Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: legittimità e accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro (Cass. n. 18166/2013)

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Massima

 E’ legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che sia stato disposto dalla società a causa della chiusura dell’esercizio.

Tale circostanza è effettiva e non pretestuosa, diversamente da quanto sostenuto dai lavoratori.

 

1.     Premessa

Nella decisione in commento del 26 luglio 2013 n. 18166 i giudici della Corte di Cassazione, nella sezione lavoro, hanno ribadito la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ai prestatori di lavoro a causa della chiusura dell’esercizio, ritenendo effettiva e non pretestuosa la causa citata di recesso dal rapporto di lavoro.

 

            1.1. La fattispecie

Con ricorso dinanzi al Tribunale i ricorrenti deducevano di aver lavorato alle dipendenze di una società chiedendo l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro con dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato nei loro confronti dalla società (1).

La società si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.

Il Tribunale rigettava tutte le domande.

I lavoratori proponevano appello principale e la Corte d’Appello dichiarava la natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti, mentre confermava la pronuncia di rigetto relativamente al licenziamento.

In sede di appello la Corte condannava i lavoratori al risarcimento dei danni in favore della società; disponeva, con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per l’esame della domanda relativamente alla richiesta di pagamento delle differenze retributive.

Con sentenza definitiva la Corte condannava, poi, la società al pagamento di una somma di denaro a favore dei ricorrenti.

Avverso dette sentenze proponevano ricorso per cassazione i lavoratori sulla base di cinque motivi, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

La società resisteva con controricorso.

1) Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando violazione degli artt. 1, 3 e 5 della legge 15 luglio 1966 n. 604 nonché dell’art. 437 cod. proc. civ., deducono che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto inammissibili, perché nuove, le questioni sollevate dai lavoratori in sede di appello circa lo stato di crisi in cui si trovava l’esercizio, successivamente chiuso, e la violazione dell’obbligo di repechage (2).

2) Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deducono di avere chiesto in primo grado, reiterando la richiesta in appello, prova testimoniale – di cui riporta i relativi capitoli – al fine di dimostrare il lavoro straordinario svolto alle dipendenze della odierna resistente.

3) Con il terzo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., i ricorrenti deducono che la Corte di merito ha ritenuto arbitraria la chiusura dell’esercizio ad opera dei ricorrenti nel periodo 9-20 agosto 2000.

Rilevano che, al più, si è trattato di un inadempimento che, tuttavia, doveva considerarsi lecito, “atteso il precedente inadempimento del datore di lavoro in tema di decorrenza e di svolgimento del rapporto, sicché esso non può ritenersi produttivo di un danno ingiusto” (3).  

4) Con il quarto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2697 cod., civ., i ricorrenti deducono che non era stata provata l’esistenza del danno, onde nulla poteva essere liquidato a tale titolo alla società.

5) Con il quinto motivo i ricorrenti, denunziando motivazione carente ed illogica, rilevano che il giudice d’appello ha liquidato in via equitativa la somma di € 12.000, senza spiegare perché l’astensione dal lavoro degli stessi ricorrenti fosse illecita ed avesse determinato un danno ingiusto (4).

 

2. Conclusioni

I giudici della Corte hanno accolto il secondo motivo di appello (così come sopra citato) rigettando, invece, tutti gli altri; cassavano l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinviando, anche per la parte relativa alle spese di lite, alla Corte di Appello in differente composizione.

 

Manuela Rinaldi 
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti.

 

 

_________ 

(1) Con richiesta di differenze retributive a vario titolo.

(2) Tali questioni erano state infatti dedotte dai lavoratori per contestare le affermazioni contenute nella sentenza di primo grado nonché quanto sostenuto dalla società a sostegno della legittimità del licenziamento.

(3) Inoltre, sul punto, la sentenza impugnata non ha “convenientemente interpretato i dati probatori disponibile, male valutando la prova testimoniale”.

(4) Inoltre lo stesso giudice non ha dato conto delle ragioni che lo hanno indotto alla liquidazione equitativa.

Sentenza collegata

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