Desidero segnalare un’interessante pronunzia della Corte di Cassazione in materia di coltivazione, che si pone in controtendenza rispetto all’orientamento che parrebbe vigente.
La Sez. II ha, infatti, confermato l’assoluzione dell’imputato dal reato di coltivazione di 15 piante, sul presupposto sia dell’esiguità del numero delle piante in questione, ma anche in funzione della minimalità del principio attivo contenuto.
Si tratta di un passo avanti nella direzione giusta, cioè nel senso di procedere alla valorizzazione del principio dell’offensività, si da permettere di ritenere che il reato di coltivazione non costituisca più un illecito penale di pericolo astratto, bensì di pericolo concreto.
L’approdo a questo tipo di categoria concettuale (e l’inserimento della fattispecie in tale classificazione) permetterebbe, poi, di procedere sul cammino di un sempre maggiore apprezzamento dell’offensività della condotta, sino a pervenire al traguardo dell’esclusione del carattere di offensività, anche in forza di una analisi teleologicamente orientata della condotta.
Si può, comunque, già affermare che la sentenza recide definitivamente qualsiasi vincolo con quell’indirizzo ermeneutico (seguito dalla Corte di Cassazione in passato), in base al quale la sola semina già, di per sè sola costituiva condotta facente parte del concetto di coltivazione, prescindendo dall’attecchimento del seme, dalla verifica in ordine al sesso della pianta, alla capacità di sviluppo effettivo della stessa.
La Corte, infatti, esaltava esclusivamente – con questa impostazione – la potenzialità della coltivazione, sulla base di un presupposto valutativo del tutto errato (V. SS.UU. 28 aprile 2008) che sarebbe consistito nella convinzione che il solo predisporre una coltivazione – ancorchè domestica – era sicuramente funzionale all’immissione sul mercato dello spaccio di nuova sostanza.
Dimenticava il giudice di legittimità un’elementare verità e cioè che chi coltiva per uso personale, lo fa proprio per evitare di sostenere – con l’apporto finanziario dell’acquisto – il mercato e per fare cadere la richiesta di sostanza stupefacente.
Proprio l’esatto opposto di quanto sostenuto dai supremi Giudici.
Ed adesso attendiamo l’ulteriore passo avanti giurisprudenziale.
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Corte di Cassazione, sez. II Penale
sentenza 13 dicembre 2013 – 3 aprile 2014, n. 15191
Presidente Gallo – Relatore Cervadoro
Svolgimento del processo
Con sentenza del 21 novembre 2003, il Gip del Tribunale di Vallo della Lucania dichiarò B.C. responsabile del reato previsto dall’art. 73 dpr 309/90 e lo condannò alla pena di mesi sei di reclusione ed € 4000,00 di multa.
Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Salerno, in accoglimento dell’appello, assolveva il C. perché il fatto non è più preveduto dalla legge come reato. Proposto ricorso per cassazione da parte del Procuratore Generale, questa Corte, sezione VI, con sentenza in data 9.12.2009, annullava la sentenza della Corte d’Appello, rilevando un vizio di motivazione in ordine alla non offensività della condotta (coltivazione di 15 piante di marjuana).
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 18.10.2012, pronunciando in sede di rinvio, assolveva il C. dal reato ascrittogli perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Ricorre per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Napoli, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 73 d.p.r. 309/90 e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. b) ed e) c.p.p. rilevando che ogni riferimento alla offensività della condotta, pur legittimo in via di principio, appare del tutto inconferente e che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato, e va rigettato.
E’ principio pacificamente affermato da questa Corte (v. Cass. Sez. VI, sent. n. 22110/2013 Rv. 255773; S.U. sent. n. 28605/2008 Rv. 239921) che, ai fini della punibilità della coltivazione, non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l’offensività della condotta ovvero l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto non dimostrata l’offensività della condotta, né l’idoneità della stessa a porre in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, in considerazione non solo del numero esiguo delle piantine di marijuana, ma anche del quantitativo minimo di sostanza dalle stesse estraibile. E pertanto, la sentenza non appare censurabile in quanto rispettosa dei principi di diritto in materia affermati da questa Corte e non illogicamente motivata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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