La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 23866 depositata il 31/05/2013, ha stabilito un importante principio in relazione alla pena da applicare nel caso di mancata corresponsione dell’assegno di divorzio di cui all’art. 12-sexies L- 898/70.
E’ importante sottolineare, come ricordato dalla stessa Corte che, con l’introduzione della legge sul divorzio (n. 898/70), erano rimaste prive di rilevanza penale le condotte dell’ex coniuge che omettesse il pagamento dell’assegno di mantenimento stabilito dal Giudice. La lacuna è stata colmata dall’art. 21 della legge n. 74/81 attraverso al quale il legislatore ha inserito nella legge sul divorzio l’art. 12-sexies che stabilisce come “Al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall’art. 570 del codice penale”. Detto articolo, recante il titolo “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, stabilisce al primo comma che “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.” riportando però al secondo comma come “Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”. Risalente e consolidata giurisprudenza, anche a seguito del rigetto di sollevate eccezioni di legittimità costituzionale, ha stabilito che, nel silenzio della norma, andavano applicate alla mancata corresponsione dell’assegno di divorzio, le pene congiunte di cui al secondo comma dell’art. 570 c.p. in base alla somiglianza contenutistica del precetto di cui al n. 2 del secondo comma, ove viene punita la violazione di obblighi di natura economica, ed il portato dell’art. 12-sexies L. 898/70 come modificato, mentre il primo comma sanziona violazioni degli obblighi di assistenza morale (ved. Cass. Pen. sez. 6 n. 28557 del 24/06/2009; n. 18450 del 07/12/2006). A seguito di ricorso avverso sentenza della Corte d’Appello di Torino la Sesta Sezione penale, sulla base delle ampie ed articolate motivazioni poste a base del ricorso, secondo le quali si dovrebbe applicare, a tali ipotesi, il primo comma e le relative sanzioni più favorevoli all’imputato, ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite in relazione al potenziale contrasto interpretativo sull’applicazione del primo o del secondo comma dell’articolo in esame.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto fondata l’interpretazione posta a base del ricorso precisando che l’art. 12-sexies introduce fattispecie di reato omissivo proprio, la cui condotta è dettagliatamente tipizzata dalla norma, del tutto autonoma rispetto all’ art. 570 c.p., il cui richiamo riguarda solamente le sanzioni. In base a questo, in mancanza di indicazioni previste nella norma stessa, il richiamo deve ritenersi fatto all’art. 570 primo comma, ovvero alla fattispecie più favorevole all’imputato, sulla scorta del principio di proporzione e del criterio di stretta necessità della sanzione penale. La motivazione prosegue avvalorando tale tesi sulla base del fatto che, al momento dell’introduzione della riforma sul divorzio, la giurisprudenza relativa all’art. 570 c.p. era orientata nel ritenere il primo comma come fattispecie semplice, mentre il secondo come contenente due circostanze aggravanti. Apparirebbe allora illogico un richiamo diretto ad una fattispecie circostanziata che rispetto al reato-base integra un’ipotesi speciale di natura accessoria. La Corte riporta poi come, il primo comma, parli di obblighi di assistenza, ed elenca le norme di legge e la giurisprudenza civile sul punto da cui si può evincere come in tale concetto rientrino anche obblighi di tipo materiale e non solo morale. L’assegno di divorzio per il mantenimento, del resto, ha la funzione di consentire al coniuge ed ai figli di mantenere il tenore di vita precedente al divorzio, prescindendo quindi dallo stato di bisogno dei soggetti passivi ed assumendo uno spettro molto più ampio rispetto a quelli che sono identificabili strettamente come mezzi di sussistenza della famiglia, ovvero ciò che è indispensabile per vivere. Ecco allora che il ricondurre la mancata corresponsione dell’assegno di divorzio alle sanzioni di cui al secondo comma dell’art. 570 c.p., che specificamente parla di “mezzi di sussistenza”, appare, secondo la Suprema Corte giuridicamente errato. L’interpretazione contestata dalle Sezioni Unite finisce infatti per parificare, sotto il profilo sanzionatorio, il far venire meno i mezzi necessari alla famiglia per sopravvivere (che presuppone lo stato di bisogno dei soggetti passivi) con il mancato pagamento dell’assegno di divorzio, andando a parificare condotte differenti e di evidente diversa gravità.
La Corte conclude quindi la propria motivazione fissando il principio secondo cui “ « il generico rinvio, quoad poenam, all’art. 570 cod. pen. effettuato dall’ art. 12-sexies, legge 10 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 21, legge 6 marzo 1987, n. 74, deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma primo della disposizione codicistica”.
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