La domanda risarcitoria è fondata, e può essere accolta, per quanto di ragione.
Una volta appurata l’esistenza di una condotta dell’amministrazione (l’esclusione dalla gara) dalla quale alle ricorrenti è derivato, almeno in astratto, un pregiudizio (la perdita dell’aggiudicazione), il controllo del giudice deve essere esteso innanzitutto alla sussistenza dell’elemento soggettivo, che valga a qualificare la fattispecie in termini di illecito.
Nel caso in esame, invero, è indiscutibile che – anche rimanendo ancorati ai tradizionali confini della responsabilità aquiliana, come adattati alla materia degli appalti pubblici dalla giurisprudenza nazionale (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144) – il comportamento dell’Azienda ospedaliera della Provincia di Lodi debba essere qualificato come colposo, non ricorrendo alcuna delle ipotesi (contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, incertezza normativa, rilevante complessità del fatto) che ostino all’operatività della presunzione derivante dall’acclarata illegittimità dell’impugnato provvedimento di aggiudicazione. La chiarezza della previsione di bando e delle regole violate dalla stazione appaltante consente, infatti, di escludere in radice la scusabilità dell’errore nel quale l’amministrazione resistente è incorsa.
Va altresì evidenziato, ad ulteriore conferma degli evidenti profili di colpa ravvisabili nel comportamento complessivo tenuto dall’Amministrazione, qualificabile come affrettato ed imprudente, che la resistente ha consentito l’esecuzione della delibera di aggiudicazione della gara relativa al lotto n. 2 (delibera del 6 giugno 2006), stipulando il relativo contratto con la controinteressata, nonostante la pendenza della decisione di merito del TAR con riferimento al lotto n. 1 (per profili che coinvolgevano i presupposti di aggiudicazione anche del lotto n 2), la successiva conoscenza dell’esito sfavorevole di tale giudizio (sentenza depositata in data 26 giugno 2006) e una lettera di invito a non dare seguito all’esecuzione del contratto ricevuta prima dell’11 luglio 2006 dalla ricorrente stessa.
Quanto alla sussistenza dell’evento di danno – sicuramente da riconoscersi nel caso di specie -, è evidente che la ricorrente, in qualità di seconda classificata nella graduatoria stilata al termine della gara, era portatrice della legittima pretesa all’aggiudicazione, e che la stessa è stata lesa dalla aggiudicazione illegittimamente assentita alla controinteressata, con diretta privazione del medesimo bene della vita ai danni del soggetto che aveva titolo a conseguirlo.
La posizione di seconda classificata, detenuta dalla ricorrente, esclude che possa accedersi alla tesi della resistente in ordine al fatto che il danno risarcibile non possa oltrepassare il ristoro delle mera perdita di chance. Come evidenziato dalla stessa sentenza emessa in sede di appello dal Consiglio di Stato sulla vicenda gemella a quella odierna, la giurisprudenza risulta consolidata nell’orientamento di riconoscere il danno da perdita di chance in caso di illegittima privazione della mera possibilità di partecipare ad una gara di conseguire l’aggiudicazione, mentre il danno subito dalla concorrente collocatasi seconda della graduatoria deve generalmente essere risarcito con riferimento all’ammontare del mancato utile che avrebbe conseguito svolgendo il servizio, perché di tale entità è il bene della vita di cui il soggetto è stato privato.
Passaggio tratto dalla sentenza numero 997 del 4 aprile 2012 pronunciata dal Tar Lombardia, Milano
Venendo, quindi, al piano del danno risarcibile in concreto, quanto all’utile ritraibile dall’esecuzione dell’appalto, la ricorrente invoca, in via principale, l’applicazione in via equitativa del noto criterio presuntivo in forza del quale il risarcimento dovrebbe essere commisurato al 10% del prezzo a base d’asta, desunto dall’art. 345 della legge n. 2248/1865. La più recente giurisprudenza, cui il collegio ritiene di conformarsi, ha tuttavia posto in luce come detto criterio, pur tradizionalmente invalso, non debba costituire oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, non potendo il risarcimento risolversi nell’attribuzione, in favore dell’impresa danneggiata, di un vantaggio superiore a quello che essa avrebbe effettivamente conseguito dall’esecuzione del contratto. Ne consegue che la equa quantificazione del danno implica, se non la prova rigorosa dell’utile, pretesa da un indirizzo ancora minoritario (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 dicembre 2010, n. 8646), quantomeno che al criterio forfettario del dieci per cento si applichino gli opportuni correttivi, che tengano conto in primo luogo dell’aliunde perceptum vel percipiendum, trasferendo sul danneggiato l’onere di dimostrare di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi e di aver osservato, nel fare ciò, una condotta incolpevole (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 settembre 2010, n. 7004).
Tale prova non è stata fornita dalla società ricorrente, la quale si è limitata a far valere la certezza dell’aggiudicazione perduta, producendo a tal fine un conteggio forfetario sull’utile che avrebbe conseguito. Reputa perciò il tribunale che il risarcimento non possa essere riconosciuto nella misura richiesta, ma debba essere equitativamente parametrato al 3% dell’importo a base d’asta, al netto del ribasso offerto dalla società ricorrente.
L’importo così ricavato, da calcolare soltanto su di un arco temporale di 36 mesi, con esclusione dunque delle proroghe disposte nelle more della nuova assegnazione, dovrà comunque essere contenuto, se possibile, nei limiti dell’utile effettivamente conseguito nello stesso periodo, a fronte del servizio offerto, dall’aggiudicataria Cooperativa sociale e di lavoro operatori associati a r.l. (OSA), come risultante dalle scritture contabili o altra documentazione di riferimento nella disponibilità di tale cooperativa.
La somma che il debitore dovrà liquidare a favore del creditore sarà infine attualizzata in conformità al prospetto di conteggio prodotto dalla ricorrente in corso di causa (documento n. 8 depositato in data 11 gennaio 2012).
Ai sensi dell’art. 34 comma 4 del d.lgs. n. 104/2010, l’Amministrazione convenuta dovrà quindi proporre alla società ricorrente, entro il termine di giorni 45 dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, o dalla notifica di essa a cura della parte, se anteriore, il pagamento di una somma stabilita in base ai criteri sopra indicati, da eseguire entro il successivo termine di 30 giorni, a titolo di risarcimento del danno per equivalente.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento