La legge n. 91 del 1992 disciplina le modalità di acquisto della cittadinanza italiana derivante sia dallo ius sanguinis che dallo ius soli.
Tralasciando l’acquisto della cittadinanza per nascita (isu sanguinis),per i minori adottati e per gli stranieri o apolidi che vantano un’ascendente in linea retta, anche di secondo grado, ci soffermeremo sullo ius soli sul procedimento amministrativo di acquisto della cittadinanza.
L’art. 7, L. 91 del 1992, prevede che la cittadinanza italiana si acquista tramite decreto del Ministero dell’Interno, emesso a istanza dello straniero interessato presentata al sindaco del Comune o presso l’autorità consolare.
Il Ministero dell’Interno, per tramite della Prefettura territoriale, decide in merito al rigetto o all’accoglimento dell’istanza sulla base di determinati criteri valutativi, espressamente previsti dall’art. 6 della suddetta legge.
In particolare, le cause ostative all’accoglimento dell’istanza sono l’aver riportato condanne penali per aver compiuto delitti dolosi o non colposi, con una pena superiore ai tre anni,la “sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica”.
A fronte dell’esistenza di una di queste condizioni, il Ministero dell’Interno respinge l’istanza, che potrà essere ripresentata solo dopo un ulteriore periodo di cinque anni dall’emanazione del provvedimento di rigetto.
E’ chiaro, dunque, che, oltre ai limiti oggettivi dell’esistenza di sentenze di condanna penali in capo all’istante, il Ministero dell’Interno gode di ampissima discrezionalità nel valutare “la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.”
Ed infatti, la consolidata giurisprudenza amministrativa riconosce come atto discrezionale l’atto concessorio (o denegatorio) di cittadinanza perché costituisce atto di c.d. “alta amministrazione” (C.d.S., sez. VI, 4862/2010)
L’atto, pertanto, pur sottostando ai requisiti della legge sul procedimento amministrativo, L. 241/1990, gode di una certa “intangibilità” giudiziaria in quanto, contenendo una valutazione di opportunità politico-amministrativa altamente discrezionale (TAR Piemonte, 1336/2012), il controllo demandato al giudice, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un danno, dedotto con sufficiente supporto istruttorio, e della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (TAR Roma, 5665/2012).
Il giudice, in breve, non può entrare nel merito del fatto storico o della valutazione di opportunità politico-amministrativa che l’Amministrazione ha compiuto, perché tali considerazioni rientrano negli ampi poteri discrezionali che la P.A. possiede e che dovrebbero, sempre e comunque, essere orientati all’effettuazione delle scelte migliori possibili per l’attuazione dell’interesse pubblico nel caso concreto (C.d.S. 5913/2011) .
Il giudice amministrativo dovrà solo verificare la legittimità del procedimento e l’esistenza dell’atto e di una motivazione non abnorme e/o irragionevole.
La motivazione del provvedimento, però, non essendo valutabile i fatti storici e di diritto posti a fondamento né, ovviamente, l’opportunità politica-amministrativa, facilmente risulterà ragionevole e logica proprio perché il giudice non entrerà nel merito dell’intero procedimento né del provvedimento.
Inoltre, la motivazione del diniego, stante l’ampia discrezionalità esercitata, non necessita neanche di una dettagliata esternazione dei fatti e delle circostanze apprezzate nel procedimento decisionale (TAR Lombardia- Milano, 281/2010)
La pubblica amministrazione valuta, di solito, i motivi inerenti la sicurezza della Repubblica, sanciti dall’art. 6, L. 91/1992, attraverso elementi indiziari (un elemento non meramente certo ma più o meno presumibile e, comunque, suscettibile di qualsivoglia valutazione) quali : le frequentazioni dello straniero (trans ? poveri ? drogati ? spacciatori ? prostitute ?, elemento alquanto moralizzante e che dovrebbe essere irrilevante) , informative con classifica di “riservato” (cioè, nemmeno conosciute e conoscibili dall’istante), l’inserimento sociale, l’integrazione, lo stabile inserimento dell’istante nella comunità nazionale, l’irreprensibilità della condotta, le relazioni familiari, economiche e sociali, “l’assimilazione dei relativi valori nazionali (C.d.S. 55/2011)”.
A far breccia nella coltre intangibile del procedimento e del provvedimento di concessione di cittadinanza è giunto, finalmente, con fermezza e prudenza, il Consiglio di Stato che in una sua recentissima sentenza ha ribaltato la giurisprudenza passata.
Un cittadina ghanese, dopo oltre ventidue anni di residenza in Italia, presente istanza di cittadinanza presso il Ministero dell’Interno nel novembre del 2008.
Nel gennaio del 2011 (quasi 3 anni dopo la presentazione) la P.A. comunica all’istante il rigetto della richiesta di cittadinanza.
Il rigetto è stato motivato in relazione ad un decreto penale emesso dal GIP nel 2007, un anno prima della presentazione dell’istanza e quasi cinque anni prima dalla comunicazione del rigetto, recante la condanna dello straniero per guida in stato di ebbrezza.
Il cittadino ghanese ha impugnato il provvedimento di rigetto davanti al TAR di Roma che ne ha, però, respinto il ricorso.
In seguito ha presentato appello contro la sentenza del TAR Lazio davanti al Consiglio di Stato, sezione terza, che ha accolto l’appello con sentenza numero 2920/2013 del 28 Maggio 2013.
Il ricorrente ha proposto appello rilevando che : 1) la P.A. ha valutato in modo incongruo e discrezionale la situazione complessiva dell’istante; 2) la P.A. ha fondato il suo provvedimento di rigetto sulla generica motivazione del decreto penale di condanna a carico dell’istante (reato contravvenzionale e non rientrante nei casi tassativi previsti dall’art. 6, l. 91/1992) che, nel frattempo, si era già estinto.
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso riuscendo a penetrare nel merito del procedimento e del provvedimento e nella valutazione politico-amministrativa di motivi di sicurezza della Repubblica, di norma, intangibili.
Infatti, il Consiglio ha statuito che l’ampia discrezionalità della P.A. in tema di concessione di cittadinanza, e l’uso relativo della potestà discrezionale, deve fondarsi su parametri di ragionevolezza e di proporzionalità e che , la valutazione discrezionale sull’integrazione dello straniero nel tessuto sociale della Repubblica deve tener conto degli illeciti penali commessi nel periodo in cui dimora in Italia, ma non può prescindere dalla valutazione della gravità della vicenda penale, a fronte di ogni altro comportamento del soggetto.
Nel merito ha ritenuto di non rilevante gravità la guida in stato di ebbrezza che, nel caso che occupa, non ha causato feriti né incidenti e costituisce come un caso isolato e risalente a prima della presentazione dell’istanza di cittadinanza.
Il Consiglio di Stato termina prevedendo che la P.A. deve motivare il rigetto basandosi su una valutazione globale della persona, poiché la valutazione discrezionale non è assistita da canoni di adeguatezza e proporzionalità, e quindi spetta alla P.A. fornire tutti gli elementi di fatto sulla posizione personale dell’istante e valutarli alla luce del caso concreto.
Il Consiglio di Stato, comunque, riconoscendo l’ampia discrezionalità del procedimento, ha ordinato al Ministero dell’Interno di pronunciarsi nuovamente sulla vicenda, alla luce sempre di quanto statuito in sentenza.
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