Sui licenziamenti collettivi e l’individuazione dei lavoratori (Cass. n. 25365/2013)

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Massima

Ai fini della determinazione dell’ambito di attuazione del licenziamento collettivo, per riduzione del personale, e della individuazione dei dipendenti da licenziare, occorre prendere in considerazione tutti i prestatori di lavoro dell’azienda.

Non può, di conseguenza, essere valido il semplice ridimensionamento o anche la soppressione di un reparto.

 

1. Premessa

Nella decisione del 12 novembre 2013 n. 25365  la Corte di Cassazione ha precisato, ricordando precedenti sul tema (1)  che, in tema di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, ai fini della determinazione dell’ambito di attuazione nonché al fine di individuare i lavoratori da licenziare, occorre prendere in considerazione il numero di tutti i dipendenti dell’azienda, non valendo a ridurre il numero dei soggetti da valutare il semplice ridimensionamento o anche la soppressione di un reparto.

Ciò in quanto la riduzione di personale può essere limitata agli addetti a tale reparto solamente quando sia costoro che gli addetti agli altri reparti dell’azienda abbiano specifiche professionalità non omogenee che ne rendano impraticabile ogni comparazione.

Nel momento in cui, secondo i giudici, il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, “la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, nell’ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non sia il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale” (2).

 

1.1. La fattispecie

La sentenza impugnata respingeva l’appello della società avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato la inefficacia dell’intimato licenziamento, per violazione della disciplina dei licenziamenti collettivi, consistente nell’avere proceduto (il datore di lavoro) alla individuazione dei dipendenti da collocare in mobilità facendo riferimento alle esigenze tecnico produttive ed organizzative dei singoli centri operativi, anziché quelle dell’intero complesso aziendale.

In Corte di appello i giudici avevano precisato che 

a) il lavoratore ha lamentato che – in presenza di una crisi del settore di portata tale da coinvolgere l’intero assetto aziendale – la società S. ha attivato distinte procedure di mobilità per le diverse unità produttive, così:

1) privando le OO.SS. della possibilità di avere un quadro di insieme dei problemi economici prospettati della società e quindi di elaborare piani di intervento generali:

2) impedendo una diversa utilizzazione dei lavoratori coinvolti nella procedura di mobilità, per esempio, attraverso l’offerta della possibilità di trasferimento in altre sedi della società, onde evitare la misura del licenziamento;

b) a fronte di tale situazione, i motivi di appello della S. si risolvono in petizioni di principio che non sono in grado neppure di scalfire il nucleo centrale della sentenza di primo grado consistente nella affermata illegittimità della procedura perché applicata, volta per volta, a singole unità produttive, ancorché la crisi riguardasse l’azienda nel suo complesso, senza differenziazioni trai diversi centri operativi dislocati sul territorio nazionale;

c) in realtà, la società sembra confondere tra il merito della scelte aziendali, sicuramente non sottoponibile a sindacato giurisdizionale, e le ragioni della scelta effettuata dall’azienda, le quali invece devono essere esplicitate, onde consentire un adeguato controllo della loro sussistenza”.

In Cassazione il ricorso è fondato su 4 motivi.

Con il primo motivo  si denuncia violazione degli artt. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 (3).
Con il secondo motivo si denunciano: a) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; b) “insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 24 della legge n. 223 del 1991”.

Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all`art. 360, n. 5, cod. proc. civ., “insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, in relazione agli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991”.

Con il quarto motivo si denunciano: a) omessa ammissione delle prove; b) vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.

 

2. Conclusioni

I giudici della Corte nella decisione in commento hanno rigettato il ricorso condannando la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.  

 

3. Rassegna giurisprudenziale

(Comparazione dei lavoratori)

La comparazione dei lavoratori, al fine della scelta di quelli che devono essere licenziati per riduzione del personale e avviati alla procedura di mobilità, può essere effettuata avendo riguardo soltanto ai lavoratori addetti al settore o al ramo interessato dalla chiusura o dalla ristrutturazione, qualora si accerti che queste riguardino effettivamente in via esclusiva detto settore o ramo d’azienda ed esauriscano in tale ambito i loro effetti. (Cass. 23 maggio 2008, n. 13381, in Riv. it. dir. lav., 2008, con nota di Maria Teresa Salimbeni, “La Cassazione ribadisce l’acausalità del licenziamento collettivo e una valenza attenuata degli obblighi procedurali ai fini della legittimità del procedimento”, 915)

 

In tema di licenziamento per riduzione del personale disposto in applicazione dell’art. 5, L. 23/7/91 n. 223, l’imprenditore che abbia attribuito a ogni dipendente un identico punteggio di professionalità, con ciò ritenendo tutti i lavoratori ugualmente necessari, non può successivamente effettuare comparazioni in modo da sottrarre alla scelta i lavoratori di un reparto piuttosto che un altro, senza violare la regola di buona fede e tenuto conto che le esigenze tecnico-produttive e organizzative richiamate dalla suddetta norma – da un lato ai fini dell’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità in relazione al complesso aziendale e dall’altro quale criterio di scelta alternativo in mancanza di contratti collettivi stipulati con i sindacati – restano sempre le stesse, sia in caso di accordo con le Organizzazioni sindacali, sia in caso contrario. In ogni caso, l’onere di provare la corretta applicazione dei criteri di scelta grava sul datore di lavoro. (Cass. 20 novembre 2007, n. 24044, in D&L, 2008, con nota di Ferdinando Perone, “Il licenziamento collettivo non ammette margini di discrezionalità nell’applicazione dei criteri di scelta”, 276) 

 

L’art. 4, 3° comma, L. 23/7/91 n. 223, prevede che il datore di lavoro indichi, per le posizioni lavorative in esubero, quali siano i “profili professionali”, rendendo, così, esplicito come la comparazione tra i dipendenti eccedenti non debba essere attuata tanto con riguardo all’inquadramento, quanto in relazione alla fungibilità delle mansioni svolte in relazione al profilo professionale reputato in esubero. (Trib. Milano, 25 giugno 2007, in D&L, 2007, con nota di Matteo Paulli, “Oneri formali e tempestività delle comunicazioni ex art. 4 L. 223/91”, 1225)  

 

 

Manuela Rinaldi  
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti; dal 2013 Tutor di Diritto Civile Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. M. Orlandi

 

__________
(1) Cass. civ., 10 luglio 2000, n. 9169.

(2) Cass. 15 giugno 2006, n. 13783; Cass. 19 maggio 2005, n. 10590; Cass. 22 aprile 2005, n. 8474; Cass. 9 settembre 2003, n. 13182; Cass. 24 gennaio 2002, n. 809; Cass. 26 settembre 2000, n. 12711; Cass. 10 giugno 1999, n. 5718; Cass. 18 novembre 1997, n. 11465.

(3)     La società sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, nel giudizio sarebbero emersi – come pacifici – molteplici fatti giustificativi della scelta della S. di limitare l’applicazione della procedura di mobilità al Centro operativo di Città Sant’Angelo, cui era addetto il S., senza estenderla all’intero complesso aziendale. 

Sentenza collegata

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