenuta.
Del resto, anche per altri istituti del diritto penale, quale, ad esempio, l’attenuante della speciale tenuità prevista dall’art. 62, co. I, n. 4 c.p., la Cassazione ha egualmente affermato che “l’entità del danno deve essere valutata anzitutto con riferimento al criterio obiettivo del danno in sé, mentre quello subiettivo (riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo) ha valore sussidiario e viene in considerazione soltanto quando il primo, da solo, non appare decisivo o quando la perdita del bene”[21] così come, allo stesso modo, per l’attenuante della “particolare tenuità” prevista dall’art. 648, co. II, c.p., è stato sancito che tale circostanza “va sempre esclusa se il fatto non è particolarmente lieve, risultando superflua ogni ulteriore indagine; mentre, se è accertata la lieve consistenza economica del bene ricettato, ai fini del riconoscimento della circostanza può procedersi alla verifica della sussistenza degli ulteriori elementi, desumibili dall’art. 133 c.p.”[22].
Tornando ad esaminare la pronuncia in commento, detta sentenza, in conclusione, si appalesa del tutto condivisibile sicchè, come suesposto, conforme ad un pregresso e conforme orientamento nomofilattico elaborato dalla Suprema Corte di Cassazione in subiecta materia (e sinteticamente illustrata in questo breve libello).
[1] Cass. pen., sez. un., 21/09/2000, n. 17.
[2] Cass. pen., sez. IV, 12/02/98, n. 5672.
[3] Cass. pen., sez. III, 2/10/1998, n. 11782.
[4] Cass. pen., sez. VI, 11/03/1994, fonti: Cass. pen. 1995, 1990 (nota di: AMATO), Mass. pen. cass. 1994, fasc. 8, 137.
[5] Cass. pen., sez. VI, 9/05/1994, fonti: Cass. pen. 1995, 2701 (s.m.), Mass. pen. cass. 1995, fasc. 1, 116. In senso conforme: Cass. pen., sez. VI, 15/11/1993, fonti: Mass. pen. cass. 1994, fasc. 3, 55: in “materia di stupefacenti, l’attenuante di cui all’art. 73 comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (fatto di lieve entità) non può essere esclusa soltanto sulla base del criterio quantitativo, richiedendo la norma che sia tenuto conto, accanto alla “qualità e quantità delle sostanze” anche dei mezzi, delle modalità e delle “circostanze dell’azione”, le quali, riferendosi alla azione concreta compiuta dall’imputato, possono e debbono includere sia le circostanze oggettive sia quelle soggettive. Se prima del referendum abrogativo (d.P.R. n. 171 del 1993) relativo all’art. 72 (che sanciva il divieto di uso personale non terapeutico di sostanze stupefacenti) e agli art. 75 e 78 d.P.R. n. 309 del 1990 (che stabilivano il parametro quantitativo della dose media giornaliera), poteva sostenersi la ricorrenza della circostanza attenuante solo nel caso di detenzione per uso personale di quantità appena di poco superiori alla dose media giornaliera e la esclusione del fatto lieve per detenzione finalizzata allo spaccio anche occasionale, la sopravvenuta depenalizzazione della detenzione per uso personale rende applicabile l’attenuante anche allo spaccio in quantità non vicine alla (ormai inesistente) dose media giornaliera, purché sia esclusa una attività di spaccio professionale”.
[6] Cass. pen., sez. IV, 24/09/1996, n. 9111.
[7] Giuseppe Amato, “Ancora sulla circostanza attenuante del fatto di «lieve entità»: sulla ritenuta compatibilità con l’intervenuta morte del cessionario in conseguenza dell’assunzione della droga ceduta dallo spacciatore”, Cass. pen., 1995, 7-8, 1990.
[8] Giuseppe Amato, “ “Fatto di “lieve entità” e incensuratezza dell’imputato”, Cass. pen., 1999, 2, 714.
[9] Ibidem.
[10] In tal senso: Cass. pen., sez. VI, 19/12/1997, n. 1318: “Al fine di valutare la sussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, qualora il dato ponderale della droga superi il limite rappresentato da una soglia ragionevole di valore economico, secondo apprezzamento riservato al giudice di merito, ogni altra pur favorevole circostanza risulta priva di rilevanza per ritenere la lieve entità del fatto; mentre, in presenza di un quantitativo non cospicuo di sostanza, assumono valenza gli altri parametri legislativi (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), i quali, ove siano suscettibili di determinare un non trascurabile allarme sociale, escludono la ravvisabilità della attenuante, secondo valutazione globale e congiunta, nella quale vengano ad essere accentuati gli aspetti particolari del carattere continuativo dell’attività di spaccio, del modo sistematico secondo il quale essa viene attuata, dell’impiego di organizzazione sia pure rudimentale, del periodo di tempo di svolgimento dello spaccio, del numero degli acquirenti abituali della sostanza ceduta, dell’ambito territoriale coperto dal narcotraffico”.
[11] Cass. pen., sez. III, 12/07/12, n. 46299.
[12] Cass. pen., sez. IV, 12/02/98, n. 5672
[13] Cass. pen., sez. VI, 14/10/09, n. 42112.
[14] Cass. pen., sez. IV, 12/02/98, n. 5672.
[15] Cass. pen., sez. V, 3/04/2009, n. 25883.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] Carlo Alberto Zaina, “Stupefacenti: l’attenuante dell’ipotesi lieve, minimo edittale e favor rei”, commento a: Cassazione penale , sez. IV, sentenza 21.11.2007 n° 1692, pubblicato sul sito internet www.altalex.it .
[20] Cass. pen., sez. VI, 4/02/1998, n. 2888.
[21] Cass. pen., sez. V, 31/05/2011, n. 32097.
[22] Cass. pen., sez. I, 13/03/12, n. 13600.
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