Dichiarazione di falsità di documenti di una graduatoria di concorso pubblico: il giudice penale non può “depennare” i candidati. (Corte di Cassazione, V sez. pen., con sentenza del 21 luglio 2014, n. 32035)

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I candidati di un pubblico concorso, pur essendo intervenuta nei loro confronti sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto di cui all’art. 323 c.p.,  proponevano ricorso per Cassazione avverso la pronuncia della Corte territoriale di Bari che, confermando la sentenza di primo grado, aveva riconosciuto e dichiarato ex art 537 cpp la falsità di documenti, in specie, dei voti, dei verbali delle prove scritte e della prova orale dei candidati in relazione al concorso pubblico per titoli ed esami per l’assunzione di n.13 unità di agente della polizia municipale del comune di Andria. Contestualmente, la medesima pronuncia disponeva la cancellazione dei nominativi dalla graduatoria dei candidati-imputati. 

In particolare, il Presidente ed i componenti della commissione esaminatrice del concorso pubblico in concorso con l’assessore alla polizia urbana del Comune e con alcuni candidati, intenzionalmente avevano procurato a quest’ultimi – attraverso “ritocchi”- punteggi superiori alle prove rispetto a quelli che avrebbero conseguito ove non fossero stati “raccomandati”, superando in tal modo il concorso con danno sia per il Comune sia per gli altri candidati “non raccomandati” ingiustamente preceduti nella graduatoria di merito. 

La corte di Cassazione, nell’esaminare le doglianze dei ricorrenti, con sent. 21 luglio 2014, n. 32035 riconosce la fondatezza delle censure.

La Cassazione, prima di entrare nel merito dei poteri del giudice penale riguardo alla cancellazione di nominativi di candidati da una graduatoria risultata viziata,  offre una scorcio sull’art. 537 cpp oltre che un importate precisazione sulle ipotesi in cui è configurabile un falso.  

L’art. 537 cpp  costituisce regola speciale rispetto a quella dettata  dall’art. 593 co 2 cpp. Pertanto, la pronuncia sulla falsità di documenti è impugnabile  anche nel caso di sentenza di proscioglimento, e quindi da chiunque ne abbia interesse.  Precisa la Corte che “ i provvedimenti  previsti dall’art. 537 cpp richiedono una specifica motivazione, implicante valutazioni di merito a sostegno della ritenuta mancata corrispondenza al vero da svolgere alla luce della nozione di falso fissata nelle norme penali.” L’operato della Corte territoriale risulta censurabile proprio in quanto, sebbene correttamente essa richiama il principio di diritto secondo il quale la dichiarazione di falsità ex art. 537 cpp prescinde dalla circostanza che il processo si concluda con verdetto di colpevolezza o di proscioglimento, ha omesso di affrontare  le questioni di diritto atte a suffragare una dichiarazione di falsità.  Essa non ha specificato se i “ritocchi” avvennero prima o dopo la chiusura dei verbali ed, inoltre, ha omesso di considerare che negli stessi verbali viene dato atto che “l’apertura delle buste piccole contenenti il nome del concorrente con l’attribuzione del punteggio conseguito nella relativa prova scritta avveniva dopo che il giudizio era stato espresso per singoli gruppi di candidati” con ciò impedendo di riconoscere le tracce del falso ideologico. Ne risulta, per la Corte di Cassazione una motivazione carente e contraddittoria. 

La Corte di cassazione  evidenzia alcuni principi costanti in giurisprudenza. Nel caso di specie, infatti, si tratta di atti dispositivi che consistono in una manifestazione di volontà e non in una rappresentazione e descrizione di un fatto. I componenti della commissione nell’esercizio dei loro poteri valutativi esprimevano un giudizio concretatosi nell’assegnazione di un voto e formalizzato nei verbali delle prove (scritte e orali). Pertanto, per dimostrare che si sia realizzata una fattispecie di falso occorre verificare: o 1) che ci sia stata correzione (“ritocco”) dei voti attribuiti a ciascun candidato e dunque una alterazione dei punteggi relativi alle prove dopo la chiusura del verbale; 2) ovvero, che i verbali attestino una situazione di fatto diversa da quella effettivamente avvenuta. 

Quanto alla prima ipotesi, il giudice di legittimità, richiamando i precedenti e consolidati orientamenti giurisprudenziali, afferma che fino a quando l’atto resta nell’ambito della legittima disponibilità del suo autore, non può configurarsi un falso per alterazione ad opera dell’autore medesimo. Piuttosto, questi commetterà falso se procurerà l’alterazione del documento una volta che questo sia uscito dalla sua sfera di disponibilità. 

Ancora, nella seconda ipotesi, si ha falsità ideologica in atto quando la parte descrittiva o narrativa in esso contenuta non sia conforme a verità, ovvero quando l’organo pubblico sia vincolato ad attenersi a criteri valutativi predeterminati e ciò nonostante l’atto se ne discosti risultando non conforme ai parametri. 

Non avendo la Corte territoriale chiarito gli elementi e le circostanze in cui si sarebbe concretizzato il falso, la Corte di cassazione annulla la sentenza con rinvio affinché si provveda a sanare le carenze e contraddizioni della motivazione in base ai principi sopra enunciati dalla Cassazione.

Ma la pronuncia de qua offre altresì un altro principio importante principio di diritto: “ il giudice penale, ove pure accerti e dichiari, ai sensi dell’art. 537 c.p.p., la falsità di atti o di documenti che costituiscono il presupposto per l’inserimento di un soggetto nella graduatoria di un pubblico concorso, non potrà autonomamente modificarla, depennando il soggetto della graduatoria stessa, trattandosi di un potere esercitabile esclusivamente dall’amministrazione competente nelle forme proprie dei provvedimenti amministrativi”.

Viene infatti evidenziato come i giudici penali abbiano esercitato una potestà riservata dalla legge agli organi amministrativi inficiando così la sentenza di un vizio, rilevabile anche d’ufficio, ex art. 606, co1, lett. A), c.p.p. L’approvazione della graduatoria, ricorda il Giudice nomofilattico, è provvedimento di amministrazione attiva mediante il quale l’amministrazione fa proprio l’operato della commissione esaminatrice.

Il potere di modificare la graduatoria,qualora questa sia stata illegittimamente formata, spetta all’amministrazione. Il richiamo implicito è, evidentemente, alla disposizione di cui all’art. 4, c. 2°, L. n. 2248/1865, all. e (Legge abolitrice del contenzioso, cd. LAC) in forza della quale un atto amministrativo può essere modificato o revocato solo attraverso ricorso alle competenti autorità amministrative le quali sono chiamate a conformarsi al giudicato del Tribunale.

Pertanto, sul punto, la Cassazione ha pronunciato l’annullamento senza rinvio della sentenza.

 

Per una lettura estesa della sentenza si rinvia al seguente link:  http://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/dettaglio_sentenza_penale.page?contentId=SZP9168

Esposito Anna Pia

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