In attesa che il legislatore – o chi per lui – si accorga che nel nostro ordinamento, allo stato, coesistono due distinte ed opposte ipotesi di lieve entità, in materia di stupefacenti, posto che la pronuncia della Corte Costituzionale ha, da un lato, determinato la riviviscenza del testo dell’intero art. 73 nella forma ante novella del 2006 e che, in pari tempo, il Parlamento ha convertito in legge il D.L. 146 del 23 dicembre 2013, il quale innova la norma in questione e la trasformando da circostanza attenuante ad effetto speciale, in reato autonomo, intervengono pronunzie giurisprudenziale di legittimità che – contingentemente ed interinalmente – sanciscono l’applicazione di quest’ultima nuova ipotesi.
La sentenza della Seste Sezione della Corte di Cassazione n. 5143, siccome pronunziata il 16 gennaio u.s., quindi, prima che fosse decisa dalla consulta la eccezione di costituzionalità, non ha potuto tenere conto della denunziata grave discrasia e – comunque correttamente – ha ritenuto che la modifica introdotta con l’art. 2 del citato DL configuri e determini un mutamento in melius, risultando, così, più favorevole all’imputato.
Oltre alla circostanza che la pena prevista dal DL 146/2013 appare inferiore (da 1 a 5 anni di reclusione oltre alla multa) a quella che era stata precedentemente sancita (il cui massimo edittale era, invece, di 6 anni), elemento di discontinuità ritenuto di specifica rilevanza, appaiono, inoltre, evidenti altri profili che confermano tale giudizio.
La struttura di reato autonomo sottrae, infatti, l’istituto della lieve entità al giudizio di bilanciamento rispetto alle eventuali aggravanti contestate (situazione che aveva in precedenza spesso impedito l’inflizione di pene adeguate e proporzionate) e, altresì, permette di modulare, in termini di maggiore favore il regime prescrizionale, che, ora, viene calcolato secondo i parametri previsti dall’art. 157 c.p. .
Resta, comunque, indubitabile la considerazione che, la situazione di evidente contrasto e conflitto tra le due richiamate norme, venutasi a creare in progresso di tempo, è determinata dalla oggettiva incoerenza delle stesse, di cui il legislatore non pare essersi accorto.
Non è, infatti, pensabile un trapianto tout court del comma 5° – così come concepito dal DL 21 dicembre 2013 n. 146 – nel complessivo modello del rinnovato art. 73.
Se una simile operazione avvenisse ci si troverebbe dinanzi ad una norma obbiettivamente “strabica”, una vera e propria inammissibile contraddizione in termini che verrebbe ad intercorrere fra distinti passaggi della stessa che presentano linee guida sanzionatorie del tutto incompatibili fra loro.
Ci si dovrebbe domandare, perciò, come si potrebbe, così, coniugare e porre, quale esempio di doverosa coerenza intrinseca) della regola in parola, una previsione quale quella dei commi 1 e 4 dell’art. 73, che distinguono (in coerenza con la suddivisione tabellare dell’art. 14) le pene per le sostanze droganti cd. pesanti e quelle cd. leggere, con una disposizione – il comma 5° ex DL 146/2013 – che, invece, unifica nella medesima pena detentiva e pecuniaria, il trattamento sanzionatorio.
Non dimentichiamo che i comma 1, 4, da un lato ed il comma 5, dall’altro, – nel disegno dell’art. 73 ex L. JERVOLINO-VASSALLI – governano le medesime condotte ritenute illecite.
Essi si differenziano esclusivamente per il livello di gravità attribuito alle stesse, (in un caso di carattere ordinario, nell’altra ipotesi espressamente lieve); si tratta di un giudizio che, per tale specifica ragione determina una differente modulazione dell’intervento sanzionatorio.
Ritiene chi scrive, quindi, che l’innesto di una singola previsione normativa, così differente (quale appare l’art. 2 del DL 146/2013) rispetto alla complessiva trama dell’art. 73, costituirebbe scelta destinata a subire un’inevitabile ed irreversibile crisi di rigetto, in quanto essa si accrediterebbe come iniziativa interpretativa che determina una condizione di illogicità interna alla specifica norma.
Il generale stato di incertezza lievita, poi, posto che taluna parte – attraverso un’interpretazione strictu sensu dell’art. 136 comma 1° Cost. che recita “Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione…..” – ritiene che, allo stato attuale, l’intervenuta abrogazione della FINI-GIOVANARDI non produca ancora effetti concreti, dovendosi, così, differire gli stessi – anche a livello retroattivo – solo al momento della effettiva pubblicazione della sentenza della Consulta sulla Gazzetta Ufficiale.
Dunque, aderendo alla tesi sopra esposta in relazione al comma 1 dell’art. 136 Cost., in questo momento, ogni processo entra in un vero e proprio limbo, nel quale vige tuttora, provvisoriamente, una norma dichiarata incostituzionale, mentre quella ripristinata, invece, non avrebbe ancora vigenza .
Ve ne è abbastanza per auspicare che si ponga termine a questo disordine giuridico e si intenda, finalmente, porre riparo con una nuova organica legge.
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