Può essere adesso esaminata la questione concernente la misura del risarcimento.
Non può essere accolta la pretesa della ricorrente di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta. La Sezione aderendo alla più recente giurisprudenza ( cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 16 settembre 2011, n. 5168 e Cons. e 18 marzo 2011, n. 1681) ha già affermato che il criterio del 10% del prezzo a base d’asta -se pure è in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l’utile che un’impresa ritrae dall’appalto – non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, poiché rischierebbe di rendere il risarcimento dei danni più favorevole per l’imprenditore dell’impiego del capitale: appare allora preferibile l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto.
Nella specie, tale prova non risulta fornita, per cui, in mancanza di ogni supporto probatorio, non può trovare applicazione il criterio di quantificazione invocato, col rischio che il risarcimento riconosciuto potrebbe essere superiore al danno patito e potrebbe essere più favorevole all’imprenditore dell’impiego del capitale investito, ciò in contrasto con la stessa nozione di risarcimento, ossia di ripristino della situazione patrimoniale lesa dall’inadempimento (Cons. Stato,sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3144). In tal modo, l’operatore economico illegittimamente escluso da una gara non avrebbe più interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe di meno, sicché appare preferibile l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5098; 13 giugno 2008 n. 2967 e 5 aprile 2005, n. 1563).
Al riguardo, la Sezione ritiene di condividere l’orientamento espresso della più recente giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 2011, n. 1193 e Sez. VI, 21 settembre 2010 n. 7004), secondo cui in difetto della effettiva e concreta prova del danno nei termini sopra descritti, è da ritenere – secondo l’id quod plerumque accidit – che l’impresa “in quanto soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili- normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative che dalla cui esecuzione trae utili”. (Cons. Stato, sez VI, 15 febbraio 2011, n. 16819).
Inoltre, il principio della “prova rigorosa”, costantemente affermato dalla giurisprudenza, trova oggi espressa conferma nell’art. 124 del D.Lgs. 104/2010, che, nel rito degli appalti, prevede il risarcimento del danno (per equivalente) “subito e provato”.
Tratto dalla sentenza numero 1122 del 24 aprile 2012 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania
In conclusione, nella fattispecie in esame – avuto riguardo al fatto che la ricorrente non ha assolto l’onere di provare l’ammontare effettivo del danno conseguito a seguito dell’illegittima esclusione dalla gara di cui in causa, l’importo del risarcimento dovuto in suo favore va individuato, in via equitativa, nella misura del 5% dell’offerta economica prodotta in gara dalla stessa. Sulla somma corrisposta a titolo di risarcimento del danno ingiusto causato dalla stazione appaltante in conseguenza dell’irregolare svolgimento della gara dovrà, infine, essere computata la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, dalla data della stipula del contratto con l’impresa che è risultata illegittimamente aggiudicataria fino a quella di deposito della decisione del giudice del risarcimento, data quest’ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta; sulle somme rivalutate non si devono invece aggiungere gli interessi, atteso che altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto nel caso di assegnazione dell’appalto (Consiglio Stato, sez. V, 30 luglio 2008, n. 3806). Spettano, invece, gli interessi nella misura legale dalla data della pubblicazione della presente decisione, fino all’effettivo soddisfo.
La società ricorrente richiede altresì il danno curriculare da mancato conseguimento della classifica VI nella cat. OG 11 e da perdita di know how e di migliori chances lavorative. Tale danno deve essere riconosciuto, in relazione alla circostanza che la ricorrente ha compiutamente provato che proprio in ragione della mancata esecuzione dei lavori illegittimamente aggiudicati alla ATI Arcobaleno 3000, non ha potuto conseguire la classifica VI nella OG 6 e deve essere ristorato nella misura del 3% della base d’asta decurtata del ribasso offerto dalla ricorrente, oltre interessi e rivalutazione, per come precisato sub 4.1.
In conclusione, nei limiti sopra precisati, la domanda di risarcimento del danno va accolta con conseguente condanna del Consorzio per l’area di Sviluppo Industriale del Calatino alla liquidazione in favore dell’impresa ricorrente della somma corrispondente al 5% dell’offerta economica prodotta in gara dalla stessa (base d’asta decurtata del ribasso offerto) a titolo di lucro cessante e della somma corrispondente al 3% dell’offerta economica prodotta in gara dalla stessa (base d’asta decurtata del ribasso offerto) oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, e gli interessi dalla data della pubblicazione della presente decisione, fino all’effettivo soddisfo.
L’amministrazione resistente deve, pertanto, provvedere alla relativa determinazione secondo la previsione di cui all’art. 34, comma 4, prima parte c.p.a. entro il termine di 120 giorni decorrenti dalla notificazione o comunicazione della presente decisione; solo in caso di mancato accordo si provvederà alla liquidazione in via giudiziale secondo quanto stabilito dallo stesso art. 34, comma 4, seconda parte c.p.a.
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