Anche questo approfondimento, come del resto numerosi altri che lo hanno preceduto, prende le mosse da un quesito pervenuto nei giorni scorsi.
In questo caso devo però ammettere di avere, in un primo momento, un po’ sottovalutato la portata della domanda che mi era stata rivolta, nel senso di considerare la risposta che mi accingevo a dare quasi una sorta di ripetizione dei precedenti approfondimenti svolti in materia.
Altri quesiti similari, ricevuti nei giorni immediatamente successivi, mi hanno indotto a riconsiderare il mio iniziale (erroneo) convincimento.
Per espiare la “colpa”, ho pensato che l’unico modo, se così si può dire, di “redimermi” fosse quello di condividere pubblicamente i risultati ai quali sono pervenuto.
Cominciamo dunque con il dire che il cittadino U.E. può soggiornare regolarmente nello Stato membro ospitante in base a un autonomo titolo di soggiorno [art. 7, comma 1°, lett. a), b) e c) del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30] ovvero in base ad un titolo derivato da quello di un familiare in senso lato [art. 7, comma 1, lett. d) D. L.vo 6 febbraio 2007, n. 30].
La differenza fondamentale, come noto, è che solo nel primo caso il cittadino U.E. può estendere il proprio titolo di soggiorno ai familiari che lo accompagnano o la raggiungono, mentre nel secondo caso (titolo di soggiorno derivato) tale possibilità è preclusa.
Vi sono quattro categorie di persone che rientrano nel novero dei familiari, ex art. 2, comma 1°, lett. b) del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 e precisamente:
1) il coniuge;
2) il partner che abbia con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;
3) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico1 e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
4) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner.
Diversa da quella di familiari (in senso proprio) è la nozione di “altri familiari”, prevista e di-sciplinata dall’art. 3, comma 2°, D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 302.
Detto questo, consideriamo come la regolarità di soggiorno del familiare o altro familiare che dispone di un titolo derivato segue le sorti del titolo di soggiorno autonomo dal quale deriva.
Lo straniero comunitario residente potrebbe, ad esempio, avere perso, successivamente alla prima iscrizione anagrafica e/o al rilascio dell’attestato di regolarità di soggiorno tout court, il possesso dei requisiti che gli consentivano di essere considerato regolarmente soggiornante ed essere diventato uno straniero “residente ma irregolarmente soggiornante”3.
In tal caso allo stesso dovrebbe essere contestato, tramite l’avvio di apposito procedimento, lo status di residente ma irregolarmente soggiornante, come nel caso, purtroppo sempre più frequente, in cui al lavoratore subordinato a tempo determinato non viene prorogato o convertito il contratto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato e, al contempo, egli non dispone nemmeno di risorse sufficienti per non divenire un onere eccessivo a carico dell’assistenza sociale dello Stato ospitante unitamente alla c.d. polizza sanitaria.
In tale evenienza, viene infatti meno, di riflesso, anche il titolo che consente di considerare regolarmente soggiornante l’eventuale familiare o altro familiare che aveva derivato il proprio diritto di soggiorno dal cittadino U.E., nel momento in cui egli era ancora un lavoratore e, quindi, uno straniero residente e soprattutto regolarmente soggiornante.
In conclusione, dunque, ai fini del rilascio dell’attestato di soggiorno permanente non si vede quale autonomo accertamento dovrebbe essere compiuto dall’Ufficiale di anagrafe nei confronti del familiare o altro familiare se non quello della dimostrazione di avere soggiornato in modo continuativo per la durata di almeno cinque anni (art. 14 D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30).
Per quanto riguarda il requisito della continuità del soggiorno, la perdurante iscrizione anagrafica permette di ritenerlo dimostrato.
Il Ministero dell’Interno, con Circolare n. 19 del 6 aprile 2007, ha precisato che “la condizione relativa alla continuità del soggiorno possa essere accertata attraverso l’iscrizione anagrafica dell’interessato”.
L’iscrizione anagrafica senza interruzioni (anche in più di un Comune) per almeno cinque anni può essere, dunque, utilizzata quale “presunzione di presenza”.
Per la continuità del soggiorno, si rileva tuttavia come l’art. 14, comma 1°, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, utilizza l’espressione soggiorno continuativo nel territorio nazionale che non coincide con la più ristretta nozione di residenza o iscrizione anagrafica.
Altresì, l’art. 14 del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 fa riferimento alle assenza dal territorio nazionale e non a quello del Comune di residenza, e tale circostanza rende evidente la difficoltà in cui versa l’Ufficiale di anagrafe nell’acquisire agli atti la prova che tale assenza non si è verificata.
Per queste ragioni, è necessario che l’interessato, sotto la propria personale responsabilità (e, quindi, mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ex art. 47 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) dichiari all’Ufficiale di anagrafe di non essersi assentato dal territorio nazionale per periodi superiori a quelli che potrebbero pregiudicare il requisito della continuità del soggiorno, ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 14, né di avere mai subito provvedimenti di allontanamento dall’Italia di cui all’art. 21 D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30.
Per quanto invece concerne il secondo dei due requisiti prescritti (legalità o, se si preferisce, regolarità del soggiorno) per il periodo minimo previsto dal più volte richiamato art. 14, occorre evidentemente fare riferimento al cittadino U.E. che disponeva di un titolo di soggiorno autonomo e che, nel frattempo, ha già ottenuto l’attestato di soggiorno permanente.
Si noti, tuttavia, come il periodo di cinque anni invocato dal cittadino U.E. per ottenere l’attestato di soggiorno permanente (che già disponeva di un autonomo titolo di soggiorno autonomo) potrebbe non coincidere, in tutto o in parte, con il periodo sempre di cinque anni invocato dal familiare o altro familiare per ottenere a sua volta l’attestato di soggiorno permanente.
In tale evenienza, l’Ufficiale di anagrafe deve avere l’accortezza di “allargare” la verifica nei confronti del cittadino U.E. che disponeva di un titolo di soggiorno autonomo, al fine di accertare che egli abbia mantenuto il possesso di almeno uno dei requisiti di cui all’art. 7, comma 1°, lett. a), b) e c) del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 anche durante il diverso periodo invocato dal familiare o altro familiare per ottenere l’attestato di soggiorno permanente.
Facciamo un esempio: un cittadino U.E. titolare di autonomo diritto di soggiorno chiede e ottiene nel mese di novembre 2013 l’attestato di regolarità di soggiorno permanente per avere egli soggiornato in modo continuativo e regolare dal 1° gennaio 2006 al 31 dicembre 2010.
Il 1° gennaio 2008 il coniuge, anch’egli cittadino U.E., raggiunge il familiare già residente, chiedendo e ottenendo l’iscrizione anagrafica in base a un titolo di soggiorno derivato da quello del familiare.
Quest’ultimo familiare può a sua volta chiedere il rilascio dell’attestato di soggiorno permanente a partire dal 1° gennaio 2013 (dal 01/01/2008 al 31/12/2012 sono infatti decorsi cinque anni).
Come si deve comportare l’Ufficiale di anagrafe nell’istruire la pratica con la quale il coniuge chiede anch’egli il rilascio dell’attestato di soggiorno permanente per avere egli, oltre che soggiornato in modo continuativo, avuto un titolo di soggiorno derivato da quello del familiare?
Possiamo anzitutto rispondere che la regolarità del soggiorno nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2010 è già stata oggetto di verifica al momento del rilascio dell’attestato di soggiorno permanente a favore del cittadino U.E. che disponeva di un autonomo titolo di soggiorno.
Potrebbe legittimamente essere rimasto “scoperto” da tale verifica il periodo compreso tra il 1° gennaio 2011 e il 31 dicembre 2012, atteso che – in tale arco temporale – il cittadino U.E. che già ha ottenuto l’attestato di soggiorno permanente potrebbe anche avere perso i requisiti per essere considerato regolarmente soggiornante e avere ciononostante ottenuto l’attestato di soggiorno permanente.
Ricordiamo, infatti, che quando si chiede il rilascio dell’attestato di soggiorno permanente non occorre anche dimostrare il possesso attuale di uno dei requisiti di cui all’art. 7, comma 1° D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, essendo sufficiente dimostrare di avere avuto uno di tali requisiti anche in passato, per almeno cinque anni.
Pertanto, per continuare nell’esempio, l’Ufficiale di anagrafe, nell’istruire la pratica volta a stabilire se è possibile rilasciare l’attestato di soggiorno permanente anche a favore del coniuge che ha avuto un titolo di soggiorno derivato da quello del familiare, è tenuto a verificare se il cittadino U.E. che disponeva di un titolo di soggiorno autonomo ha mantenuto i requisiti di regolarità di soggiorno anche nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2011 e il 31 dicembre 2012: in caso affermativo, poiché il titolo di soggiorno autonomo riverbera i propri effetti su quello dei familiari o altri familiare che dispongono di un titolo derivato dal primo, potrà procedere al rilascio dell’attestato di regolarità di soggiorno; diversamente, il rilascio dell’attestato di soggiorno permanente non si potrà ritenere consentito.
1 Per un commento alla nozione di familiare e, in particolare, di familiare “a carico” sia consentito rinviare al §. IV. Iscrizione anagrafica del familiare comunitario di cittadino dell’Unione sub nota n. 68 del nuovissimo e-book di Paolo Richter, IL PROCEDIMENTO DI ISCRIZIONE ANAGRAFICA “IN TEMPO REALE” DEI CITTADINI COMUNITARI edito da Sepel.
2 Anche sulla nozione di “altri familiari” sia consentito rinviare al § VI Iscrizione anagrafica dei c.d. altri familiari (comunitari e extracomunitari) di cittadino dell’Unione dell’e-book richiamato nella nota precedente.
3 Per approfondimenti su tale nozione, si veda PAOLO RICHTER, L’iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri terza parte, in «Lo Stato Civile Italiano», n. 7/2013, Sepel Editrice, pagg. 42 e ss. e, dello stesso autore, l’e-book richiamato nelle note che precedono.
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