Con decisione n° 20526 del 06.09.13 la sezione tributaria della Corte di Cassazione civile uniformandosi anche ai vari dictum della Corte Europea, ha ribadito che il parere reso dall’Amministrazione, quale risposta ad interpello del contribuente, in difformità ad altro parere precedente che abbia indotto il contribuente ad assolvere l’imposta non dovuta, non costituisce un “presupposto per la restituzione”, successivo ed autonomo rispetto al mero indebito versamento dell’imposta, con la conseguenza che si deve applicare la prima parte , dell’art 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo cui la domanda di restituzione di un’imposta non dovuta in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento.
L’articolo in questione al secondo comma fissa , infatti, il termine d’impugnazione avverso il rifiuto tacito . Il ricorso in tale ipotesi, può esser presentato dopo il novantesimo giorno dalla data di presentazione dell’istanza di restituzione , che a sua volta deve esser presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta ovvero in mancanza di esplicita previsione normativa entro due anni dal pagamento .Il comma due si chiude con la previsione di un ulteriore termine di presentazione della domanda di restituzione .Qualora infatti il presupposto per la restituzione si verifichi dopo il trascorrere dei due anni dal pagamento, il termine ricomincia a decorrere da quest’ultimo momento .
Ne deriva che, in assenza di un “presupposto per la restituzione” posteriore al pagamento, idoneo a spostare la decorrenza del termine biennale di decadenza, il termine in parola non può che essere fatto decorrere, come è successo nel caso di specie , che dalla data del versamento dell’IVA,
E’ quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la suddetta sentenza, con la quale ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia dell’Entrate sostenendo che , la previsione di cui D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. d), secondo cui le operazioni di cessioni gratuite di campioni di modico valore, non sono considerate cessioni di beni e, di conseguenza, non possono essere assoggettate ad IVA, costituisce l’unico titolo legale per la restituzione dell’IVA versata indebitamente. Da ciò ne deriva che tale titolo non può esser integrato dalla risposta data dall’Amministrazione finanziaria sotto forma di parere, all’interpello del contribuente, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 11, e dalla conseguente sua conformazione alle indicazioni ivi contenute in tale parere .
A seguito del ricorso presentato in Cassazione dall’ Agenzia delle Entrate contro la società *****, vittoriosa nei primi due gradi del giudizio di merito, quest’ultima si è difesa sostenendo che l’imposta era stata assolta in conseguenza della risposta fornita dalla stessa Amministrazione finanziaria – resa in data 3.8.00 e confermata con successiva comunicazione del 2.3.01 – a specifico interpello della contribuente, con la quale l’Ufficio affermava l’assoggettabilità ad IVA delle operazioni di cessioni gratuite di campioni di modico valore.
Dopo la risoluzione n. 83/E del 3.4.03, con il quale l’Agenzia dell’Entrate aveva mutato orientamento, stabilendo che tali cessioni erano da ritenersi non assoggettabili ad IVA, ai sensi della succitata disposizione del’ art. 2, comma 3, lett. D) del Decreto n. 633/72 , la società ***** proponeva, nuovo interpello, in risposta al quale l’Agenzia delle Entrate – confermava in data 8.11.04, la risoluzione n. 83/E .
Quindi la società ***** proponeva, in data 31.3.06, istanza di rimborso dell’IVA – a suo dire – indebitamente versata, per gli anni dal 1998 al 2004, in relazione a tali operazioni di cessioni gratuite di campioni di modico valore.
Sosteneva inoltre che il termine biennale di decadenza suindicato dovesse decorrere non dalla data dell’ultimo versamento effettuato ma dalla data dell’ultimo parere reso sul caso concreto dall’Amministrazione finanziaria, ovverosia dall’ 8.11.04, anche in considerazione del legittimo affidamento della società.
La ricorrente ha ribadito invece che la CTR erroneamente ha ritenuto che il parere reso dall’Amministrazione, in sede di interpello da parte del contribuente, possa costituire un autonomo presupposto, in virtù del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, comma 2, per il diritto al rimborso di somme indebitamente versate.
Tale parere traducendosi solamente in una mera operazione ermeneutica, è insuscettibile di porsi come fonte di obblighi o di diritti autonomi e quindi, di autonomo presupposto di un diritto al rimborso che trae origine direttamente dalla legge.
Sulla base di tali considerazioni infatti la ricorrente afferma che la risposta sotto forma di parere a formale interpello del contribuente vincola esclusivamente l’Amministrazione finanziaria – come si desume dalla L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 3, a tenore del quale “qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità della risposta (….) è nullo” – ma non il contribuente, il quale, trattandosi di un mero parere emesso nell’esercizio dell’attività consultiva degli uffici finanziari, resta perfettamente libero di disattenderlo (v. C. Cost. 191/07).
In questi termini se il parere quindi può esser disatteso dal contribuente esso non può considerarsi nemmeno presupposto per la domanda di restituzione”, successivo ed autonomo rispetto al mero indebito versamento dell’imposta. La domanda di restituzione , infatti in mancanza di disposizioni specifiche non può che esser presentata dopo due anni dal pagamento in virtù del secondo comma dell’art 21, Dlgs n 546 del 92 che fissa quindi in modo inequivoco il termine d’impugnazione avverso il rifiuto tacito .
Tale punto di vista viene condiviso dalla Corte di cassazione che conferma il principio di diritto secondo cui che il dies a quo per il decorso del termine biennale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, non può essere fatto coincidere con la data di emanazione di risoluzioni o circolari dell’Amministrazione finanziaria interpretative della normativa tributaria, essendo tali atti interni certamente inidonei a determinare l’insorgenza di un diritto prima inesistente, ovvero a costituire nuovi titoli di un diritto già sussistente in forza di specifiche disposizioni di legge. (cfr. Cass. 813/05, Cass. S.U. 23031/07, Cass. ord. 23042/12).
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