Trasferta: nozione
La trasferta è stata concepita quindi come un mutamento temporaneo del luogo della prestazione, come tale foriero sia di un disagio per il lavoratore, sia di spese che questi sopporta, per i pasti, il pernottamento fuori casa, mezzi di trasporto ed altro, nell’interesse del datore di lavoro. Di qui la duplice componente restitutoria (quanto alle spese) e retributiva (quanto al maggior disagio della prestazione) della indennità di trasferta, forfettariamente presunta dal legislatore nel 50% per ciascuna componente (art. 12 della L. 153/1969) (Cass. sent. n. 9552 del 22-12-1987, Cass. 2 novembre 1999 n. 12225).
Indennità di trasferta e trasferisti
In realtà l’indennità di trasferta ha sempre necessariamente una funzione risarcitoria, ma (almeno nella normalità dei casi) ha anche una funzione retribuiva.
Ciò è tanto vero che sia la normativa fiscale che quella contributiva hanno determinato ai loro fini specifici quale percentuale debba essere considerata retribuzione, e perciò assoggettata, rispettivamente, ad imposta oppure a contribuzione previdenziale, e quale parte, invece, ne debba essere tenuta esente.
Ciò non toglie però che queste funzioni, pur se sussistenti sempre o quasi sempre (nel senso che l’indennità di trasferta può non avere nessuna valenza retributiva quando l’indennità di trasferta copra solamente le spese), assumano un valore ben diverso per i trasfertisti abituali e per quelli che non lo sono. Per i trasfertisti di professione il disagio derivante dal fatto di operare fuori sede è inerente strutturalmente alla prestazione professionale che sono tenuti a prestare, e come tale viene retribuito con una voce specifica che fa parte della loro retribuzione ordinaria, allo stesso modo in cui altri lavoratori godono di voci retributive specifiche per altri generi di disagi o di rischio che ineriscono alle loro rispettive prestazioni professionali.
Per il trasfertista occasionale, al contrario, il fatto di essere inviato occasionalmente ad operare fuori sede, ed il disagio che questo comporta, sono estranei alla normale prestazione cui è tenuto, e come tale deve essere remunerato (o almeno viene normalmente remunerata) con una voce retributiva a parte, anch’essa estranea alla retribuzione ordinaria. Proprio per questo la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto, ai fini della determinazione dell’imponibile previdenziale, che l’eccezione per la quale l’indennità di trasferta è ricompresa nella retribuzione imponibile per la sola percentuale del 50% postula la predeterminazione di un luogo fisso dell’attività lavorativa ed un provvisorio mutamento del luogo stesso, in base a scelte imprenditoriali di carattere contingente. Pertanto, con riguardo all’indennità corrisposta ai cosiddetti “trasfertisti”, cioè ai dipendenti che prestino ripetutamele la propria opera fuori sede, deve affermarsi l’integrale assoggettamento a contribuzione, qualora, alla stregua sia dell’interpretazione della volontà negoziale che di ogni concreta vicenda del rapporto, risulti che il contratto abbia a specifico oggetto l’effettuazione di prestazioni esterne, sicchè detto emolumento si correli nella sua totalità alla causa tipica e normale del rapporto, mentre resta invece configurabile l’eccezione introdotta dalla citata norma, ove il lavoro esterno e la corrispondente indennità, indipendentemente dalla loro frequenza, si pongano come deroghe occasionali rispetto alla prevista assegnazione del dipendente ad una determinata sede ed alla fissazione della retribuzione per l’attività prestata presso la sede stessa.” (Cass. civ., S.U., 3 giugno 1985, n. 3292; nello stesso senso, tra le tante conformi, 20 marzo 1987, n. 2783; 13 febbraio 1988, n. 1568, 10 febbraio 1989, n. 829; 20 marzo 1990, n. 2306).
Regime contributivo dei trasferisti
Per quanto riguarda più in particolare il regime dei trasfertisti, che interessa la presente causa, il regime contributivo del trattamento correlativamente corrisposto ha conosciuto quattro fasi successive.
In una prima fase sono convissuti due orientamenti: uno che attribuiva rilevanza fondamentale al c.d. “patto di mobilità”, per il quale l’ipotesi della trasferta non sarebbe ravvisabile qualora il lavoratore fosse obbligato ad seguire la prestazione in luoghi sempre diversi, e pertanto negava che gli emolumenti corrisposti ai trasfertisti potessero essere considerati indennità di trasferta ai sensi dell’art. 12 della L. 153/1969; l’altro, viceversa, riteneva sufficiente il fatto oggettivo dello spostamento da un luogo ad un altro, ed i correlati costi, spese e disagi, perché il relativo emolumento fosse considerato indennità di trasferta ai fini contributivi (Cass. 8 luglio 1982 n. 4062, idem 5 ottobre 1985 n. 4824).
In una seconda fase, le Sezioni Unite di Cass. civ., n. 3292 del 1985, risolvendo il citato contrasto interno alla sezione lavoro, hanno ritenuto che qualora il contratto abbia a specifico oggetto l’effettuazione di prestazioni normalmente rese fuori di una sede abituale di lavoro, la relativa indennità debba essere integralmente assoggettata a contribuzione, perché si correla nella sua totalità alla causa tipica e normale del rapporto. A tale tesi si sono conformate le successive decisioni di questa Corte (ex plurimis 4 dicembre 1991 n. 13051, 8 ottobre 1992 n. 10954), nonché gli Istituti previdenziali (circolare Inail 637/PG/11B del 20 maggio 1986), il Ministero del lavoro e quello delle Finanze. Ciononostante, permaneva in parte della giurisprudenza di merito e della dottrina la considerazione che l’interesse soggettivo alla spesa in favore del datore di lavoro, il quale è alla base della indennità di trasferta ed in particolare della sua componente restitutoria, è medesimo per i trasfertisti, tenuti ad anticipare le spese necessitate dalla loro prestazione ambulatoria, con pasti e pernottamenti fuori casa, i cui pagamenti non cessano di costituire esborsi nell’interesse del datore di lavoro (e non retribuzione ai sensi dell’art. 36 Costit. e 2099 cod. civ.) a causa del dato estrinseco della frequenza del lavoro fuori della sede, o anche della sua continuità. Ed è significativo che l’art. 11 della L. 467/1984 escluse dalla retribuzione imponibile ai sensi dell’articolo 12 della legge 153/ 1969 l’indennità di trasferta spettante ad una particolare categoria di trasfertisti, i dipendenti da imprese di autotrasporto, anche se corrisposta con carattere di continuità, secondo i criteri della legge fiscale (l’allora art. 48 del D.P.R. 597/1973), e cioé nei limiti di una quota determinata annualmente con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro (il quale con D.M. 30 novembre 1984, in Gazz. Uff. 7 dicembre 1984, n. 337, la fissò in misura identica alla disciplina fiscale), sentite le rappresentanze degli imprenditori e dei lavoratori, e comunque non maggiore di quella esente dall’imposta sul reddito delle persone fisiche.
La consapevolezza della eguale struttura fenomenica di fondo, unita alla gravosità del regime contributivo per le aziende che, in ragione della loro specificità produttiva, sono necessitate a fare largo uso di trasfertisti, hanno indotto il legislatore, prima con una serie di dd.ll. non convertiti (n. 761 del 1986, nn. 6, 130, 211 del 1987), e poi con l’art. 9ter del D.L. 29 marzo 1991, n. 103, introdotto in sede di conversione dalla Legge 1^ giugno 1991, n. 166, a dettare una norma di interpretazione autentica dell’art. 12 della L. 153/1969, nel senso che nella diaria o nell’indennità di trasferta sono ricomprese anche le indennità spettanti ai lavoratori tenuti per contratto ad una attività lavorativa in luoghi variabili e sempre diversi da quello della sede aziendale, anche se corrisposte con carattere di continuità. Poiché la giurisprudenza di legititmità aveva ritenuto, coerentemente con la propria precedente giurisprudenza, la natura innovativa della disposizione (Cass. 6 marzo 1992 n. 2740, 8 ottobre 1992 n. 10954), il legislatore é intervenuto nuovamente per attribuirvi efficacia retroattiva, con l’art. 4 quater del D.L. 6/1993, convertito con L. 63/1993. In questa terza fase di diretta regolamentazione legislativa del trattamento corrisposto ai trasfertisti (nella quale rientrano, ratione temporis, i fatti oggetto della presente controversia), mediante equiparazione, o meglio identificazione, con la indennità di trasferta, medesimi sono i presupposti dell’unitario istituto, e cioé il lavoro ambulatorio che comporti spese nell’interesse del datore di lavoro, al quale è connesso altresì un maggior disagio rispetto alla prestazione in luogo fisso. La Cass. civ., con sentt. 7 marzo 2000 n. 2574 e 15 giugno 1999 n. 5954 ha stabilito che l’art. 9-ter del D.L. 103/1991 ha avuto proprio la funzione di determinare il superamento della tesi secondo cui le indennità ai trasfertisti non potevano usufruire dell’esonero parziale dalla contribuzione prevista per le indennità di trasferta dall’art. 12 della L. 153/1969 in quanto aventi – diversamente da queste ultime – la sola funzione di compensare il disagio per il lavoro fuori sede. In tale situazione di disciplina unitaria è legittima, in quanto discende dalla ratio legis, la disciplina contrattuale che riparta, anche per i trasfertisti, la indennità di trasferta giornaliera in quote, in relazione alle spese sostenute, distintamente per il pasto di mezzogiorno, per quello serale e per il pernottamento, con diritto del lavoratore a percepire la relativa quota solo ove egli si trovi fuori della propria abitazione nella fascia oraria contrattualmente stabilita, distintamente per il pranzo, per la cena, e per il pernottamento (Cass. 7 giugno 2000 n. 7765). Si deve precisare, per assoluta chiarezza, che quel che occorre, perché non sia elusa la norma inderogabile (Cass. sez. un. 3292/1985) la quale consente di sottrarre una parte dell’emolumento alla contribuzione previdenziale in presenza di specifiche causali, che la indennità di trasferta forfettaria sia commisurata, non alla effettività della spesa sostenuta (che può anche mancare) – non sarebbe altrimenti forfettaria – ma alla sussistenza dei suoi presupposti, costituiti dal trovarsi il lavoratore in posizione di trasferta nella fascia oraria rispetto alla quale il contratto collettivo riconosce l’esigenza di spese nell’interesse del datore di lavoro e la determina in una quantità monetaria (per colazione, pranzo, cena etc.). Infatti, come per la trasferta, anche per i trasfertisti molteplici possono essere le modalità della prestazione ambulatoriale, che può comportare pernottamenti fuori casa, o solo e tutti i pasti della giornata, o, come nella presente fattispecie, solo il pasto di mezzogiorno.
Nella quarta ed attuale fase; introdotta con il D. Lgs. 314/1997, emanato in esecuzione della delega conferita con l’art. 3, comma 19 della L. 662/1996, viene ripristinata una parziale differenza tra indennità di trasferta e trattamento dei trasfertisti, nel senso che, ferma l’identità fenomenica ed il presupposto della duplice componente restitutoria e retributiva, il regime contributivo della indennità di trasferta è equiparato a quello fiscale (art. 6 del D. Lgs. 314/1997, il quale riformula l’art. 12 della L. 153/1969 mediante rinvio all’art. 48 del D.P.R. 917/1986 (Testo unico delle imposte sui redditi), come sostituito dall’art. 3 del D.Lgs. 314/1997. Il regime comune previdenziale e fiscale prevede (comma 5 dell’art. 48 t.u. 917/86 come novellato dall’art. 3 del D. Lgs. 314/1997) che le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente lire 90.000 al giorno, elevate a lire 150.000 per le trasferte all’estero, al netto delle spese di viaggio e di trasporto; in caso di rimborso delle spese di alloggio, ovvero di quelle di vitto, o di alloggio o vitto fornito gratuitamente il limite è ridotto di un terzo. Il limite è ridotto di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto. In caso di rimborso analitico delle spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di dette trasferte o missioni, fino all’importo massimo giornaliero di lire 30.000, elevate a lire 50.000 per le trasferte all’estero.
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