La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 3182 del 1 marzo 2012, ha annullato il provvedimento di sospensione cautelare dall’esercizio della professione, emesso da un Consiglio dell’Ordine territoriale nei confronti di un avvocato, inquisito in sede penale per reati di tipo associativo-mafioso e di altri a questi strumentali.
Il Consiglio Nazionale Forense aveva respinto il ricorso presentato dal professionista, affermando che la misura cautelare era stata correttamente adottata.
Avverso tale decisione, l’avvocato propone impugnazione innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Egli lamenta che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente, acquisiti l’ordinanza di custodia cautelare e il decreto di rinvio a giudizio emessi nei suoi confronti, aveva disposto la sospensione in via cautelare dall’esercizio della professione forense a tempo indeterminato, senza averlo convocato né tanto meno ascoltato, violando palesemente le regole dettate dal r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 (Ordinamento della professione di avvocato).
L’articolo 43, comma 3, della Legge professionale forense prevede che “La sospensione dall’esercizio della professione è dichiarata dal Consiglio dell’Ordine sentito il professionista, e al comma 4 che il “Il Consiglio può pronunciare, sentito il professionista, la sospensione dell’avvocato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale o contro il quale sia stato emesso ordine di comparizione o di accompagnamento”.
Dunque, anche nel procedimento disciplinare, analogamente a quanto accade in sede penale, viene sempre garantito all’incolpato il diritto di essere convocato ed esporre le sue difese innanzi al suo giudice naturale, che è soltanto il plenum del Consiglio dell’Ordine.
La ratio risiede nell’esigenza di garantire i diritti costituzionalmente tutelati del rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa.
All’interno del procedimento disciplinare, l’audizione dell’incolpato è quindi adempimento essenziale, la cui violazione determina la nullità insanabile del relativo procedimento.
La Suprema Corte, per tali ragioni, ha dichiarato l’illegittimità della sospensione e l’annullamento del relativo provvedimento.
E’ attraverso il procedimento disciplinare che i Consigli professionali esercitano il potere-dovere di vigilare affinché gli avvocati adempiano il loro mandato con lealtà, onore, probità e diligenza e si comportino in maniera decorosa e dignitosa. Ne discende il potere-dovere di sanzionare le relative mancanze all’esito di un procedimento che pertanto deve essere giusto, realizzando i Consigli una funzione di interesse generale, che coincide con l’interesse di ogni avvocato e dell’Ordine nel suo complesso.
Il procedimento disciplinare si articola essenzialmente in tre fasi:
a) Una fase preliminare in cui il processo disciplinare inizia o d’ufficio o su istanza della parte interessata, ovvero su richiesta del Pubblico Ministero.
Pervenuta al Consiglio dell’ordine la notizia che può dare impulso al procedimento, questi provvede ad una sommaria istruttoria sui fatti, al fine di valutarne la fondatezza e la rilevanza, nonché la propria competenza a decidere.
L’art. 38 della Legge professionale forense sancisce che la competenza appartiene tanto al Consiglio dell’Ordine che ha la custodia dell’albo in cui il professionista è iscritto, quanto al Consiglio nella giurisdizione del quale è avvenuta il fatto per cui si procede, ed è determinata di volta in volta sulla base del criterio della prevenzione.
Nel caso di conflitto di competenze, la decisione spetta al Consiglio Nazionale Forense.
b) Una fase istruttoria nella quale il Consiglio può assumere ogni elemento necessario a valutare i fatti, previa comunicazione della contestazione all’inquisito (medesimo diritto alla comunicazione spetta anche al P.M.)
Il Consiglio, in ossequio al principio del contraddittorio, deve necessariamente ascoltare il professionista, il quale può produrre istanze, documenti e deduzioni.
Tutte le attività che il Consiglio compie vengono verbalizzate, e terminata l’istruzione, lo stesso può decidere per l’archiviazione ovvero per il rinvio a giudizio.
Qualora venga disposto il rinvio a giudizio, il Presidente del Consiglio dell’Ordine notifica all’incolpato la data di fissazione del dibattimento, concedendogli un termine di comparizione non inferiore a dieci giorni ed ordinandone la citazione con un atto che deve essere notificato anche al P.M.
L’apertura del procedimento disciplinare è dichiarata con una delibera che individua la data d’inizio dello stesso e che rileva ai fini della valutazione della prescrizione dell’azione disciplinare, che è di cinque anni dalla cessazione del comportamento o dal compimento del fatto.
E’ riconosciuto all’incolpato il diritto di ricusare i membri del Consiglio dell’Ordine specificandone i motivi in un’istanza su cui è competente a decidere il COA innanzi al quale pende il procedimento disciplinare. Avverso la decisione del COA è ammessa impugnazione al Consiglio Nazionale Forense. In ogni caso, i membri del COA hanno la facoltà di astenersi, in ogni fase e grado del giudizio.
c) Ultima fase dibattimentale e decisoria: l’udienza è presieduta dal Presidente del COA e non è pubblica. Affinché la deliberazione sia valida è necessaria la maggioranza dei membri del Consiglio. Può presenziare il P.M. e presentare le sue conclusioni.
Il consigliere incaricato apre l’udienza dando lettura della sua relazione, cui seguono l’interrogatorio del professionista, l’esame dei testimoni e le deduzioni della difesa.
Terminata la discussione, il Consiglio delibera a maggioranza e viene data lettura del dispositivo della decisione. Quest’ultima è sostanzialmente un atto di natura amministrativa (non giurisdizionale), è redatta dal consigliere relatore e deve contenere l’esposizione dei fatti, i motivi, il dispositivo, l’indicazione dell’anno, del mese e del giorno della pronuncia e la firma anche del Presidente e del segretario. Sia della fase dibattimentale che del dispositivo viene redatto verbale. La pubblicazione avviene con il deposito in segreteria e con notificazione, entro quindici giorni, al professionista e al P.M. presso il Tribunale.
Nei venti giorni successivi alla notificazione della decisione, il professionista incolpato e il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello possono proporre ricorso al CNF, presentando il relativo atto alla Segreteria del COA che ha giudicato. Sarà poi quest’ultimo a trasmettere gli atti alla segreteria del CNF (che ne dà comunicazione al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione) e comunicare al ricorrente e alle parti interessate l’avvenuto deposito degli atti.
Avverso la decisione del CNF, ogni parte del giudizio può proporre l’impugnazione davanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Nel giudizio, per quanto non previsto, si applicano le norme del processo civile innanzi alla Corte di Cassazione (art. 360 e ss c.p.c.), e deve concludersi entro novanta giorni: se la Suprema Corte dispone l’annullamento con rinvio, il Consiglio Nazionale Forense deve provvedere uniformandosi alla decisione della Corte.
Dunque, esiste una solida base normativa che, in modo chiaro e preciso, nel r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 e nel Codice deontologico forense, detta le regole essenziali per la realizzazione e la tutela di quei valori che muovono gli avvocati nell’esercizio della propria funzione. Un insieme di doveri ed obblighi, la cui inosservanza può determinare pesanti sanzioni disciplinari e al contempo diritti e facoltà la cui violazione può incidere in misura rilevante sull’onorabilità e gli interessi dello stesso professionista, e che perciò trovano salda protezione nell’imprescindibile rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa, che ove violati non lasciano spazi di legittimità, come nel caso su cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate.
In definitiva, nel procedimento disciplinare a carico di un avvocato è sempre necessaria la convocazione del professionista per l’adozione di qualsivoglia provvedimento disciplinare, anche se in forma provvisoria, davanti al Consiglio dell’Ordine di appartenenza. Il principio di cui all’art. 45 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, secondo cui il Consiglio dell’ordine territoriale non può infliggere nessuna pena disciplinare senza che l’incolpato sia stato citato a comparire davanti ad esso, assume valenza di un principio generale, volto a garantire lo svolgimento di un procedimento equo.
Il principio del contraddittorio esprime la garanzia di giustizia secondo la quale nessuno può subire gli effetti di una sentenza, in questo caso di una decisione, senza avere avuto la possibilità di essere parte del procedimento da cui la stessa proviene, ossia senza aver avuto la possibilità di un’effettiva partecipazione alla formazione del provvedimento.
La regolare costituzione del contraddittorio è un principio fondamentale del processo civile, tributario, penale ed amministrativo che scaturisce dall’articolo 111 della Costituzione italiana, il quale stabilisce che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti”.
In particolare, ciò significa che ciascuna parte deve essere messa in condizione di conoscere ogni richiesta e deduzione dell’altra parte e di formulare le proprie osservazioni in proposito, come concesso alla parte attrice.
Il principio del contraddittorio è così importante poiché consente a ciascuna delle parti di presentare alle altre e al giudice l’insieme dei dati ritenuti più idonei al sostegno della propria tesi, interloquendo su analoghi elementi presentati dalle altre parti. Tale concetto postula che alle parti sia riconosciuta parità di armi ed diritto di difesa (personale e tecnica), intesi come possibilità effettiva di partecipazione alla formazione del provvedimento giurisdizionale.
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