Massima |
Sul tema dei benefici previdenziali esposti all’amianto, ai fini del riconoscimento della maggiorazione del periodo contributivo, è necessaria la verifica se vi sia stato il superamento della concentrazione media della soglia di esposizione all’amianto di 0,1 di fibre per centimetro cubo, avuto riguardo al valore medio giornaliero su otto ore al giorno ed in relazione ad ogni anno utile compreso nel periodo contributivo ultradecennale in accertamento. |
1. Premessa
Nella decisione in commento del 12 dicembre 2012, n. 22858 i giudici della Corte di Cassazione hanno precisato che in tema di Sul tema dei benefici previdenziali esposti all’amianto, ai fini del riconoscimento della maggiorazione del periodo contributivo, è necessaria la verifica se vi sia stato il superamento della concentrazione media della soglia di esposizione all’amianto, ai fini del riconoscimento della maggiorazione del periodo contributivo (1), applicabile ratione temporis, è necessario verificare se vi sia stato il superamento della concentrazione media della soglia di esposizione all’amianto (2), quale valore medio giornaliero (su 8 ore al giorno), con riguardo ad ogni anno utile compreso nel periodo contributivo ultradecennale in accertamento e non, al contrario, facendo riferimento a tutto il periodo globale di rivalutazione.
Ciò in quanto è da ritenersi il parametro annuale (3) quale riferimento ragionevole tecnico al fine di determinare il valore medio e tenendo, altresì, in considerazione, che il beneficio è riconosciuto per periodi di lavoro correlati all’anno.
2. La fattispecie
Il ricorrente, con unico motivo di ricorso, relativo alla violazione della legge n. 257/1992 (4) chiede la cassazione della sentenza con cui la Corte di Appello aveva respinto la domanda nei confronti dell’INPS di riconoscimento della maggiorazione contributiva utile ai fini pensionistici, a causa della esposizione nei luoghi di lavoro all’aspirazione di fibre di amianto durante il periodo di lavoro per svariati anni.
L’art. 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), reca una disciplina fortemente innovativa del beneficio di cui all’art. 13, comma 8, d.lgs. 257/1992, quanto all’oggetto della prestazione previdenziale (il coefficiente di rivalutazione dei contributi diminuisce da 1,5 a 1,25; la rivalutazione incide sulla misura della pensione, ma non più sui requisiti per conseguirla); quanto al regime di incompatibilità con altre provvidenze analoghe; quanto ai requisiti per ottenere il beneficio (periodo non inferiore a 10 anni -non più ultradecennale- di esposizione all’ amianto in concentrazione media annuale non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno); quanto al procedimento amministrativo (si contempla una domanda da presentare entro un termine di decadenza all’Inail, Istituto al quale è conferita la funzione di accertare e certificare la sussistenza e la durata dell’esposizione, come già era stato disposto dall’art. 18, comma 8, della legge 31 luglio 2002, n. 179). Sebbene lo stesso art. 47 avverta che la nuova disciplina dell’oggetto della prestazione e dei requisiti per conseguirla trova applicazione dalla data del 1° ottobre 2003, l’individuazione del discrimen ratione temporis appariva problematica: nella legge si diceva, da una parte, che la riduzione quantitativa dei benefici si applicava anche ai lavoratori che avevano già ottenuto certificazione dall’Inail; dall’altra, che questi stessi lavoratori, avevano l’onere di presentare ugualmente domanda all’Inail nel termine di decadenza.
Alle domande formulate dal ricorrente resisteva l’INPS con controricorso.
Con la sopra citata Legge n. 257 del 1992, articolo 13, comma 8 era stata prevista la c.d. rivalutazione contributiva per i lavoratori esposti all’aspirazione di fibre di amianto.
Il Decreto Legge n. 269 del 2003 aveva subordinato tale beneficio all’avvenuta esposizione, per un periodo non inferiore a dieci anni, all’amianto “in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno”.
L’impugnata sentenza aveva accertato che “unicamente nel periodo dal 1 aprile 1970 al 30 aprile 1978 il ricorrente era stato esposto all’amianto in concentrazione superiore alle 100 fibre/litro, mentre successivamente la concentrazione era stata inferiore alla soglia indicata.
I giudici dell’appello avevano escluso che in tale situazione il decennio potesse essere raggiunto con una ponderazione che interessi l’intero periodo 1970-1988, per cui i singoli anni di più intensa… esposizione alle fibre del minerale andrebbero a incrementare il periodo di più bassa concentrazione annuale”.
3. Giurisprudenza
Il contenuto precettivo della Legge n. 257 del 1992, articolo 13, comma 8, come succ. mod. dal Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326: “per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto gestita dall’INAIL è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche per il coefficiente di 1,5” non consente di procedere ad un’interpretazione che estenda in modo illimitato l’applicazione dello stesso. Cassazione Civile, Sez. 6, Ordinanza 17 dicembre 2012, n. 23257.
L’art. 13, comma 8, L. n. 257/92 secondo cui i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’Inail, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5, si applica ai lavoratori che abbiano svolto, entro il 2 ottobre 2003, attività lavorativa con esposizione ultradecennale all’amianto.
Resta pertanto esclusa l’applicabilità della meno favorevole disciplina di cui all’art. 47 D.L. n. 269/2003, secondo cui a decorrere dal 1° ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall’articolo 13, comma 8, della L. 27 marzo 1992, n. 257, è ridotto da 1,5 a 1,25 e lo stesso si applica ai soli fini della determinazione dell’importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime. Trib. Terni, 8 maggio 2009, in Lav. nella giur., 2009, 850.
In materia di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, ai fini del riconoscimento della maggiorazione del periodo contributivo ai sensi della Legge 27 marzo 1992, n. 257, articolo 13, comma 8 occorre verificare se vi sia stato il superamento della concentrazione media della soglia di esposizione all’amianto di 0,1 fibre per centimetro cubo, quale valore medio giornaliero su otto ore al giorno, avuto riguardo ad ogni anno utile compreso nel periodo contributivo ultradecennale in accertamento e non, invece, in relazione a tutto il periodo globale di rivalutazione, dovendosi ritenere il parametro annuale quale ragionevole riferimento tecnico per determinare il valore medio e tenuto conto, in ogni caso, che il beneficio è riconosciuto per periodi di lavoro correlati all’anno”. Cass. civ., 26 febbraio 2009, n. 4650.
Sono esclusi dal beneficio per esposizione all’amianto solo i titolari di pensione di invalidità con decorrenza anteriore all’entrata in vigore della L. n. 257/92, i quali – prima di tale data – avessero sia compiuto l’età pensionabile, sia proposto domanda per trasformare la prestazione in godimento in pensione di vecchiaia e avessero, sempre prima dell’operatività della L. n. 257/92, tutti i requisiti per godere della pensione di vecchiaia medesima. Cass., 15 aprile 2009, n. 8915, in Lav. nella giur., 2009, 841.
Il beneficio della retribuzione, ai fini pensionistici, del periodo contributivo per esposizione ultradecennale al rischio amianto non compete al lavoratore pensionato prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 196/93, conv. in L. n. 271/93, dato che, secondo il testo dell’art. 13, comma 8, L. n. 257/92, prima della modificazione apportata dal suddetto decreto legge, il beneficio competeva solo “ai lavoratori occupati in imprese che utilizzano ovvero estraggono amianto, impegnate in processi di ristrutturazione…” ed era, così, legato all’attività dell’impresa e non al lavoro svolto dai dipendenti. Corte app. Milano, 12 gennaio 2007, in Lav. nella giur., 2007, 1045.
In tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, l’art. 3, comma 132, della legge 24 dicembre 2003 n. 350, che – con riferimento alla nuova disciplina introdotta dall’art. 47, comma 1, del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269 (convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003 n. 326) – ha fatto salva l’applicabilità della precedente disciplina, di cui all’art. 13 della legge 27 marzo 1992 n. 257, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano già maturato i diritti ai benefici previdenziali in base a tale ultima disposizione, o abbiano avanzato domanda di risarcimento all’INAIL od ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la medesima data, va interpretato nel senso che:
a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione;
b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva. Cass. civ., 18 novembre 2004, n. 21862, in Dir. e prat. lav., 2005, 1124.
L’attribuzione del beneficio eccezionale di cui all’art. 13, comma ottavo, L. 27 marzo 1992, n. 257, come modificato dall’art. 1, comma, D.L. 5 giugno 1993, n. 169, e dalla successiva legge di conversione 4 agosto 1993, n. 271, presuppone l’adibizione ultradecennale del lavoratore a prestazioni comportanti, per il lavoratore medesimo, un effettivo rischio morbigeno, a causa della presenza nei luoghi di lavoro di una concentrazione di fibre di amianto che, per essere superiori ai valori limite indicati nella legislazione prevenzionale di cui al D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, e successive modifiche, rende concreta la possibilità del manifestarsi delle patologie che la sostanza è in grado di generare. Corte d’appello Bari, 5 novembre 2002, in Lav. nella giur., 2003, 383.
Manuela Rinaldi
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti.
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(1) Ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 13, comma 8, della L. 27 marzo 1992, n. 257.
(2) Ovvero 0,1 fibre per centimetro cubo.
(3) Considerato in maniera esplicita dalle disposizioni successive che hanno riformato la materia.
(4) Nello specifico l’articolo 9 e articolo 13, comma 8, come modificato dalla legge n. 271/1991 e D.L. n. 269/2003 – articolo 47 – convertito nella legge n. 326/2003.
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