Integra il reato di violenza sessuale, ex art. 609 bis c.p., la condotta di colui che prosegua un rapporto quando il consenso della vittima, originariamente prestato, venga meno a causa di un ripensamento o della non condivisione della modalità di consumazione dello stesso.
Il consenso della fidanzata agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto, senza soluzione di continuità, anche in presenza di rapporti sessuali particolari, di tipo sadomaso, solitamente avuti con il partner per i quali, in ogni momento, si deve ritenere l’obbligo di verificarne la persistenza.
In sostanza, difetterebbe l’elemento della soggezione psicologica, necessario ai fini della sussistenza della fattispecie, purchè si provi l’assenza di un’attività di coazione, attuata sotto minaccia e diffusione di immagini a carattere sessuale.
In realtà, secondo questa Corte, le condizioni in cui tali atti sessuali venivano posti in essere impedivano alla persona offesa di opporsi in qualunque modo, vittima di una prevaricazione nel rapporto di coppia, dettata dallo stato di superiorità dell’agente che, violando il diritto al libero esercizio delle facoltà e qualità sessuali, offendeva la libertà personale della minore, abusando della condizione di inferiorità fisica e psichica mediante comportamenti sessuali estremamente violenti, espressione di un desiderio di dominio.
Così la Suprema Corte ha condiviso la decisione dei giudici di merito escludendo che potesse assumere rilievo un consenso al rapporto sessuale originariamente prestato e successivamente venuto meno, condannando l’uomo per violenza sessuale e stalking, ex art. 612 bis c.p., perché con condotte reiterate minacciava, perseguitava e molestava la ragazza, all’epoca minore, in modo da cagionarle un perdurante stato d’ansia e di paure.
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