Massima |
In tema di trasferimento d’azienda, l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento medesimo, in quanto meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell’art. 2112 c.c., in capo al cessionario, dovendosi escludere che osti a tale soluzione l’applicazione della direttiva 77/187/CE, la quale prevede – secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia CE (cfr. sentenze 12 marzo 1998, C-319/94, 11 luglio 1985, C-105/84, e 7 febbraio 1985, C-19/83) – che i lavoratori licenziati in contrasto con la direttiva debbono essere considerati dipendenti alla data del trasferimento, senza pregiudizio per la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori |
1. Questione
La Corte d’appello ha confermato la decisione con la quale il giudice del lavoro del Tribunale, accogliendo la domanda del lavoratore nei confronti delle due società, in quanto è stato dichiarato illegittimo il licenziamento e ha condannato entrambe le convenute società a corrispondergli in solido l’indennità supplementare.
La Corte ha spiegato la sua decisione nei seguenti termini: – Il licenziamento era stato intimato per una redifinizione delle posizioni dirigenziali a causa della soppressione del ruolo di “Responsabile delle attività Supporto & Planning”, ruolo, questo, non ricoperto più dal C. già da due mesi prima della risoluzione del rapporto, avendo egli ricevuto il nuovo incarico di “Account Manager” nella diversa area organizzativa “Design, Build & Deplof della stessa società, come provato dalla copiosa documentazione in atti, per cui la mancata menzione nella lettera di licenziamento di quest’ultimo tipo di attività lavorativa faceva ritenere che l’ufficio del personale non ne fosse venuto a conoscenza e non avesse valutato l’esito del “repechage” cui la parte datoriale era tenuta, con l’ulteriore conseguenza che non potevano essere svolte indagini circa l’asserito esito negativo della nuova assegnazione, esito che era stato indicato, tra l’altro, solo all’atto della costituzione in giudizio ad integrazione del licenziamento. La sentenza era, altresì, da confermare nella parte in cui aveva accertato il diritto del lavoratore di vedersi riconosciuta l’incidenza dei compensi variabili percepiti in via continuativa dal 1988 sull’indennità supplementare e su quella sostitutiva del preavviso, nonché sul T.F.R. per il calcolo del quale la legge, in difetto di deroga del ccnl, escludeva solo i compensi occasionali. Inoltre, la parte datoriale non aveva interposto appello sul capo della sentenza che aveva riconosciuto il risarcimento del danno subito per la decurtazione della retribuzione variabile. Non spettava, invece, il diritto all’inclusione dei contributi versati al fondo di previdenza integrativa nel calcolo degli istituti non potendo considerarsi tali contributi come componenti della retribuzione.
Viene proposto ricorso per cassazione dalla società, il quale ricorso è stato rigettato.
2. Cessionario e cedente: effetti del licenziamento del ceduto
Prima delle modifiche apportatevi dalla L. 428/1990, l’art. 2112 c.c., rubricato come “Trasferimento dell’azienda” disponeva che:
“In caso di trasferimento dell’azienda, se l’alienante non ha dato disdetta in tempo utile, il contratto di lavoro continua con l’acquirente, e il prestatore di lavoro conserva i diritti derivanti dall’anzianità raggiunta anteriormente al trasferimento.
L’acquirente è obbligato in solido con l’alienante per tutti i crediti che il prestatore di lavoro aveva al tempo del trasferimento in dipendenza del lavoro prestato, compresi quelli che trovano causa nella disdetta data dall’alienante, semprechè l’acquirente ne abbia avuto conoscenza all’atto del trasferimento, o i crediti risultino dai libri dell’azienda trasferita o dal libretto di lavoro.
Con l’intervento delle associazioni professionali alle quali appartengono l’imprenditore e il prestatore di lavoro, questi può consentire la liberazione dell’alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Le disposizioni di quest’articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di affitto dell’azienda”.
I primi tre commi di tale articolo sono stati sostituiti dall’art. 47 della L. 428/1990, (di attuazione della direttiva del Consiglio delle Comunità Europee n. 77/87 del 14 febbraio 1977) nel modo che segue:
“In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con l’acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
L’alienante e l’acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c., il lavoratore può consentire la liberazione dell’alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
L’acquirente è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa dell’acquirente”.
Con riferimento al testo dell’art. 2112 c.c., anteriore alle modifiche indicate, la giurisprudenza di questa Corte, sulla base del principio secondo cui il trasferimento della titolarità dell’azienda, con qualunque strumento giuridico effettuato, comporta, ai sensi dell’art. cit. ed alle condizioni ivi previste, la continuazione del rapporto lavorativo con lo stesso contenuto che aveva in precedenza, ha escluso la possibilità di negare al lavoratore diritti che, eventualmente riconosciuti per via giudiziaria in epoca successiva al trasferimento, siano in ogni caso eziologicamente ricollegabili alla posizione lavorativa assunta anteriormente al trasferimento. (Cass. 5909/1998, che nella specie ha confermato la sentenza di merito che, in seguito al trasferimento della gestione di un acquedotto dal Comune ad una azienda municipalizzata, aveva riconosciuto la continuità del rapporto, e perciò la pregressa anzianità, a lavoratore che, in epoca anteriore al trasferimento, risultava dipendente non dell’ente comunale cedente, ma di ditte appaltarci del quale l’ente si serviva in contrasto con la L. 1369/1960, in materia di intermediazione di manodopera; in senso conforme, Cass. 15422/2000; 8228/2003).
In particolare, sempre in fattispecie disciplinata dall’art. 2112 c.c. , nel testo antecedente alle modifiche apportate dall’art. 47 della L. 428/1990, si è ritenuto che in ipotesi di licenziamento adottato verbalmente, la nullità e conseguente improduttività di effetti dello stesso non determina a carico del lavoratore l’onere di impugnarlo nel termine previsto dalla L. 604/1966, e non preclude, in caso di successivo trasferimento di azienda, la continuazione del rapporto di lavoro con l’acquirente (Cass. 5519/1999).
Con riferimento al testo dell’art. 2112 c.c., novellato nei termini anzidetti, si è poi affermato che il subentro del cessionario nei rapporti di lavoro dei dipendenti dell’azienda ceduta non si verifica soltanto se tale rapporto si sia legittimamente risolto in tempo anteriore al trasferimento medesimo, e che in caso contrario invece il rapporto prosegue “ope legis” con l’acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti derivanti (Cass. 11272/2000).
Più recentemente, sulla premessa che il cessionario dell’azienda subentra in tutti i rapporti dell’azienda ceduta nello stato in cui si trovano, ivi compreso il rapporto caratterizzato da un licenziamento intimato dal cedente, si è statuito che il lavoratore, così trasferito, ha l’onere di impugnare il recesso nei sessanta giorni per evitare di incorrere nella decadenza di cui all’art. 6 della L. 604/1966 (Cass. 15678/2006).
E’ vero che questa Corte ha anche ritenuto che l’art. 2112 c.c., novellato dall’art. 47 L. 428/1990, che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d’azienda (a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario) – disciplina che deve essere interpretata in conformità della direttiva suddetta, in ragione della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale – presuppone (al pari di quella prevista dai commi 1 e 3, della medesima disposizione quanto alla garanzia della continuazione del rapporto e dei trattamenti economici e normativi applicabili) la vigenza del rapporto di lavoro e quindi non è riferibile ai crediti maturati nel corso di rapporti di lavoro cessati ed esauriti anteriormente al trasferimento d’azienda (Cass. 12899/1997) ma, come risulta dalla giurisprudenza soprarichiamata, non si è mai dubitato che l’esaurimento o la cessazione del rapporto identifichino situazioni giuridicamente rilevanti e non vicende meramente fattuali. I rapporti di lavoro, quali rapporti giuridici non si esauriscono nè cessano in via di mero fatto, richiedendosi a tale fine il verificarsi di circostanze giuridicamente rilevanti, idonee a produrre effetti estintivi.
Ciò premesso, è appena da rilevare che l’effetto estintivo del licenziamento annullabile è un effetto totalmente precario, idoneo ad esser travolto fra le parti dalla pronunzia di annullamento (art. 1445 c.c.) con l’ulteriore conseguenza che a norma dell’art. 2112 c.c., il rapporto di lavoro ripristinato fra le parti originarie si trasferisce al cessionario
Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.
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