Questi alcuni degli aspetti più interessanti chiariti dalla risoluzione n. 56/E del 30 maggio 2014.
Senza procedere ad una carrellata di tutte le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate con il documento in rassegna, innanzitutto, si precisa che per l’attività di riscossione dei tributi effettuata da società a capitale interamente pubblico (c.d. società in house), partecipate da enti locali per conto dei quali svolgono il servizio di riscossione, la disposizione che esenta dall’applicazione dell’Iva non trova applicazione qualora le funzioni di pubblica autorità non siano esercitate direttamente, bensì vengano affidate ad una società di capitali che operi in posizione di autonomia e che sia distinta dall’ente locale o erariale per cui essa presta servizio di riscossione dei tributi. Pertanto le società che effettuano l’attività di riscossione ancorchè interamente partecipate da enti pubblici, sono soggetti giuridicamente distinti dagli enti che le controllano.
Giova ricordare la modifica apportata dall’art. 38, c. 2, lettera a), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, all’art. 4, quinto c°. del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 secondo cui non si considerano attività commerciali “le operazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti di diritto pubblico nell’ambito di attività di pubblica autorità”. Tale norma ha recepito espressamente il principio contenuto nell’art. 13 della Direttiva CE 28/11/ 2006, n. 112, e già applicato in ambito nazionale che prevede, infatti, al 1° periodo del comma 1, che gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando in relazione a tali attività od operazioni percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni.
Di poi, con una seconda questione viene chiarito quali attività costituiscano “riscossione dei tributi”, il cui aggio è soggetto ad IVA con aliquota ordinaria a seguito della recente soppressione del relativo regime di esenzione dall’imposta.
Ed infatti, l’art. 38, c. 2, lett. b), del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, modifica l’art. 10, 1° c., n. 5), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 eliminando la disposizione che stabiliva l’esenzione da Iva per le operazioni relative alla riscossione dei tributi, in quanto incompatibile con l’ordinamento comunitario, che non prevede una analoga previsione di esenzione.
In sostanza l’imponibilità ricorre, quindi, sia nell’ipotesi di “riscossione coattiva” – attività che ordinariamente deriva dall’iscrizione a ruolo di somme derivanti da inadempienza del contribuente – sia nell’ipotesi di “riscossione spontanea” – attività che abitualmente genera l’emissione di avvisi di pagamento, ovvero l’iscrizione a ruolo di somme non connesse a inadempimenti del contribuente e che possono, altresì, discendere dall’aver scelto il pagamento frazionato o rateale di quanto dovuto (ad esempio, riscossione delle imposte relative a somme soggette a tassazione separata, della TARSU per conto dei Comuni, delle tasse di iscrizione agli ordini professionali).
Si è dell’avviso, infatti, che il legislatore, con la modifica apportata all’art. 10, primo comma, n. 5), del DPR n. 633 del 1972, abbia voluto ricondurre nel regime di imponibilità tutta la complessa attività di riscossione, nell’accezione sopra descritta, consistente, tra l’altro, nella gestione di ruoli e liste, nella notifica di cartelle ed avvisi di pagamento (salva l’ipotesi degli accertamenti esecutivi), nella ricezione di pagamenti, nel riconoscimento di eventuali dilazioni o sospensioni del pagamento, nell’attività di esecuzione forzata, senza alcuna distinzione rispetto all’origine (volontaria o coattiva) della pretesa.
Come noto, l’art. 17, comma 1, D.Lgs. n. 112 del 13 aprile 1999, così come modificato dal D.L. n. 185/2008, stabilisce che l’attività dei concessionari è remunerata con un aggio pari al 9% delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, che è a carico del debitore:
– in misura pari al 4,65% delle somme iscritte a ruolo, nell’ipotesi di pagamento entro il 60° giorno dalla notifica della cartella;
– integralmente, nell’ipotesi di mancato pagamento.
Nello specifico, l’aggio è quindi il compenso che spetta per legge all’agente della riscossione per l’attività di recupero delle somme a questo affidate e, tra l’altro, a seguito del Decreto Legge n. 95/2012, per i ruoli emessi a partire dal 1° gennaio 2013 lo stesso è stato ridotto dal 9% all’8%.
L’aggio ha, in concreto, natura tributaria e consiste in un’integrazione del tributo iscritto a ruolo. Su questo sarà caricata l’Iva con aliquota ordinaria. Non è ben chiaro, però, su come peserà ai contribuenti.
Infine l’attuale art. 10, primo comma, n. 5), del DPR n. 633 del 1972, dispone che sono esenti dall’IVA “le operazioni relative ai versamenti di imposte effettuati per conto dei contribuenti, a norma di specifiche disposizioni di legge, da aziende e istituti di credito”.
Ecco che con la risoluzione viene dissipato il dubbio in relazione a se tale norma limiti l’esenzione alle sole operazioni di versamento di imposte effettuate presso aziende ed istituti di credito, escludendola per i versamenti effettuati presso operatori diversi. Orbene l’esenzione dell’Iva è quindi applicabile, in via generale alle operazioni relative ai servizi finanziari e di pagamento, a prescindere dal soggetto che le effettua e, quindi, si applica a tutti i corrispettivi percepiti per le operazioni di pagamento, ossia per i servizi caratterizzati da un mero transito di mezzi finanziari (destinati al pagamento di imposte o altri tipi di entrate), a prescindere dal soggetto attivo che rende il servizio (banca o altro soggetto autorizzato).
Lecce, 29 luglio 2014 Avv. Maurizio Villani
Avv. Iolanda Pansardi
www.studiotributariovillani.it
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