Il dipendente reintegrato a seguito di licenziamento giudicato illegittimo deve essere impiegato nella sede di lavoro originaria
La Corte di Cassazione, con Sentenza del 10 giugno 2014, n. 13060, ha sancito il principio secondo cui il trasferimento di un dipendente, reintegrato a seguito di licenziamento giudicato illegittimo, in un luogo di lavoro diverso da quello di origine, costituisce una violazione degli obblighi contrattuali.
La Corte d’Appello di Firenze, in linea con il giudizio del Tribunale di Pisa, dichiarava nullo il licenziamento intimato, in data 27 giugno 2002, dalla società P. s.p.a. al lavoratore F. R. adducendo le seguenti considerazioni: la società, nel dare esecuzione alla sentenza del Giudice del lavoro che aveva considerato nullo il termine apposto al contratto di lavoro, trasformando lo stesso a tempo indeterminato, reintegrava il lavoratore dislocandolo in altra sede; questi, dal momento del reintegro non si presentava sul posto di lavoro e induceva l’azienda P. s.p.a. a procedere con la risoluzione unilaterale del contratto “per giustificata assenza dal lavoro”. La Corte, alla luce dei fatti, annullava anche il secondo licenziamento, trattandosi di un trasferimento di sede illegittimo attuato dalla società in violazione degli obblighi contrattuali.
Alla stregua della pronuncia della Corte d’Appello, P. s.p.a. proponeva ricorso in Cassazione sulla base delle seguenti motivazioni:
- “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2103 ex., all’art. 18 della L. n. 300/1970 ed all’art. 1206 e ss. c.c.”;
- “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1460 c.c. anche in relazione all’art. 18 della L. 300/1970”.
La Corte d’Appello, a parere del ricorrente, ha erroneamente interpretato l’articolo 18 della Legge n. 300 del 1970 negando all’azienda la possibilità di collocare il lavoratore, a seguito del reintegro, in una sede di lavoro diversa da quella originaria. A parere dell’attore, il Giudice ha omesso di valutare la circostanza secondo cui una differente ricollocazione del lavoratore, sia conseguenza necessaria di cambiamenti legati a ragioni di carattere tecnico, produttivo ed organizzativo. Inoltre, la mancata indicazione dei motivi del trasferimento è giustificata dall’assenza di una specifica richiesta da parte del dipendente.
La società, dal canto suo, ha sostenuto che la Corte d’Appello non avrebbe dovuto considerare il trasferimento come violazione di inadempimento ex art. 1460 c.c., poiché, in tal senso, nessuna eccezione era stata formulata ed il lavoratore si era solamente limitato a non presentarsi sul posto di lavoro. Ancora, prosegue il ricorrente: “L’eccezione di inadempimento postula che la reazione del dipendente risulti proporzionata e conforme a buona fede, caratteristiche che nel caso mancavano”.
La Cassazione, in virtù di una giurisprudenza oramai consolidata (cfr. ex plurimis Sez. 6 – L, Ordinanza n. 27804 del 2013, Sez. I, Sentenza n. 11927 del 16/05/2013, Sez. I, Sentenza n. 27844 del 30/12/2009), rigetta la tesi di parte attrice ribadendo la necessaria sussistenza di una continuità, correttamente evidenziata dal Giudice territoriale, tra il primo rapporto di lavoro e il secondo, successivo alla reintegrazione. Nel caso de quo, il dipendente doveva essere reintegrato, a seguito di accertamento della nullità del termine apposto al primo rapporto, nel precedente luogo di lavoro. Secondo la Suprema Corte, “il rapporto contrattuale si intende come mai cessato e quindi la continuità dello stesso implica che la prestazione deve persistere nella medesima sede; resta salva la facoltà del datore di lavoro di disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, ma in tal caso devono sussistere le ragioni tecniche, organizzative e produttive richieste dall’ art. 2103 c.c ”.
Nulla è da imputare al lavoratore, il quale, con lettera di risposta alla diffida impartita dalla società affinché riprendesse il servizio nonché ricorrendo al tentativo di conciliazione, si dimostrava disponibile a riprendere l’attività lavorativa secondo le modalità di cui al contratto stipulato.
Contrariamente, l’invito a lavorare presso un’altra sede appare privo di giustificazione poiché, nel corso del giudizio, la società non ha esposto le ragioni poste a fondamento del trasferimento. Si ravvisa, pertanto, una violazione degli obblighi contrattuali.
Orbene, l’attore P. s.p.a., ottemperando a quanto sentenziato nel giudizio del Giudice territoriale, avrebbe dovuto reintegrare il lavoratore nell’unità produttiva di origine.
Rimane, tuttavia, nelle possibilità del datore di lavoro comunicare al dipendente il trasferimento presso un’altra sede, qualora si concretizzino, ai sensi dell’articolo 2103 c.c., le ragioni di carattere tecnico, produttivo ed organizzativo fornendo adeguato supporto probatorio qualora dovesse instaurarsi un giudizio. “In difetto – alla stregua di tali considerazioni – la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore trova giustificazione sia quale attuazione di un’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti, non potendosi ritenere che sussista una presunzione di legittimità dei provvedimenti aziendali che imponga l’ottemperanza agli stessi fino ad un contrario accertamento in giudizio”.
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