La Corte di Cassazione, con la sentenza 2597/2013 ha stabilito che l’invio di due SMS (Short Message System), a distanza di circa 7 giorni l’uno dall’altro, aventi ad oggetto frasi moleste ed offensive, sono sufficienti ad integrare il reato di molestia o disturbo alle persone di cui all’art. 660 cod. pen.
La vicenda riguarda una donna che riceve dalla cognata due SMS, attraverso i quali quest’ultima mette la donna al corrente dei presunti tradimenti del marito, con frasi del tenore: “E’ giusto che tu lo sappia … da sempre ti fa le corna, povera cretina, sei l’unica a non saperlo, forse” e ancora “ d’altronde una mediocre come te che si aspettava? Tuo marito è un bel ragazzo e tu una befana, non ti resta che fare la cornuta contenta”.
I giudici di legittimità hanno condiviso quanto affermato dalla Corte d’Appello, secondo cui “la reiterata condotta appariva idonea a recare molestia e disturbo alla persona offesa, ponendola in una condizione di forte disagio ed alterandone in modo significativo le normali condizioni di tranquillità personale e familiare” affermando che “Non vi è dubbio che il contenuto dei due suddetti sms, inviati all’imputata dalla parte lesa, erano idonei a recare molestia e disturbo per le ragioni indicate nella sentenza impugnata.
Il reato de quo è plurioffensivo, poiché protegge, oltre la tranquillità della persona offesa, anche l’ordine pubblico, che però è sufficiente, per la sussistenza del reato, che sia messo solo in pericolo per la possibile reazione della parte offesa”.
Un passaggio interessante della pronuncia in commento è anche quello riguardante il motivo di ricorso attraverso cui la ricorrente eccepisce che la testimonianza della persona offesa sarebbe inutilizzabile non essendo stati raccolti elementi idonei a convalidare le sue dichiarazioni, e che gli Ermellini considerano destituito di fondamento.
Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti, la deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell’imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., che richiedono la presenza di riscontri esterni.
Qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi.
La deposizione della persona offesa, come ogni deposizione, è soggetta ad una valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca del teste. Ma una volta che il giudice l’abbia motivatamente ritenuta veritiera, essa processualmente costituisce prova diretta del fatto e non mero indizio, senza che abbisogni neppure di riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità. Ne deriva che, nel rispetto delle suddette condizioni, anche la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può essere anche da sola assunta come fonte di prova della colpevolezza del reo (v. Cass. pen., I sez., 24 giugno 2010 n. 29372; Cass. pen., IV sez., 18 dicembre 2009 n. 49714; Cass. pen., III sez., 23 ottobre 2008 n. 43339).
La Corte di Cassazione dichiara così inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente, oltre al pagamento delle spese processuali, al versamento di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende e al rimborso delle spese sostenute in giudizio dalla parte civile per un ammontare di euro 1.500,00.
A norma dell’art. 660 c.p. “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda fino a 516 euro”.
Il reato de quo mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l’offesa alla quiete privata e consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, interferendo nell’altrui vita privata e nell’altrui vita di relazione.
Ai fini della sua configurabilità è necessario che la condotta oltre ad essere molesta ed arrecare fastidio, sia accompagnata da petulanza o altro biasimevole motivo, e cioè l’agente abbia un comportamento pressante e indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata altrui, o comunque agisca per un motivo diverso dalla petulanza che, però, è del pari riprovevole e produce i medesimi effetti.
Sotto il profilo soggettivo, poi, il reato di molestia o disturbo alle persone richiede la coscienza e volontà di interferire in modo inopportuno nell’altrui sfera di libertà.
La disposizione in questione punisce la molestia commessa col mezzo del telefono. Sulla riconducibilità dell’invio di SMS a tale mezzo esiste una giurisprudenza contrastante.
Un primo orientamento (Cass. 18449/2005) aveva affermato che la forma scritta (e non vocale) del messaggio SMS non è in grado di integrare l’elemento tipico del reato descritto dall’art. 660 c.p.
Ciò in quanto tale condotta è considerata non idonea a ledere il bene giuridico della privata tranquillità, tenuto conto che la previsione incriminatrice è stata formulata in epoca in cui l’impiego del telefono era concepibile soltanto mediante comunicazioni vocali.
Con la sentenza n. 28680 del 1.7.2004 la Corte di Cassazione assume una diversa posizione, sostenendo che la disposizione in esame punisce la molestia commessa col mezzo del telefono, e quindi anche quella posta in essere mediante l’invio di SMS trasmessi attraverso sistemi telefonici mobili o fissi, idonei ad arrecare turbamento alla quiete e alla tranquillità psichica.
Questo orientamento è stato seguito successivamente dai giudici di legittimità con la sentenza n. 16215/2006, sull’assunto che diversamente da quanto avviene generalmente per lo strumento epistolare, il destinatario è costretto a leggere il contenuto dello Short Message System (SMS) prima di poter identificare il mittente e questo, sul piano della turbativa arrecata alla quiete e alla tranquillità psichica del destinatario, lo rende assimilabile allo strumento della comunicazione telefonica tradizionale.
La Corte di Cassazione nel 2010 con la sentenza n.24510 nel trattare un caso di molestia a mezzo di posta elettronica, ha seguito tale indirizzo al fine di escludere che l’invio di un’e-mail configuri il reato di molestia o disturbo alle persone.
Infatti, la S.C. afferma che in caso di invio di un messaggio ad un indirizzo di posta elettronica, tale reato non è ipotizzabile, in quanto non si verifica alcuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario, né sussiste un’intrusione diretta del primo nella sfera delle attività del secondo, a differenza di quanto accade con l’invio di un SMS.
Ne deriva che l’eventuale realizzazione dell’evento di turbamento nel destinatario non potrebbe rilevare penalmente in base all’art. 660 c.p., in quanto mancherebbe un elemento essenziale della condotta descritta dalla norma, e cioè il mezzo del telefono.
Quanto detto è stato confermato anche nelle pronunce della Cassazione n. 10983 del 22.2.2011 e Cassazione n. 44855 del 16.11.2012, nelle quali è stata avvalorata la configurabilità della contravvenzione in questione nell’ipotesi di invio di Short Message System (SMS), per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi stante la immediata interazione e diretta intrusione suddetta.
Le conclusioni a cui perviene la giurisprudenza, tuttavia, sollevano alcune perplessità: non convince il rilievo secondo cui l’invio di SMS è idoneo ad integrare la condotta incriminatrice in quanto il relativo destinatario non può individuarne il mittente senza leggerlo e, quindi, sottrarsi alla loro percezione. In realtà, spesso l’identità del mittente può essere conosciuta prima e senza procedere all’apertura del messaggio.
Inoltre, il progresso tecnologico fa passi da gigante e ad oggi esistono telefoni che, con modalità sincrona, consentono di segnalare l’arrivo di sms ed e-mail con un avvertimento acustico.
Così ragionando, anche i messaggi di posta elettronica appaiono contemplabili nel fatto di cui all’art. 660 c.p., considerato che i telefoni cellulari di ultima generazione consentono di inviare e-mail e, perciò, di equiparare totalmente questo tipo di messaggio agli SMS.
Dunque la giurisprudenza non è univoca nel tracciare i confini della norma che punisce il reato di molestia o disturbo alle persone. Non è da escludere che, tenuto conto anche e soprattutto delle continue innovazioni tecnologiche, si sviluppino nuove linee interpretative o finanche una rivisitazione della materia ad opera del legislatore.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento