L’ordinanza emessa dal Tribunale di Brindisi sez. Lavoro del 18 dicembre 2013 merita di essere segnalata in quanto traccia le prime applicazioni della legge c.d. anticorruzione.
Al fine di inquadrare in tutti i suoi aspetti il tema oggetto di commento è opportuno accennare alla disciplina prevista dal d.lgs n. 8 aprile 2013 n. 39 in materia di inconferibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50 della legge 6 novembre 2012, n. 190.
Il legislatore introduce la nozione di inconferibilità; in particolare con questa formula si intende” la preclusione, permanente o temporanea a conferire gli incarichi previsti dal d.lgs 8 aprile 2013 n. 39 ( in G.U. n. 92 del 19/04/2013) a coloro che abbiano riportato condanne penali per i reati dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale ( nda i reati dei pubblici ufficiali contro le pubbliche amministrazioni), a coloro che abbiano svolto incarichi in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi; a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico”.
Queste disposizioni si applicano alle p.a., agli enti pubblici ed agli enti di diritto privato in controllo pubblico.
L’art. 3 del decreto legislativo n. 39/2013 è draconiano nel caso di condanne per reati commessi da pubblici ufficiali contro le p.a. Ai dipendenti e dirigenti che sono stati condannati a questo titolo – anche con sentenza non passata in giudicato – non possono essere attribuiti incarichi: amministrativi di vertice; di amministratore di ente pubblico; dirigenziali nelle p.a. e negli enti pubblici e negli enti di diritto pubblico in controllo pubblico; di direttore generale, sanitario o amministrativo di ASL.
Tale divieto si estende anche ai soggetti esterni alle pubbliche amministrazioni, con sospensione del contratto e previsione per la p.a. della possibilità di rivedere lo stesso.
Viene prevista la inconferibilità in via permanente di tali incarichi in caso di condanna per gravi reati contro le p.a. e/o per interdizione permanente e/o per cessazione a seguito di sanzione disciplinare; negli altri casi siamo in presenza di una inconferibilità provvisoria o per 5 anni.
Ed ancora viene stabilita la inconferibilità provvisoria per condanne per altri reati contro la p.a.; in tali casi è vietato assegnare incarichi che comportino l’attribuzione di compiti di gestione, acquisto, erogazione di contributi, sussidi etc.
In tali casi si può arrivare al collocamento a disposizione dell’ente senza incarico.. In caso di sentenza di proscioglimento tali sanzioni cessano diritto. Si dispone l’applicazione delle sanzioni nel caso di sentenza di cui all’articolo 444 del c.p.p., cioè l’applicazione di una pena alternativa o di una sanzione pecuniaria.
Ciò premesso il nodo gordiano della vicenda prende le mosse da un ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto da un dirigente comunale nei confronti dell’Ente Locale, avverso il decreto con il quale il Sindaco, a seguito della sentenza penale di condanna di primo grado , per il reato di abuso di ufficio ex art. 323 c.p., ha sospeso per incompatibilità l’interessato dall’incarico dirigenziale ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39.
Il ricorrente, oltre a dolersi dell’illegittimità del provvedimento sindacale, lamentava, quale periculum in mora, l’esistenza di un pregiudizio e/o di un danno irreparabile, consistente nella perdita di circa il 50% della retribuzione e chiedeva che fosse dichiarato il proprio diritto alla reintegra nei propri incarichi dirigenziali e nella corrispondenza posizione retributiva.
Superata la rituale eccezione di stile della difesa il giudice del lavoro è entrato nella questione stabilendo che il danno lamentato dal ricorrente può essere riparato per equivalente mediante risarcimento del danno da chiedersi nell’ordinario giudizio di merito e non in fase di cautela.
Ha osservato, in particolare, l’ordinanza in rassegna che il termine di paragone per valutare l’incidenza del tempo sul danno subito dal ricorrente è il giudizio di merito del lavoro e non già quello penale.
In altri termini il pregiudizio deve essere valutato in relazione al tempo occorrente a ottenere un’eventuale sentenza di accoglimento ( che comporterebbe la reintegra nelle mansioni e negli aspetti retributivi) e non già in relazione ad un’eventuale sentenza di assoluzione.
Da quanto precede emerge il particolare rigore con cui il legislatore delegato ha disciplinato i rapporti fra inconferibilità e sopraggiungere di sentenze penali di condanna, anche non definitive, all’esito del dibattimento o con pena patteggiata.
La disciplina è coerente con i contenuti dell’art. 1, commi 49 e 50, della legge 6.11.2012, n. 190. Le ambiguità della normativa sono le medesime che circondano le ipotesi di inconferibilità e di incompatibilità disciplinate del d.lgs 8.4.2013, n. 39.
Su di esse è ragionevole attendere il coinvolgimento della C.I.V.I.T. nell’esercizio delle sue funzioni di supporto e consuntive previste dall’art. 16, comma 3, della fonte di regolazione.
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