Il problema che si intende affrontare in questo libello, è quello di appurare se il difensore di ufficio, non cassazionista, possa proporre ricorso per Cassazione nel caso in cui l’imputato sia irreperibile o latitante.
Su questo argomento, prima che intervenissero le Sezioni Unite nel 2006, si registravano due diversi orientamenti nomofilattici.
Secondo il primo indirizzo, il “difensore d’ufficio dell’imputato irreperibile, anche quando non sia iscritto nell’albo speciale di cui all’art. 613 c.p.p., è legittimato a proporre ricorso per cassazione, dato che al difensore competono le facoltà e i diritti che la legge riconosce all’imputato (a meno che non siano personalmente riservati a quest’ultimo), e che lo stesso imputato, quando irreperibile, è rappresentato appunto dal difensore”[1].
In particolar modo, gli Ermellini erano giunti a questa conclusione decisoria rilevando da un lato, che “la disposizione dell’art. 613 C.P.P. deve essere interpretata alla luce degli artt. 99 comma 1, secondo cui al difensore competono le facoltà e di diritti che la legge riconosce all’imputato a meno che essi siano riservati personalmente a quest’ultimo, e 165 comma 3, secondo cui l’imputato latitante o evaso “è rappresentato a ogni effetto dal difensore”” ed affermando dall’altro, come tale principio debba “ritenersi valido anche per l’irreperibile, non potendo la maggiore laconicità dell’analoga formula “è rappresentato dal difensore” usata nell’art. 159 comma 2 C.P.P. costituire ostacolo di apprezzabile rilievo giuridico, stante l’assenza comunque di clausole che limitino l’applicazione della norma”.
Quindi, i Giudici di “Piazza Cavour”, avevano ravvisato nell’art. 165, co. III, c.p.p.[2] “una “portata più ampia di quanto non indichi l’intitolazione …, perché ricomprende – in conformità con la ratio ispiratrice della norma, che è quella di assicurare la piena tutela della difesa – anche quei casi in cui il codice riserva personalmente all’imputato non evaso e non latitante l’esercizio di determinati diritti o facoltà processuali ..”[3], escludendo “tale deroga ogni volta che la rappresentanza del difensore si possa estendere all’esercizio di poteri processuali dispositivi che richiedano, come tali, una manifestazione personale di volontà del soggetto interessato, quali le facoltà di cui all’art. 438, comma 3, c.p.p. (richiesta di giudizio abbreviato), all’art. 446, comma 3, c.p.p. (richiesta di applicazione della pena), art. 589, comma 2, c.p.p. (rinuncia all’impugnazione)”[4].
Tale costrutto ermeneutico veniva ritenuto preferibile, inoltre, in quanto maggiormente conforme alla ratio della norma processuale appena citata che veniva fatta coincidere “nella necessità di assicurare la piena tutela dei diritti di difesa al latitante anche nei casi in cui altre norme riservano personalmente all’imputato non latitante o evaso il loro esercizio, salvo il caso di poteri processuali meramente dispositivi (quali la richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento, la rinuncia all’impugnazione) non rientranti strettamente nel diritto di difesa”[5].
In sostanza, la Corte conferiva all’art. 165, co. III, c.p.p. un potere latu sensu impugnatorio alla stregua delle seguenti considerazioni:
“- la collocazione sistematica del terzo comma dell’art. 165 c.p.p., preceduto da altro comma contenente la previsione di carattere generale in base alla quale all’imputato privo di difensore deve esserne nominato uno d’ufficio;
– la dizione testuale del terzo comma dell’art. 165 c.p.p., il quale stabilisce che il potere di rappresentanza del difensore vale ad ogni effetto;
– la mancanza, nell’art. 165 c.p.p., di una previsione limitativa analoga a quella contenuta nel primo comma dell’art. 99 c.p.p., che, al contrario, esclude i casi in cui facoltà e diritti siano dalla legge riservati personalmente all’imputato”[6].
Alla luce di tali argomentazioni giuridiche, il Supremo Consesso, dunque, partendo dalla premessa secondo la quale poiché “l’art. 571 cc. 1 c.p.p. riconosce all’imputato – in via generalizzata – il diritto di proporre personalmente l’impugnazione, il potere di “rappresentanza “ad ogni effetto” spettante al difensore del latitante o evaso – non può non comprendere quel diritto”, giungeva all’ulteriore conclusione secondo cui tale attività legale non era qualificabile come un mandato difensivo quanto piuttosto “di sostituzione legale nella legittimazione personale”[7].
Del resto, tale approdo ermeneutico era stato affermato anche prima che venisse varata la riforma *******.
Difatti, un anno prima che entrasse in vigore la legge n. 479 del 16/12/1999, gli Ermellini aveva evidenziato che lo “specifico mandato ad impugnare di cui, ai sensi dell’art. 571 comma 3 c.p.p., deve essere munito il difensore dell’imputato condannato con sentenza contumaciale non è richiesto nel caso in cui il contumace sia anche latitante o evaso, operando in tale ipotesi la regola generale dettata dall’art. 165 comma 3 c.p.p. (valida per tutti gli atti che non richiedano la manifestazione di una personale volontà dell’imputato), secondo cui l’imputato latitante o evaso “è rappresentato ad ogni effetto dal difensore” ”[8] atteso che “lo status di latitante o di evaso, a differenza sostanziale di quello di contumace, comporta il pericolo che l’imputato non abbia alcuna conoscenza non solo della sentenza di condanna nei suoi confronti, ma dello stesso decreto di citazione e della stessa fissazione e celebrazione del dibattimento in secondo grado, e soprattutto che egli non sia nelle condizioni di avvicinare il suo difensore per conferirgli il mandato speciale”[9].
Difatti, sempre in virtù di questo filone interpretativo, “lo status di latitante o di evaso, a differenza sostanziale di quello di contumace, comporta il pericolo che l’imputato non sia nelle condizioni di esercitare con pienezza tutte le facoltà inerenti il diritto di difesa (Sez. 5, 5.6.2000, n. 02538, ric. J., riv. 216232; Sez. 5, 5.8.1999, n. 09945, ric. A. G. ed altri, riv. 213969)”[10].
Orbene, a fronte di tale indirizzo nomofilattico, vi era un altro di segno di contrario secondo il quale il “difensore d’ufficio dell’imputato latitante, pur rappresentando “ad ogni effetto” il proprio assistito, ai sensi dell’art. 165 comma 3 c.p.p., non è per ciò solo abilitato a proporre ricorso per cassazione, qualora non sia anche iscritto all’albo speciale previsto dall’art. 613 c.p.p., trovando il detto potere di rappresentanza la sua ragion d’essere nell’esigenza di impedire che il diritto di difesa dell’imputato risulti limitato per effetto della latitanza, di tal che esso non può ritenersi configurabile laddove, come nel caso dell’impugnazione, trattasi di diritto che l’imputato può esercitare personalmente, senza alcun rischio di cattura, mediante ricorso ad una delle varie modalità di presentazione di gravame previste dagli art. 582 e 583 c.p.p.”[11].
La Cassazione era giunta a formulare tale principio di diritto ritenendo non limitato il diritto di difesa del latitante in casi di questo tipo, giacchè l’imputato poteva comunque impugnare la sentenza di condanna “personalmente, senza alcun rischio di cattura, mediante il ricorso ad una delle modalità di presentazione del gravame previste dagli artt. 582 e 583 c.p.p.”[12] “e vedersi, quindi, assicurata, nel successivo giudizio di legittimità, l’assistenza di un difensore di ufficio cassazionista”[13].
A fronte di tali contrapposte tesi giuridiche, se ne registrava una terza, per così dire mediana fra le due con cui era riconosciuto sì al difensore d’ufficio non cassazionista la possibilità di adire il terzo grado di giudizio negandogli tuttavia la possibilità di poter discutere in sede di legittimità.
Secondo tale orientamento, infatti, non era configurabile la legittimazione del difensore non iscritto nell’albo speciale a difendere il latitante (o l’evaso) direttamente in udienza, siccome la iscrizione avendo “lo scopo di assicurare alla parte privata una difesa tecnica specializzata tenuto conto della particolare natura del ricorso per cassazione – tecnicità garantita in via presuntiva e generale dalla iscrizione all’albo speciale”[14], faceva sì come non vi fosse “alcun motivo per derogare a tale principio a favore del latitante o dell’evaso, atteso che costoro, anche se non versassero in tale condizione, non potrebbero che essere difesi davanti a questa corte da un avvocato, di fiducia o di ufficio iscritto, nello speciale albo alla stregua di qualsiasi altro ricorrente”[15].
Orbene, come già accennato in precedenza, la Cassazione a Sezioni Unite aveva composto siffatto contrasto interpretativo nel 2006 aderendo al secondo orientamento nomofilattico su emarginato.
Infatti, nell’arresto giurisprudenziale cristallizzato nella sentenza n. 24486 dell’11/07/2006, gli Ermellini avevano affermato che il “difensore d’ufficio dell’imputato latitante (o evaso) non è legittimato a proporre ricorso per cassazione se non iscritto all’albo speciale della Corte di cassazione”.
A sostegno di tale assunto decisorio, la Corte rilevava innanzitutto “il potere del difensore di proporre impugnazione in favore dell’imputato trova nell’art. 571 c.p.p., comma 3 una fonte di legittimazione ben più forte e comunque autonoma rispetto a quella che potrebbe derivargli sia dall’art. 99 c.p.p., comma 1, che esclude dall’attribuzione al difensore i diritti riservati personalmente all’imputato, sia dallo stesso art. 165 c.p.p., comma 3, che tratta il difensore come mero rappresentante dell’imputato” e da ciò, perveniva alla conclusione secondo la quale “la natura appunto personale del diritto di impugnazione riconosciuto all’imputato dall’art. 571 c.p.p., comma 1 lo escluda dall’ambito dei diritti esercitabili dal difensore a norma dell’art. 99 c.p.p., comma 1”.
Ragionare in diverso modo, ad avviso delle Sezioni Unite, comporterebbe, a favore del difensore dell’imputato evaso o latitante, “un doppio titolo di legittimazione a impugnare: l’uno autonomo, ex art. 571 c.p.p., comma 3, l’altro di rappresentanza, ex art. 165 c.p.p., comma 3”.
Del resto, la stessa Corte rilevava in quella occasione che non verrebbe precluso in tal modo la possibilità per l’imputato, laddove ignaro del procedimento, di chiedere la restituzione in termini, anzi, a detta degli stessi Giudici di legittimità, “il riconoscimento al difensore di un potere di impugnazione in rappresentanza dell’imputato latitante rischierebbe di vanificare, consumandolo, proprio il diritto di remissione in termine, che all’imputato attribuisce una garanzia ben più pregnante”.
Inoltre, sempre in quell’arresto giurisprudenziale, si riteneva non vanificato il diritto di difesa tecnica giacchè l’eventuale mancanza di legittimazione a ricorrere per cassazione del difensore del latitante, “potrà certamente giustificare una sua richiesta di sostituzione a norma degli art. 97 c.p.p., comma 5 e art. 30 disp. att. c.p.p.”.
Ebbene, una volta compiuta questa breve disamina e preso atto che tale arresto giurisprudenziale è rimasto immutato nel corso del tempo[16], si ritiene, ad umile avviso di chi scrive, ancora preferibile l’indirizzo ormai divenuto minoritario per le seguenti ragioni.
In primo luogo, il meccanismo azionabile ai sensi del combinato disposto ex art. 97, co. V[17] e 30, co. III, disp. Att., c.p.p.[18] non sembra essere pertinente al caso di specie.
Difatti, il riferimento compiuto dall’art. 30, co. III, disp. att. ****** all’impossibilità di nominare sostituti sembra alludere a situazioni contingenti che afferiscono non tanto alle limitazioni legali proprie di un difensore quanto piuttosto a circostanze concrete di natura personale (es. grave malattia o altro impedimento legittimo).
In secondo luogo, anche a voler reputare applicabili tali norme giuridiche a casi di questo tipo, la sostituzione, per così dire in corso d’opera, specie qualora i termini per impugnare siano brevi, potrebbe oggettivamente diminuire l’effettività del diritto di difesa.
Infatti, redigere un mezzo di impugnazione così complesso quale è il ricorso per Cassazione, implica uno studio degli atti processuali molto puntiglioso e rigoroso il quale, sicuramente, non è condensabile in un ristretto arco temporale[19] dato che, l’effettività della difesa tecnica, richiede che l’impugnazione venga “correttamente formulata e argomentata”[20].
In terzo luogo, non è più vero così come sostenuto dalle Sezioni Unite, nella decisione succitata, che il latitante, laddove ne ricorrano le condizioni, può chiedere di essere restituito in termini dato che, secondo un recente arresto giurisprudenziale, l’ “impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell’interesse dell’imputato contumace (nella specie latitante), preclude a quest’ultimo, una volta che sia intervenuta la relativa decisione, la possibilità di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta impugnazione”[21].
Per questi motivi, sarebbe auspicabile un nuovo intervento delle Sezioni Unite che ridefinisca il margine di applicabilità dell’art. 165, co. III, c.p.p. se non nei termini precisati dall’orientamento minoritario quanto meno alla luce di quello prospettato in via mediana sempre dalla Cassazione in cui, come suesposto, veniva riconosciuto al difensore d’ufficio non cassazionista il diritto di impugnare inibendogli soltanto la possibilità di rappresentare l’imputato latitante in giudizio.
Da ultimo, a fronte del permanere di tale opzione ermeneutica, sarebbe praticabile una ulteriore strada per permettere al difensore di ufficio non abilitato di adire la Corte Suprema di Cassazione.
Infatti, dato che le Sezioni Unite, nella decisione emessa nel 2006 (ed esaminata in precedenza), avevano affermato come il latitante potesse ricorrere per cassazione anche “a mezzo di procuratore speciale” e, tenuto conto altresì che l’art. 571, co. I, c.p.p. consente all’imputato di «proporre impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale nominato anche prima dell’emissione del provvedimento», il difensore d’ufficio, pur non essendo cassazionista, potrebbe agire come procuratore speciale, “in quanto munito di procura ad hoc, all’uopo rilasciatagli dall’imputato in epoca anche antecedente il deposito della sentenza d’appello”[22].
Difatti, in tal guisa, il difensore non agirebbe in veste di legale ma come procuratore speciale dell’imputato ai sensi dell’art. 571, co. I, c.p.p. “beneficiando, in tal modo, della facoltà di proposizione personale dell’impugnazione che la norma di cui all’art. 571 comma 1 c.p.p., in generale, e l’art. 613 c.p.p., in special modo con riferimento al ricorso per cassazione, riconoscono al solo imputato”[23].
[1] Ex plurimibus Cass. pen., sez. I, 29/04/2005, n. 21045.
[2] Secondo il quale, come è noto, l’ “imputato latitante o evaso è rappresentato a ogni effetto dal difensore”.
[3] Cass. pen., sez. I, 12/05/2004, n. 38019.
[4] Cass. pen., sez. I, 11/07/2003, n. 41333.
[5] Cass. pen., 4/05/2000, n. 2538.
[6] Cass. pen., sez. I, 11/07/2003, n. 41333.
[7] Cass. pen., 4/05/2000, n. 2538.
[8] Cass. pen., sez. V, 22/12/1998, n. 9945.
[9] Ibidem.
[10] Cass. pen., sez. I, 11/07/2003, n. 41333.
[11] Cass. pen., sez. I, 30/09/2003, n. 45594.
[12] Ibidem.
[13] ibidem.
[14] Cass. pen., sez. I, 12/05/2004, n. 38019.
[15] Ibidem.
[16] Cfr. Cass. pen., sez. V, 10/1072008, n. 40585: “È inammissibile il ricorso per cassazione proposto nell’interesse dell’imputato irreperibile dal difensore non iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, in quanto l’assenza del titolo abilitativo rende il difensore privo di legittimazione a proporre impugnazione”; Cass. pen., sez. VI, 21/09/2007, n. 37534: “È inammissibile il ricorso per cassazione proposto nell’interesse dell’imputato irreperibile dal difensore non iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, in quanto il mancato titolo abilitativo rende il difensore privo di legittimazione a proporre impugnazione”; Cass. pen., sez. V, 7/07/2009, n. 40441: “In effetti il potere di rappresentanza del difensore di ufficio dell’imputato latitante trova la sua ragion d’essere nella esigenza di impedire che il diritto di difesa dell’imputato risulti limitato per effetto della latitanza, cosa che non può verificarsi laddove, come nel caso della impugnazione, trattasi di diritto che l’imputato può esercitare personalmente, senza alcun rischio di cattura, mediante il ricorso ad una delle modalità di presentazione del gravame previste dagli artt. 582 e 583 c.p.p.”.
[17] Ai sensi del quale il “difensore di ufficio (…) può essere sostituito solo per giustificato motivo”.
[18] Secondo cui nel “caso previsto dall’articolo 97 comma 5 del codice, il difensore di ufficio che si trova nell’impossibilità di adempiere l’incarico e non ha nominato un sostituto deve avvisare immediatamente l’autorità giudiziaria, indicandone le ragioni, affinchè si provveda alla sostituzione”.
[19] In tal senso: **************, ******** 613 Cpp: non si fanno eccezioni, D&G 2006, 31, 38.
[20] Cass. pen., sez. III, 18/07/2012, n. 38137.
[21] Cass. pen., sez. un., 31/01/2008, n. 6026.
[22] In tal senso: *************, “Inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dal difensore del latitante non “cassazionista””, Cass. pen., 2006, 12, 3999.
[23] *************, “Inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dal difensore del latitante non “cassazionista””, Cass. pen., 2006, 12, 3999.
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