La rissa, dal latino rixa “litigio” nell’ordinamento giuridico italiano è il delitto previsto dall’art. 588, del Codice Penale di cui al Regio Decreto 19 ottobre 1930, n.° 1398, il quale dispone: «Chiunque partecipa a una rissa è punito con la multa fino a 309 euro.
Se nella rissa taluno rimane ucciso, o riporta lesione personale, la pena, per il solo fatto della partecipazione alla rissa, è della reclusione da tre mesi a cinque anni. La stessa pena si applica se l’uccisione, o la lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa.»
Per quanto concerne la descrizione della condotta punibile il legislatore ha adottato la tecnica della mera enunciazione del concetto di rissa, senz’alcuna specificazione[1].
E’ un reato comune, in quanto soggetto attivo del reato può essere chiunque, e plurisoggettivo, in quanto è necessaria la partecipazione di più soggetti. La rissa fa parte dei delitti contro la persona ed è integrato quando si verifichi una violenta contesa, con vie di fatto e con il proposito di ledersi reciprocamente, tra tre o più persone.
Si tratta di una figura di reato di pericolo rispetto al bene giuridico dell’incolumità individuale, mentre la tutela dell’ordine pubblico è una conseguenza indiretta ma non meno importante: infatti la Cassazione, sez. V, nel 1988 con una sentenza ha affermato che per la tutela dell’incolumità pubblica non è necessario lo svolgimento del fatto criminoso in un luogo pubblico o aperto ad esso. Il pericolo di turbamento dell’ordine pubblico non è considerato dalla legge né come elemento costitutivo, né come circostanza condizionante il reato di rissa, essendo questo collocato, come anzidetto, nel titolo dei delitti contro la persona.
L’elemento oggettivo, necessario e sufficiente, richiesto per la configurazione della rissa è che, nella violenta contesa, vi siano gruppi contrapposti, con volontà vicendevole di attentare l’altrui incolumità personale.
Il delitto ex art. 588, c.p. è altresì configurabile anche nel caso in cui i partecipanti non siano stai coinvolti tutti, contemporaneamente, nella colluttazione e l’azione si sia sviluppata in varie fasi e si sia frazionata in singoli episodi, tra i quali non vi sia stata alcuna apprezzabile soluzione di continuità, essendosi tutti seguiti in rapida successione, in modo da saldarsi in un’unica sequenza di eventi.
Per la consumazione di tale reato è previsto quale elemento soggettivo, il dolo generico consistente nella coscienza e volontà da parte dell’agente, di partecipare alla mischia ovvero occorre che i contendenti siano animati dal reciproco intento di aggredirsi, cosicché il detto reato non è ravvisabile allorché un gruppo di persone ne assalga deliberatamente altre e queste si limitino a difendersi (cfr. Cass. Pen. 15 Novembre 2006, n.° 3932). L’intento dell’agente “corrissante” può essere considerato nella sua duplicità, consistendo da un lato nell’aggredire ovvero arrecare offesa agli altri e dall’altro lato nel difendersi dalla loro violenza, quindi ne rileva la reciproca azione aggressiva esercitata da gruppi contrapposti al fine di sopraffarsi a vicenda. Pertanto, non sussisterebbe il reato di rissa nel caso in cui ci sia l’aggressione da parte di più persone nei confronti di un’altra, e questa reagisce solo per difendersi, mancando tal sì il corrissante (cfr. Cass. Pen. 12 Gennaio 1979, n.° 322).
È stato osservato in dottrina che il problema della rilevanza delle esimenti della legittima difesa e della provocazione e, più in generale, dei variegati atteggiamenti psicologici che possono rilevarsi nei partecipanti ad una rissa, può essere colto in tutta la sua ampiezza, solamente, tenendo nel dovuto conto la seguente considerazione: «il sorgere della lite, nella maggior parte dei casi, è dovuto all’iniziativa di una persona o di un gruppo nei confronti di altra persona o altro gruppo, cioè in definitiva ad un’aggressione che in principio ha carattere unilaterale e che solo per la reazione altrui si trasforma in rissa». Alla luce di questo rilievo, emerge che la legittima difesa può essere invocata, in tema di rissa, soltanto di chi si sia lasciato coinvolgere nella contesa (dal latino contendere, con- e tendere “tendere con tutte le forze”) al solo scopo di resistere alla violenza altrui. La difesa attiva, dunque dev’essere contenuta nei limiti della necessità di neutralizzare l’aggressione subita, senza eccedere in iniziative offensive che, in quanto tali, superano l’ambito di applicabilità della esimente. La Corte di Cassazione, Sezione 1 penale con la Sentenza 26 gennaio 1993, n.° 710 – Al reato di rissa, ed a quelli commessi nel corso di essa, non e` applicabile la legittima difesa perché i corrissanti sono animati dall’intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si sono posti, sicché la loro difesa non puo` dirsi necessitata. Solo eccezionalmente, in simili ipotesi, l’esimente di che trattasi puo` essere riconosciuta ed e` quando, esistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata una reazione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia una offesa che, per essere diversa e piu` grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma e in tal senso ingiusta.
In giurisprudenza ed in dottrina si discute riguardo al numero minimo dei partecipanti alla rissa o dei cc.dd. corrissanti al fine della configurazione del delitto. Secondo alcuni, tra i quali Francesco Antolisei, sarebbero necessarie almeno tre persone, questo in quanto, qualora il fatto fosse commesso da un numero inferiore di persone, si verrebbe a configurare il reato di lesioni. Tale tesi è sostenuta anche da larga parte della giurisprudenza tra cui Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 22 novembre 1988, n.° 11245 – “Per la configurazione del reato di rissa e` necessario che nella contesa violenta esistano piu` fronti di aggressione, con volontà vicendevole di attentare all’altrui personale incolumità; il che puo` realizzarsi anche quando qualcuna delle “parti” protagoniste sia rappresentata da un solo soggetto, con l’unico limite che il numero dei corrissanti non sia inferiore a quello di tre”. Secondo altri sarebbero invece sufficienti due sole persone, in quanto, da un’interpretazione letteraria della norma, non è menzionato alcun numero minimo di persone. In tal senso vi è pronunciata della Cassazione del 14 gennaio 1959, in Giust. Penale. Altra tesi presuppone almeno quattro agenti, le tesi è sostenuta, tra gli altri, da Masi, secondo cui vi dovrebbero essere almeno due persone in due gruppi contrapposti, pertanto almeno quattro persone. Tesi supportata da alcune pronunce giurisprudenziali, tra le quali Cassazione 16 febbraio 1953, in Foro Italiano 1953, II, pag. 81. Nel computo dei partecipanti deve tenersi conto anche dei soggetti non imputabili (ad es. minori di 14 anni).
Tale tipologia di illecito rientra nella categoria dei reati aggravati dall’evento. Il legislatore, infatti, prevede un’aggravante qualora si verifichi un evento determinato, così come previsto al capoverso del predetto art. 588, c.p. .
La rissa, dal latino rixa “litigio” nell’ordinamento giuridico italiano è il delitto previsto dall’art. 588, del Codice Penale di cui al Regio Decreto 19 ottobre 1930, n.° 1398, il quale dispone: «Chiunque partecipa a una rissa è punito con la multa fino a 309 euro.
Se nella rissa taluno rimane ucciso, o riporta lesione personale, la pena, per il solo fatto della partecipazione alla rissa, è della reclusione da tre mesi a cinque anni. La stessa pena si applica se l’uccisione, o la lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa.»
Per quanto concerne la descrizione della condotta punibile il legislatore ha adottato la tecnica della mera enunciazione del concetto di rissa, senz’alcuna specificazione[1].
E’ un reato comune, in quanto soggetto attivo del reato può essere chiunque, e plurisoggettivo, in quanto è necessaria la partecipazione di più soggetti. La rissa fa parte dei delitti contro la persona ed è integrato quando si verifichi una violenta contesa, con vie di fatto e con il proposito di ledersi reciprocamente, tra tre o più persone.
Si tratta di una figura di reato di pericolo rispetto al bene giuridico dell’incolumità individuale, mentre la tutela dell’ordine pubblico è una conseguenza indiretta ma non meno importante: infatti la Cassazione, sez. V, nel 1988 con una sentenza ha affermato che per la tutela dell’incolumità pubblica non è necessario lo svolgimento del fatto criminoso in un luogo pubblico o aperto ad esso. Il pericolo di turbamento dell’ordine pubblico non è considerato dalla legge né come elemento costitutivo, né come circostanza condizionante il reato di rissa, essendo questo collocato, come anzidetto, nel titolo dei delitti contro la persona.
L’elemento oggettivo, necessario e sufficiente, richiesto per la configurazione della rissa è che, nella violenta contesa, vi siano gruppi contrapposti, con volontà vicendevole di attentare l’altrui incolumità personale.
Il delitto ex art. 588, c.p. è altresì configurabile anche nel caso in cui i partecipanti non siano stai coinvolti tutti, contemporaneamente, nella colluttazione e l’azione si sia sviluppata in varie fasi e si sia frazionata in singoli episodi, tra i quali non vi sia stata alcuna apprezzabile soluzione di continuità, essendosi tutti seguiti in rapida successione, in modo da saldarsi in un’unica sequenza di eventi.
Per la consumazione di tale reato è previsto quale elemento soggettivo, il dolo generico consistente nella coscienza e volontà da parte dell’agente, di partecipare alla mischia ovvero occorre che i contendenti siano animati dal reciproco intento di aggredirsi, cosicché il detto reato non è ravvisabile allorché un gruppo di persone ne assalga deliberatamente altre e queste si limitino a difendersi (cfr. Cass. Pen. 15 Novembre 2006, n.° 3932). L’intento dell’agente “corrissante” può essere considerato nella sua duplicità, consistendo da un lato nell’aggredire ovvero arrecare offesa agli altri e dall’altro lato nel difendersi dalla loro violenza, quindi ne rileva la reciproca azione aggressiva esercitata da gruppi contrapposti al fine di sopraffarsi a vicenda. Pertanto, non sussisterebbe il reato di rissa nel caso in cui ci sia l’aggressione da parte di più persone nei confronti di un’altra, e questa reagisce solo per difendersi, mancando tal sì il corrissante (cfr. Cass. Pen. 12 Gennaio 1979, n.° 322).
È stato osservato in dottrina che il problema della rilevanza delle esimenti della legittima difesa e della provocazione e, più in generale, dei variegati atteggiamenti psicologici che possono rilevarsi nei partecipanti ad una rissa, può essere colto in tutta la sua ampiezza, solamente, tenendo nel dovuto conto la seguente considerazione: «il sorgere della lite, nella maggior parte dei casi, è dovuto all’iniziativa di una persona o di un gruppo nei confronti di altra persona o altro gruppo, cioè in definitiva ad un’aggressione che in principio ha carattere unilaterale e che solo per la reazione altrui si trasforma in rissa». Alla luce di questo rilievo, emerge che la legittima difesa può essere invocata, in tema di rissa, soltanto di chi si sia lasciato coinvolgere nella contesa (dal latino contendere, con- e tendere “tendere con tutte le forze”) al solo scopo di resistere alla violenza altrui. La difesa attiva, dunque dev’essere contenuta nei limiti della necessità di neutralizzare l’aggressione subita, senza eccedere in iniziative offensive che, in quanto tali, superano l’ambito di applicabilità della esimente. La Corte di Cassazione, Sezione 1 penale con la Sentenza 26 gennaio 1993, n.° 710 – Al reato di rissa, ed a quelli commessi nel corso di essa, non e` applicabile la legittima difesa perché i corrissanti sono animati dall’intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si sono posti, sicché la loro difesa non puo` dirsi necessitata. Solo eccezionalmente, in simili ipotesi, l’esimente di che trattasi puo` essere riconosciuta ed e` quando, esistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata una reazione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia una offesa che, per essere diversa e piu` grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma e in tal senso ingiusta.
In giurisprudenza ed in dottrina si discute riguardo al numero minimo dei partecipanti alla rissa o dei cc.dd. corrissanti al fine della configurazione del delitto. Secondo alcuni, tra i quali Francesco Antolisei, sarebbero necessarie almeno tre persone, questo in quanto, qualora il fatto fosse commesso da un numero inferiore di persone, si verrebbe a configurare il reato di lesioni. Tale tesi è sostenuta anche da larga parte della giurisprudenza tra cui Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 22 novembre 1988, n.° 11245 – “Per la configurazione del reato di rissa e` necessario che nella contesa violenta esistano piu` fronti di aggressione, con volontà vicendevole di attentare all’altrui personale incolumità; il che puo` realizzarsi anche quando qualcuna delle “parti” protagoniste sia rappresentata da un solo soggetto, con l’unico limite che il numero dei corrissanti non sia inferiore a quello di tre”. Secondo altri sarebbero invece sufficienti due sole persone, in quanto, da un’interpretazione letteraria della norma, non è menzionato alcun numero minimo di persone. In tal senso vi è pronunciata della Cassazione del 14 gennaio 1959, in Giust. Penale. Altra tesi presuppone almeno quattro agenti, le tesi è sostenuta, tra gli altri, da Masi, secondo cui vi dovrebbero essere almeno due persone in due gruppi contrapposti, pertanto almeno quattro persone. Tesi supportata da alcune pronunce giurisprudenziali, tra le quali Cassazione 16 febbraio 1953, in Foro Italiano 1953, II, pag. 81. Nel computo dei partecipanti deve tenersi conto anche dei soggetti non imputabili (ad es. minori di 14 anni).
Tale tipologia di illecito rientra nella categoria dei reati aggravati dall’evento. Il legislatore, infatti, prevede un’aggravante qualora si verifichi un evento determinato, così come previsto al capoverso del predetto art. 588, c.p. .
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