L’associazione in partecipazione con apporto di lavoro

1. Nozioni generali; 2. Casistica giurisprudenziale

 

1. Nozioni generali

 

 

Nell’articolo 2549 c.c. vengono prese in considerazione la natura e la funzione del contratto di associazione in partecipazione  quando l’apporto consista in una prestazione di lavoro, istituto che ha subito significative modifiche ad opera della l. n. 92/2012.

La riforma del 2012 in parte è stata rivista  con il d.l. 28.6.2013, n. 76, conv. con modificazioni in l. 9.8.2013, n. 99, si è concretizzata:

–         attraverso una diretta modifica della disciplina codicistica, con l’inserimento di un secondo comma all’art. 2549 c.c. che riconduce la possibilità di utilizzare l’apporto di prestazioni lavorative nell’ambito dell’associazione in partecipazione entro limiti rigorosi, un numero massimo di tre associati impegnati in una «medesima attività» salvo i familiari dell’associante entro il terzo grado;

–         attraverso l’introduzione di specifici elementi presuntivi, dando veste normativa ad orientamenti da tempo emersi in giurisprudenza, che possano  coadiuvare il giudice nell’opera di qualificazione.

La legge n. 92/2012, ha limitato fortemente l’apporto di lavoro nelle associazioni in partecipazione, stabilendo un limite al numero degli associati di lavoro, o di capitale e lavoro, pari a tre associati impiegati nella medesima attività lavorativa.

Si tratta di una restrizione importante, con alcune eccezioni che vedremo, che mira a combattere l’uso elusivo di tale istituto, il quale ha frequentemente nascosto delle vere e proprie attività di lavoro dipendente rese dagli associati.

Dal 18 giugno 2012, superare tale limite di tre, comporta la trasformazione dei rapporti in contratto a tempo indeterminato.

Anche il Decreto Lavoro del 2013 incide sulle associazioni in partecipazione, confermando le linee della riforma Fornero: consente ai datori di lavoro di stabilizzare i rapporti di associazione in partecipazione con un contratto subordinato a tempo indeterminato o un apprendistato, cancellando, laddove vi siano, gli illeciti pregressi.

Tale facoltà è a tempo limitato, il datore di lavoro deve assumere entro tre mesi da un accordo da effettuarsi con i sindacati (1).

L’art. 1 comma 28 della Legge n. 92 del 2012 introduce un nuovo comma all’art. 2549 del codice civile che disciplina l’associazione in partecipazione: “Qualora l’apporto dell’associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l’unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. In caso di violazione del divieto di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.

La circolare n. 167  del 5 dicembre 2013 ha fornito, inoltre, alcuni chiarimenti in merito all’argomento che ci occupa.

Nella citata circolare si precisa che l’art. 7 bis del decreto legge 28 giugno 2013, n. 76 – introdotto in sede di conversione del decreto, con la legge 9 agosto 2013, n. 99 (pubblicata nella G.U. n. 196 del 22 agosto 2013) – ha previsto una procedura finalizzata alla stabilizzazione degli associati in partecipazione con apporto di lavoro.

La norma intende promuovere l’occupazione consentendo la stabilizzazione di associati in partecipazione con apporto di lavoro in lavoratori subordinati a tempo indeterminato. Poiché l’articolo riguarda lavoratori già iscritti alla Gestione separata in qualità di associati, l’ambito di applicazione della procedura di stabilizzazione è limitato ai soggetti che abbiano stipulato contratti di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro.

I datori di lavoro interessati alla procedura di stabilizzazione sono tenuti a far pervenire, entro il 31 gennaio 2014, alle competenti sedi INPS la seguente documentazione:

1) contratto collettivo;

2) atti di conciliazione;

3) contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

4) attestazione dell’avvenuto versamento del contributo straordinario;

5) domanda di adesione alla stabilizzazione predisposta dall’Istituto.

L’Istituto è tenuto ad effettuare la verifica della correttezza degli adempimenti e a comunicarne l’esito, anche con riguardo all’effettività dell’assunzione, alle Direzioni territoriali del lavoro competenti in base alla sede legale dell’azienda (comma 5).

 

 

2. Casistica giurisprudenziale

 

Il contratto di associazione in partecipazione per un periodo di tempo determinato non è un contratto basato sull’elemento della fiducia e pertanto non è consentito il recesso unilaterale anticipato.

L’obbligo di pagare una somma di denaro da determinarsi in base ad un criterio preventivamente stabilito dà luogo a un debito pecuniario, tale essendo non solo ogni debito in cui l’assetto originario della prestazione consiste in una somma di denaro già quantificata, ma anche quello in cui l’oggetto dell’obbligazione sia una somma determinabile in base a criteri di computo precostituiti sin dal momento della nascita dell’obbligazione stessa. Infatti, in entrambi i casi il pagamento della somma di denaro secondo il suo valore nominale estingue l’obbligazione, secondo il disposto dell’art. 1277 c.c.

Gli utili dovuti in forza del contratto di associazione in partecipazione sono pertanto un’obbligazione di valuta, alla quale è applicabile il principio nominalistico.

Cass. civ. sez. I 30 maggio 2013 n. 13649

 

 

Con sentenza n. 2496/2012, la Cassazione ha affermato che uno degli elementi fondanti per la verifica della genuinità del rapporto di associazione in partecipazione (art. 2549 c.c.)è la partecipazione del soggetto anche alle perdite della società. Altre indicazioni devono arrivare dal controllo della gestione d’impresa da parte dell’associato e dal rendiconto periodico dell’associante.

Nel caso in questione, all’associato era riconosciuta una partecipazione agli utili dell’impresa ma solo in cambio di una prestazione standardizzata, nell’ambito della quale i presunti soci erano tenuti a rispettare gli orari di apertura e chiusura dei negozi e la pulizia dei locali, il tutto sotto il controllo dell’associante, che aveva l’insindacabile facoltà di non rinnovare il contratto allo scadere prefissato (2).

 

Con sentenza n. 3894 del 18 febbraio 2009, la Cassazione ha affrontato il problema della distinzione tra associazione in partecipazione e lavoro subordinato in questo modo:

1) la possibilità delle parti di escludere l’associato dalle perdite. Limitare la divisione ai soli utili “non fa venir meno il carattere aleatorio del contratto, dal momento che, in caso di mancanza di utili, l’apporto lavorativo dell’associato è destinato a rimanere senza compenso”.

2) La possibilità delle parti di legare la partecipazione dell’associato ai ricavi d’impresa anziché agli utili. Poiché le parti sono libere di determinare la partecipazione economica dell’associato, “questa può ben essere commisurata ai soli ricavi, perché anche in tale caso, (…), non v’è dubbio che sussiste pur sempre un diretto coinvolgimento dell’associato nelle fortune dell’impresa (3).

 

Costituisce un elemento distintivo la presenza di clausole che prevedano la forfettizzazione degli utili, indipendentemente dai risultati, ovvero la restituzione dell’apporto in corso di attività: clausole, queste, del tutto incompatibili con lo schema societario, dove gli utili sono proporzionati al numero di azioni possedute e dove si esclude la restituzione del conferimento durante la vita della società (Cass., 11.6.1991, n. 6610).

Se ciò costituisce una puntuale definizione in termini di fattispecie, non è semplice, tuttavia, distinguere in certe occasioni l’effettiva e concreta figura che si pone innanzi all’interprete ed all’operatore del diritto; è infatti assai labile, come rilevato talvolta in giurisprudenza, il confine tra associazione in partecipazione e società irregolare, tanto che se il presunto associato, infatti, preleva liberamente somme dalle casse dell’impresa, o anziché limitarsi ad un controllo sulla gestione dell’associante svolge assiduamente attività di gestione e contrattazione con i terzi, si è ritenuto che egli sia il titolare o il contitolare dell’impresa: concludendosi, quindi, nel senso di ritenere la sussistenza di una società irregolare e non di una associazione in partecipazione

(Cass., 14 agosto 1998, n. 8043; Cass., 15 marzo 1976, n. 958).

 

Note

 

1)    http://job.fanpage.it/associazione-in-partecipazione-i-limiti-imposti-dalla-riforma-fornero/

2)    http://www.dplmodena.it/cassazione/sentenze/ass_in_partecipazione/2496-12.html

3)    http://www.dplmodena.it/cassazione/sentenze/ass_in_partecipazione/3894.htm

 

Rinaldi Manuela

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