La Legge 392 del 1978 costituisce uno dei principali parametri normativi di riferimento per la ricostruzione della disciplina civilistica del contratto di locazione ed in particolare dei rapporti, giuridicamente definiti e regolamentati, che intercorrono tra locatore e conduttore.
L’art. 4 descrive le fattispecie che conferiscono al conduttore il diritto di “recesso”, ovvero la possibilità di chiedere unilateralmente lo scioglimento del contratto con effetto estintivo di tutte le obbligazioni connesse.
La norma consente, al primo comma, il ricorso al recesso in tutti i casi previsti “contrattualmente”: le parti possono quindi liberamente definire un novero di fattispecie abilitanti il locatore a chiedere, unilateralmente e con preavviso di sei mesi, lo scioglimento del contratto.
Il secondo comma introduce invece una clausola generale, dal carattere inderogabile, che consente il recesso per “gravi motivi”. Il Legislatore non è parco di una espressione terminologicamente rigorosa ed insuscettibile di prestarsi ad interpretazioni plastiche: “indipendentemente dalle previsioni contrattuali”,
Nel caso di specie si discute un caso le cui circostanze fattuali sono essenzialmente definibili nei termini seguenti: parte resistente pretende il pagamento di canoni di locazione insoluti, in relazione ai quali ha già validamente ottenuto decreto ingiuntivo.
Di diverse vedute la ricorrente, che ha proposto opposizione per Cassazione adducendo di aver validamente esperito il recesso a norma del citato articolo 4, di cui alle premesse normative alla presente nota.
La ricorrente adduce come “grave motivo” ex art. 4 il disturbo recatole dal cane di altro inquilino dello stabile, avvezzo ad abbaiare con nocumento del riposo e della tranquillità.
Si oppone il resistente, affermando che il fatto addotto quale motivo di recesso è indipendente dalla sua volontà ed anzi, trattandosi di “fatto illecito” ex art. 2043 imputabile a soggetto terzo, la ricorrente non rimarrebbe sprovvista di tutela, potendo lecitamente esperire azione a salvaguardia delle proprie ragioni direttamente contro il terzo.
La Cassazione accoglie la doglianza della ricorrente, citando la propria giurisprudenza pregressa e precisando che il “grave motivo” può essere anche “determinat[o] da fatti estranei alla sua [della controparte, il locatore] volontà” e può persino essere “imprevedibile”.
L’elemento scriminante risiede nell’incremento drastico della gravosità del contratto per parte conduttrice, tale da determinare uno squilibrio consistente nell’armonica reciprocità delle prestazioni. S’intende: altra cosa è un immobile sito in area silenziosa e tranquilla, altra cosa è un immobile soggetto a fonti di disturbo e nocumento della quiete.
La possibilità per la ricorrente di esperire azione diretta contro il terzo cui sia imputabile il fatto illecito non esclude il diritto al recesso, trattandosi di facoltà del conduttore distinte, seppur aventi identica matrice. Tale interpretazione ben si integra col quadro normativo della Legge del 1978, tesa in ogni suo precetto ad ampliare i poteri ed i diritti del locatario, parte che potrebbe senza orrore metodologico pensarsi “debole” nel rapporto contrattuale.
Parte resistente indirizza alla ricorrente la contestazione di non aver agito nei confronti del terzo, ma la Cassazione passa il motivo quasi sotto silenzio, tanto da lasciar dedurre che tale circostanza deve ritenersi irrilevante e che, sia o no da ritenersi riducibile nella clausola generale di ordinaria diligenza, non “equivale ad aver dato causa al motivo stesso”.
Resta a margine che anche in questo caso il recesso è subordinato al preavviso di sei mesi a mezzo raccomandata.
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